giovedì 23 novembre 2017

RADICI E STELLE (ciò che conta è ciò che hai)


Concentrati su quello che hai e non su quello che vuoi.

Questa è la frase che mi ripeto in questi giorni d’autunno. Il 20 Ottobre ho iniziato la formazione da costellatore e mai scelta fu più significante per la mia vita oltre a quella di vivere con Gianni.
Come un sasso lanciato nell'acqua, il primo incontro riverbera con cerchi sempre più ampi che dall’intimità più profonda e intoccata arrivano fino agli aspetti apparentemente più superficiali della mia vita.
Un susseguirsi di alti e bassi, vuoti e pieni, tane e colline, ma sempre in movimento e sempre nella volontà di accettare con il cuore e poi capire con la mente. E osservare senza giudicare.

In più di un’occasione mi è capitato di lamentarmi, di non sentirmi a mio agio, di voler andar via e stare solo. E lì la prima domanda da farsi: in quei momenti, quando mi sento solo contro un mondo incomprensibile, quando vorrei scomparire con uno scoppio e una nuvola di fumo, sono un adulto o sono un bambino? E allora capivo, sentivo che c’era qualcosa che non andava perché quelle sensazioni non appartenevano ad un Ivano 37enne ma ad un piccolo Ivano perso e fuori posto.

l profondo senso di vuoto affonda le sue radici nella NON –APPARTENENZA. La mia biografia famigliare mi ha portato a non sentirmi mai parte di un nucleo ma frammentato prima tra mamma e papa e poi lontano dal trio formato da mamma, papà e fratello. La regola che si è formata in me e poi impressa a fuoco nella mia anima è famiglia=non appartenenza. Quindi,ogni volta che, in qualsiasi tipo di sistema sociale, mi si riconosce appartenenza (o la ottengo), fuggo come se fossi un pennuto inseguito da Willy il Coyote. E trovo anche un sacco di argomentazioni plausibili per andarmene e mantenermi fedele alla “mia famiglia”. L’appartenenza (falsa) mantenuta con la non appartenenza (vera). Chiaro no? Per me ora si.

Domenica finalmente mi sono visto, come l’immagine nello specchio del bagno che piano piano emerge dopo una doccia caldissima e il mio cuore ha perso 10 kg e il mio umore è migliorato esponenzialmente. Tutto è arrivato con leggerezza e semplicità perché la verità non è mai complicata.
Il bisogno di onorare la mia famiglia di origine, fino ad oggi non mi ha permesso di appartenere a qualsiasi altro sistema, sia questo il lavoro, un laboratorio, la mia famiglia attuale.
Niente e nessuno soddisfa mai “i giusti requisiti” perché semplicemente non esistono. Concedermi di appartenere a qualcosa (dal quale successivamente posso anche decidere di prenderne le distanze ovviamente) vuol dire fare attenzione, dedicare cura a ciò che ho lasciando andare ciò che voglio (che per me spesso è qualcosa di completamente irreale).
Questa epifania è stata ed è uno dei momenti più significanti nel mio percorso di crescita personale e lo voglio fissare in queste pagine virtuali laddove dovessi ricadere nel copione del “ nessun posto va bene per me”.

Nel lavoro, ad esempio, ho sempre posto l’accento su ciò che non va bene, sulle persone negative o sulle situazioni che non funzionano (benvenuto sulla terra Ivano) e solo ora mi rendo conto che in realtà ci sono colleghi competenti, belle persone che ho potuto incontrare grazie a questa attività e che sono parte di un’azienda che va verso qualche cosa al quale io posso scegliere di contribuire sentendomi realizzato professionalmente. Solo concedendomi di esserne parte posso godere il piacere del condividere e crescere insieme. Ciò non toglie che possa accettare una nuova occasione di lavoro migliorativa , ma ha senso vivere appieno il momento perché comunque porta con sè un insegnamento per la mia biografia. 

In realtà, l’emergere di questo sentire è nato perché la mia famiglia (zii e cugini) , inizialmente su mia iniziativa oltretutto, organizzano una grande cena “reunion”. In nessuna delle due occasioni ho potuto partecipare. L’ultima è stata sabato scorso e ho passato tutto il giorno preso male, nervoso, infuriato con il mondo ma in realtà solo con me stesso. Domenica mattina una cugina ha mandato le foto della serata e guardando quelle immagini mi si è aperto il cuore, inondato da ricordi ed affetti trasmessi da quei volti sorridenti trasformati dal tempo. Gli unici assenti io e mia mamma. Allora mi sono chiesto: perché non hai fatto di tutto per partecipare? Perché? E la risposta ha cambiato la percezione del mio mondo. La mia assenza (non appartenenza), conferma la mia appartenenza alla mia famiglia di origine che, durante la mia pre-adolescenza scelse di isolarsi dal resto della tribù familiare.

Nella stessa settimana mi è capitato qualcosa di simile con il gruppo del laboratorio di scrittura creativa che organizzo con la mia cug. Dopo aver focalizzato la mia attenzione su quello che non mi piaceva, cercando in tutti modi motivazioni per sentirmi al di fuori della situazione, ho incontrato il vero, il reale, ciò che c'è e che ho a prescindere da ciò che voglio. Ho visto, non solo con gli occhi, un bel gruppo di persone che si mettono in gioco ogni volta, che condividono, che si raccontano e affrontano i propri limiti. Ho uno spazio dove concedermi e sperimentare, sentire e essere ascoltato.

Per cui grazie a tutti quelli che sono nella mia vita, che siano amici, insegnanti, ostacoli, amanti. Forse uno dei “trucchi” per essere felici è proprio concentrarsi sul presente e abbracciare ciò che ho che è tanto, molto, forse troppo, e vivere senza filtri, senza maschere. Certo non è facile e dico grazie a questa grande opportunità di cammino verso la mia libertà che mi sta dando il percorso sulle costellazioni familiari.

Un sacco di sabbia finalmente si è staccato dalla mia mongolfiera e mi alzo verso il cielo di qualche metro. Lavorerò per dar fuoco al combustibile, mollare le cime e prendere il volo.


I Piedi radicati nel terreno e lo sguardo perso tra le stelle.