venerdì 1 dicembre 2017

RI-FLESSIONE DEL SASSO CHE SI CREDEVA UN CALICE VUOTO

E mi ritrovo ancora al punto di partenza… Ma che è  il Monopoly? Continuo a girare mogio mogio in vicolo Corto e arzillo e spavaldo in Parco della Vittoria. E i 200 euro per passare dal via? Nooo? Grazie molte.

Autunno dedicato al ritorno e al ri-incontro, periodo in apparenza di rinnovo e cambiamento ma in realtà quello che ritrovo tra le mani sono sassi, pesanti sassi che ricordano la mia marmorea immobilità. Mi travesto da evoluto, da altruista, da anima predisposta all’incontro e alla condivisione ma in realtà mi ritrovo, all’improvviso e mio malgrado ancora il principe dell’ego. Io io io io io io e solo. La mia riflessione sul mondo , le mie esperienze hanno come minimo comun denominatore il mio sentire rivolto verso di me. Ancora.

Mi concedo che, a differenza di prima, per lo meno vedo  questo mio essere, anzi lo sento e da inerme spettatore, prendo appunti, scatto foto e mi dico  “ Oh signore sono davvero così?” “ Eh si, proprio così.”
Sono spesso un bambino che sbatte i piedi indignato perché la realtà non si piega al suo volere. Sono il mago amatoriale che non riesce a far sparire quel maledetto coniglio da quello stupido cappello. 

Sono il vecchio che guarda le ruspe deturpare il suo quartiere senza far nulla per impedirlo. Sono eccellente nel dire cosa non va negli altri, cosa non va in me soprattutto, ma rincoglionito quando c’è da proporre soluzioni.

Non oso, non sperimento, non rischio ( se non nelle cose più futili). Insomma non volo. Perché ancora le radici non ci sono. E’ inutile che me la racconti. Sono in mezzo ad un cantiere enorme. I progetti sono stati fatti ma nessun cazzo di operario ha ancora mosso un dito.

Cerco di guardare il lato positivo almeno, il lato della strada illuminato dal sole come cantava il buon Frank. Mi vedo, mi sgamo, mi riconosco come abile trasformista, make up artist, rollatore di sigarette e inventore di personaggi fumosi. Rimane la domanda, quella che si pose qualche pastore guardando le stelle: chi sono io?
Cosa mi definisce? Chi voglio essere? Chi voglio diventare? Cosa cazzo voglio fare da grande adesso che SONO grande?

Provo ad essere me, mi sforzo ma quel me è un enigma irrisolvibile al momento. Vivo a momenti, segmentato, frammentato, triturato, sminuzzato buttato in padella e soffritto a fuoco alto. Prendo impegni e poi non ho voglia di onorarli, un momento il mondo è pieno di possibilità e quello dopo cammino tra strade abbandonate senza speranza con gli attori di The Walking dead.

E sia nel buio o nella luce non sono mai (se non per brevissimi istanti soddisfatto). La ragione credo sia semplice: non vivo quasi mai il presente. Il mio pensiero è sempre rivolto al dopo. E anche quando mi sembra di aver trovato un pezzettino di verità su di me, evapora tra le dita come l’acqua nella legna umida che butti nel camino. Tanto rumore, poca fiamma ed un sacco di fumo. Continuo a dubitare delle mie scelte, mi lamento sempre. Tal volta, da solo, vivo un istante di pace, velocemente fagocitato da noia e insensatezza.

A volte ho delle epifanie, momenti di presa di coscienza e consapevolezza che fanno fare grandi feste ai miei neuroni, infiammano le sinapsi e al posto del sangue il cuore pompa Valdobbiadene gran riserva. Ma dopo la botta di vita, arriva il post overdose con i suoi acciacchi e la chiarezza lascia spazio all’opacità..

Mi piacerebbe essere un uomo in un percorso personale di miglioramento ma deambulo continuamente tra il Grinch e il signor Scrudge del canto di Natale di Dickens.
E allora, mi dico, accetta la tua segreta grettezza, il tuo amaro egoismo, l’incapacità di scendere veramente nel mondo e rimani nella tua tana. Ma goditela sta cazzo di tana! Sguazzaci dentro! Fai delle mega feste tra te e te, elogiati allo specchio, datti dei colpetti alla spalla mentre ridi per una battuta che ti sei fatto! Fatti dei regali e stupisciti commosso mentre li scarti.

“Ma, davvero? E’ per me?” “No, ma tu…. Ma tu sei .. fantastico! Quanto hai speso? Non dovevi!” “Ma figurati, è il minimo, tu meriti questo e altro! Dai, che aspetti? Aprilo! Voglio vedere la tua 
faccia quando lo vedi!”

Ingrassa il tuo ego fino a sentirti  un fegato d’oca pronto a diventare prelibato foie gras per Dio!
Abbraccia appieno il tuo lato oscuro. E invece no…. Ricerco l’ombra ma poi mi sento inutile e abbandonato. Allora mi trascino al sole come Gollum alla ricerca del suo tessoro e la luce mi da fastidio, incomincio a sudare e mi fanno male gli occhi.

Cosa vuoi Ivano? Almeno a questo puoi rispondere? No, cioè si, insomma cosa vuoi … Che domanda generica… Cosa intendi? Ti posso dire cosa voglio da mangiare oggi, credo, o farti un elenco di regali di Natale. Ma cosa voglio nella vita? Cosa voglio fare? Mah, Boh, sob, sgrunt, bha.
Voglio accettare ciò che ho? Voglio rendere più sereno questo animo bipolare e sempre in guerra con se stesso? Si, direi di si. Ma non so come farlo e anche se trovo una traccia, un sentiero, un immagina chiara e risolutiva, la perdo al primo ostacolo e ritorno preda di un ira divina contro la divinità mentre mi immergo nell’assenza di significato. Come passare in un secondo da Disneyland a Dogville con le case disegnate col gessetto.

Certo sono abile nel raccontarmela. Faccio, con una fatica erculea, delle cose piacevoli. Si, mi nutrono in qualche modo, mi danno qualcosa di bello e di vero. Ma alla fine, quando torno a casa, sono sempre io. La vecchia megera che borbotta.
E chi vorresti essere scusa, Patrizia Rossetti mentre vende un materasso? Non so, vuoi entrare in una stanza come Ivano e uscire due ore dopo come Jhon Snow su un drago mentre si limona la bionda ignifuga? Ovvio che sei sempre tu.

Quello che voglio dire è che tutte queste belle esperienze sembra non attecchiscano in me. E’ come se mangiassi cibi gustosissimi ma privi di nutrienti. Mi godo il momento del pranzo ma dopo un’ ora sono già sul cesso con sizza e Facebook.

Ieri sera è come se fosse sceso un velo dietro al quale mi nascondevo (uno dei tanti credo). Al laboratorio di scrittura creativa mi sono visto incapace di essere creativo. Banale, senza risorse immaginative.  Ho urlato contro un muro e mi è rimbalzato contro un suono che pensavo fosse di qualcun altro. E noto con rammarico che posso scrivere solo di me. Credevo di avere una fervida immaginazione ed  invece sono sterile come un fiore di plastica.  

Cosa sai fare Ivano? E quello che sai fare ti piace farlo? Quanto te la racconti? Ecco queste le domande che mi sono portato a casa ieri.

Se l’autunno è la stagione della frammentazione del sé, allora ho vinto il primo premio. Sono scomposto, disconnesso e intermittente come luci di natale difettose  e lontanissimo da un integrità individuale che piaccia o no, sento l’esigenza di riconoscermi.

Pur essendo ormai saturo di questo Ivano Park con attrazioni vecchie e pericolanti, continuo a farmele  tutte pagando biglietti sempre più cari e divertendomi sempre un po’ meno.



giovedì 23 novembre 2017

RADICI E STELLE (ciò che conta è ciò che hai)


Concentrati su quello che hai e non su quello che vuoi.

Questa è la frase che mi ripeto in questi giorni d’autunno. Il 20 Ottobre ho iniziato la formazione da costellatore e mai scelta fu più significante per la mia vita oltre a quella di vivere con Gianni.
Come un sasso lanciato nell'acqua, il primo incontro riverbera con cerchi sempre più ampi che dall’intimità più profonda e intoccata arrivano fino agli aspetti apparentemente più superficiali della mia vita.
Un susseguirsi di alti e bassi, vuoti e pieni, tane e colline, ma sempre in movimento e sempre nella volontà di accettare con il cuore e poi capire con la mente. E osservare senza giudicare.

In più di un’occasione mi è capitato di lamentarmi, di non sentirmi a mio agio, di voler andar via e stare solo. E lì la prima domanda da farsi: in quei momenti, quando mi sento solo contro un mondo incomprensibile, quando vorrei scomparire con uno scoppio e una nuvola di fumo, sono un adulto o sono un bambino? E allora capivo, sentivo che c’era qualcosa che non andava perché quelle sensazioni non appartenevano ad un Ivano 37enne ma ad un piccolo Ivano perso e fuori posto.

l profondo senso di vuoto affonda le sue radici nella NON –APPARTENENZA. La mia biografia famigliare mi ha portato a non sentirmi mai parte di un nucleo ma frammentato prima tra mamma e papa e poi lontano dal trio formato da mamma, papà e fratello. La regola che si è formata in me e poi impressa a fuoco nella mia anima è famiglia=non appartenenza. Quindi,ogni volta che, in qualsiasi tipo di sistema sociale, mi si riconosce appartenenza (o la ottengo), fuggo come se fossi un pennuto inseguito da Willy il Coyote. E trovo anche un sacco di argomentazioni plausibili per andarmene e mantenermi fedele alla “mia famiglia”. L’appartenenza (falsa) mantenuta con la non appartenenza (vera). Chiaro no? Per me ora si.

Domenica finalmente mi sono visto, come l’immagine nello specchio del bagno che piano piano emerge dopo una doccia caldissima e il mio cuore ha perso 10 kg e il mio umore è migliorato esponenzialmente. Tutto è arrivato con leggerezza e semplicità perché la verità non è mai complicata.
Il bisogno di onorare la mia famiglia di origine, fino ad oggi non mi ha permesso di appartenere a qualsiasi altro sistema, sia questo il lavoro, un laboratorio, la mia famiglia attuale.
Niente e nessuno soddisfa mai “i giusti requisiti” perché semplicemente non esistono. Concedermi di appartenere a qualcosa (dal quale successivamente posso anche decidere di prenderne le distanze ovviamente) vuol dire fare attenzione, dedicare cura a ciò che ho lasciando andare ciò che voglio (che per me spesso è qualcosa di completamente irreale).
Questa epifania è stata ed è uno dei momenti più significanti nel mio percorso di crescita personale e lo voglio fissare in queste pagine virtuali laddove dovessi ricadere nel copione del “ nessun posto va bene per me”.

Nel lavoro, ad esempio, ho sempre posto l’accento su ciò che non va bene, sulle persone negative o sulle situazioni che non funzionano (benvenuto sulla terra Ivano) e solo ora mi rendo conto che in realtà ci sono colleghi competenti, belle persone che ho potuto incontrare grazie a questa attività e che sono parte di un’azienda che va verso qualche cosa al quale io posso scegliere di contribuire sentendomi realizzato professionalmente. Solo concedendomi di esserne parte posso godere il piacere del condividere e crescere insieme. Ciò non toglie che possa accettare una nuova occasione di lavoro migliorativa , ma ha senso vivere appieno il momento perché comunque porta con sè un insegnamento per la mia biografia. 

In realtà, l’emergere di questo sentire è nato perché la mia famiglia (zii e cugini) , inizialmente su mia iniziativa oltretutto, organizzano una grande cena “reunion”. In nessuna delle due occasioni ho potuto partecipare. L’ultima è stata sabato scorso e ho passato tutto il giorno preso male, nervoso, infuriato con il mondo ma in realtà solo con me stesso. Domenica mattina una cugina ha mandato le foto della serata e guardando quelle immagini mi si è aperto il cuore, inondato da ricordi ed affetti trasmessi da quei volti sorridenti trasformati dal tempo. Gli unici assenti io e mia mamma. Allora mi sono chiesto: perché non hai fatto di tutto per partecipare? Perché? E la risposta ha cambiato la percezione del mio mondo. La mia assenza (non appartenenza), conferma la mia appartenenza alla mia famiglia di origine che, durante la mia pre-adolescenza scelse di isolarsi dal resto della tribù familiare.

Nella stessa settimana mi è capitato qualcosa di simile con il gruppo del laboratorio di scrittura creativa che organizzo con la mia cug. Dopo aver focalizzato la mia attenzione su quello che non mi piaceva, cercando in tutti modi motivazioni per sentirmi al di fuori della situazione, ho incontrato il vero, il reale, ciò che c'è e che ho a prescindere da ciò che voglio. Ho visto, non solo con gli occhi, un bel gruppo di persone che si mettono in gioco ogni volta, che condividono, che si raccontano e affrontano i propri limiti. Ho uno spazio dove concedermi e sperimentare, sentire e essere ascoltato.

Per cui grazie a tutti quelli che sono nella mia vita, che siano amici, insegnanti, ostacoli, amanti. Forse uno dei “trucchi” per essere felici è proprio concentrarsi sul presente e abbracciare ciò che ho che è tanto, molto, forse troppo, e vivere senza filtri, senza maschere. Certo non è facile e dico grazie a questa grande opportunità di cammino verso la mia libertà che mi sta dando il percorso sulle costellazioni familiari.

Un sacco di sabbia finalmente si è staccato dalla mia mongolfiera e mi alzo verso il cielo di qualche metro. Lavorerò per dar fuoco al combustibile, mollare le cime e prendere il volo.


I Piedi radicati nel terreno e lo sguardo perso tra le stelle.

mercoledì 4 ottobre 2017

A CADUTA LIBERA

Continua il mio inesorabile viaggio “nel buco”, che sta diventando un tunnel oscuro verso il centro della mia terra, ossia di me stesso, qualunque cosa possa incontrare. Come insegna il buon Verne, tra mostri e misteri, ci sono anche tesori inaspettati.

Essere nel buco, per quanto mi riguarda, è sentirsi in fondo ad un pozzo, scomodo ma in qualche modo conosciuto. Avevo deciso di uscirne, dopo giorni di immobilità e riflessione, attraverso il movimento e tanta volontà. Pensavo di esserci riuscito, ma ieri sera, all’improvviso, ho realizzato  che stavo solo sognando una lenta risalita verso la luce.

Come un sogno all’inverso mi risveglio ancora nel buco. E ora il fondo che tanto conosco si sgretola e incomincio una caduta negli abissi del mio mal essere e del mio sentire.

E vado giù, sempre più giù.

Mi viene subito in mente l’immagine di Alice durante la sua caduta  verso il paese delle meraviglie tra radici, terra e oggetti bizzarri. Che anche io possa trovare la meraviglia solo scendendo il più possibile?

Allora vado giù, sempre più giù.

Probabilmente è proprio di questo che ho bisogno, perché nulla accade per caso. Forse oggi devo sentire la forza di gravità che mi spinge, e l’aria pungente che sferza il mio viso mentre aumentano la velocità e il battito cardiaco.

Mi lascio cadere giù, senza resistere, sempre più giù.

Nel buio e nel calore della mia intimità, nelle mie paure, nella mia indolenza e nella mia disaffezione.
Perché solo nell’oscurità più totale posso finalmente ritrovare la mia luce.

E continuo ad andare giù, sempre più giù.

Pur essendo spaventato  accetto questo momento, sento che è necessario, che ne ho bisogno;  provo dispiacere per perdermi delle cose, perché la mia attenzione è rivolta verso il basso, verso l’interno, nel pieno del mio autunno.

Giù, sempre più giù.

Ed è comunque un viaggio, dove regnano incertezza e confusione, trepidazione e volontà, curiosità e distacco. L’unico punto di riferimento e di stabilità sono io.
Mentre scendo, mentre cado, mentre mi immergo sempre più giù.

Riconosco la responsabilità di questo mio continuo cadere e me ne assumo le conseguenze, perchè stavolta ne sono cosciente e presente in ogni istante di questa a quanto pare interminabile caduta libera.

E se devo andare giù, ancora più giù, lo farò con fiducia e tenacia.


sabato 23 settembre 2017

INSPIEGABILMENTE TU

In questo giorno del tuo anniversario di nascita ti penso fratello ...
Non mi sento in diritto di definirti fratello, ma questo sei per me, nonostante tutto. 
Per anni ho avuto vergogna di te, a volte dicevo di essere figlio unico perchè era più semplice  che spiegare ad uno sconosciuto il complicato mistero della tua esistenza. 

Ma oggi voglio ricordare quei momenti in cui abbiamo condiviso il nostro legame; quando ti facevo ballare come un matto con la musica a tutto volume, sbattendo le mani sul tavolo e mentre ti cambiavo il pannolino. Ricordo da bambino di notte, in preda ai miei incubi terribili, che la tua vicinanza , la tua presenza mi calmava e mi permetteva di riprendere sonno.
Oggi sono triste fratello, perchè mi sarebbe piaciuto avere più coraggio o più amore per starti vicino, nonostante tutto e tutti. Ma non ce la faccio e non posso che prenderne atto e parlarti nel mio cuore. So di essere un fallimento come fratello maggiore e per questo non ci sono scuse. Sono meschino ma davvero ho fatto quello che ho potuto per mantenere un minimo di equilibrio in quella corda da funambolo poco tirata che è la nostra dinamica famigliare.

In realtà la tua immagine sfiora i miei pensieri spesso ma oggi più che mai ritorni a me mentre bevo il caffè salutando il giorno e mentre pulisco casa sulle note di una triste canzone di Billie Holliday...

Hai trent'anni, età che avvicinata alla tua immagine, suona in maniera strana e riverbera in me in altrettante strane emozioni.
Solo adesso fratello incomincio a capire e sentire gli accadimenti e le dinamiche che mi hanno portato ad esserti sconosciuto, straniero. So che ti ho odiato fratello perchè, pur senza colpe, il tuo diritto alla vita ha sovrastato il mio diritto ad essere amato. E anche se me ne vergogno non posso che accettare i miei sentimenti. 
Ma rimangono i ricordi intensi e veri di quei lunghi pomeriggi in quella casa tanto sgarrupata quanto la nostra famiglia.
Famiglia dalla quale ho scelto, non con dolore, di prendere le distanze... Ho scelto di prendere le distanze anche da te forse perchè sono troppo vigliacco o troppo egoista, sicuramente troppo debole per accompagnarti nel tuo viaggio unico e inspiegabile.  

Che sia una vita forzata, alimentata dai bisogni di qualcun altro o semplicemente destino al di fuori della comprensione razionale, rimane comunque la tua esperienza che io non voglio, ahimè, e non riesco  a condividere.
Spero possa perdonare la mia assenza e la mia incapacità di amare che tanto impedisce la mia completa realizzazione come essere umano.

Ti posso solo augurare nel mio cuore di andare dove devi andare e di vivere ciò in qualche tempo e in qualche modo hai scelto di esperire.
Non posso non sentirmi che meschino per non onorare un legame di sangue ma così è, almeno per il momento. 
Ti posso però dire che sto lavorando su di me per far la pace con una famiglia dalla quale mi sento lontano anni luce.
Non so definire bene i sentimenti che provo nei tuoi confronti, ma posso sicuramente ammettere al mio cuore e al tuo che sei fonte di coraggio per sopportare il fardello che porti dal giorno della tua nascita. Fardello che non è solo tuo e che io scelgo di non alimentare o condividere.

Per fortuna intorno a te c'è qualcuno che ti ama per chi sei ....
Non so se le scelte che ti hanno portato oggi a compiere 30 anni siano state scelte egoistiche o dettate da un profondo amore. Posso solo indagare sul mio sentire, sospendo il giudizio sugli altri, pur con qualche difficoltà.
Non ti nascondo però che penso a te a volte come uno strano amuleto magico il cui pulsare luminoso  permette ad altri di vivere una sorta di illusione che chiamano vita, ma probabilmente mi sbaglio.

E ogni tanto mi perdo nei mondi possibili nei quali ti ho accompagnato il primo giorno di scuola, ti ho scorrazzato in macchina subito dopo aver preso la patente o ti ho dato qualche consiglio su come comportati con la compagna di classe per la quale hai preso la prima cotta.
Sogno ad occhi aperti un legame di amore tra due adulti che condividono momenti ed esperienze. 
Ma pensare a ciò che "sarebbe potuto succedere se" lascia il tempo che trova.
 

Il mio regalo per te è tenerti oggi nel cuore e nella mente più degli altri giorni e prometto che prima o poi io e te faremo la pace e ci abbracceremo ancora. 
Questo posso fare oggi fratello. 

Auguri Federico.

giovedì 21 settembre 2017

LUNA ASCOLTAMI


Che sia il nodo lunare, che sia il repentino cambio di stagione, che sia il nuovo orario di lavoro… Bhè, non so bene quale sia la ragione, ma sono in un momento di difficoltà. Nel corpo, nella mente e nel cuore.

Questi due giorni, in particolare ieri, ma in realtà dallo scorso fine settimana, mi sento molto liquido, appesantito. Ieri ho pianto un lago di lacrime dense e salate e oggi mi sento comunque un gavettone pronto ad esplodere.
E’ difficile spiegare e raccontare la continua e costante eruzione di sentimenti, spesso antitetici tra loro, che percorrono il mio sentire. A volte ustionanti ed altre dannatamente ghiacciati. Momenti  incontenibili ed altri così vuoti da fare un eco terribile e infinito.
Scelgo con fatica dei percorsi, riconosco con immenso sforzo chi mi ama e mi sostiene. Mi dedico anima e corpo ad attività sterili per poi non avere energia per ciò che in teoria mi nutre e mi interessa.
Ma mi interessa veramente? Cosa mi interessa? Cosa fa vibrare le mie corde?
In realtà non lo so. Vorrei tanto avere qualche idea chiara ma ho solo dubbi. Su tutto. Ed è logorante. Nell’indecisione scelgo sempre l’azione rispetto alla stasi. Perché sono bravissimo a stare immobile e quindi ho già dato. Il movimento, per me, è sempre e comunque positivo, anche quando non incontro significato.

Sono anche in un momento di sfiducia, cosmica, universale. Pur raccontandomi favole e toccanti metafore, la verità è grezza e spigolosa. Non so affidarmi a nessuno. Scelgo di non fidarmi, ancora, ancora e ancora. Nonostante credevo di aver coltivato un  piccolo giardino di buoni sentimenti e intenzioni sono un cazzo di asfaltatore di terreni.  
Mi rendo conto che non avendo fiducia nel prossimo, nelle occasioni, nella vita in generale, non si può amare davvero.  Senza fiducia non si può amare nessuno. Mi posso ingannare con delle belle frasi, con immagini romantiche, ma nella realtà sono molto simile al signor Burns dei Simpsons senza il cash.

Mi ritrovo a contemplare, davanti allo specchio, un essere Ivano che pensavo aver abbracciato e accolto, ma in realtà solo rinchiuso e dimenticato. C’è in me un animaletto risentito, ferito e abbandonato. Un essere oscuro che rimugina su una vendetta contro tutti (in primis i poveri genitori poveri loro davvero) rosicchiando con i denti marci le sbarre arrugginite della sua prigione.
Mi piacerebbe essere finalmente adulto, pronto a dare veramente e capace di ricevere senza sentirmi in colpa, ma purtroppo sono ancora un mostriciattolo pieno di risentimento. Mi viene in mente il mio referente per eccezione, il mio alter ego, il Grinch. Però questa volta mi sento il piccolo Grinch,  quello pieno di tagli perché ha cercato di tagliare il pelo verde del suo volto per assomigliare ai suoi coetanei,  ma deriso perché diverso.  
Il piccolo Grinch, che digrigna i denti furioso e con lo sguardo pieno di odio e disperazione.

Ho imparato che per poter migliorare bisogna sapere dove si è nel presente, e in questi giorni, con immenso dolore e dispiacere, io l’ho scoperto. Ho spento il mega proiettore (anzi è andata via la luce) con immagini bucoliche e colori vivaci. Ho visto con orrore che sono ancora in una stanza grigia, da solo per scelta.

Che forse un ramo spezzato non si possa mai raddrizzare? Che marcire sia l’unico destino possibile? E’ il momento di riconoscere la mia grettezza e non cercare di essere qualcuno migliore? Oppure lottare, lottare, insistere e perdere ma continuare a cercare la luce che illumini l’oscurità che scelgo ogni giorno?

Mi rivolgo a te Luna, che tanto identifichi il mio essere non-luminoso ma riflettente… A te, che con i suoi nodi, crateri e misteri, mi rendi vivo anche se quello che sento non mi piace.
Luna che muovi le mie maree interiori, aiutami ad andare avanti a testa alta, nonostante il mio non sapere riconoscere e onorare chi mi vuole bene, nonostante sia più facile cedere ai miei impulsi autodistruttivi, nonostante la mia immaturità.
Nonostante il mio dolore a volte immenso.


Luna ascoltami mentre ti osservo in queste notti d’autunno.

lunedì 28 agosto 2017

IL MANTRA DEL DISTACCO.

Sono tornato dalle ferie già da una settimana, ma oggi mi sento veramente in lutto.
Oggi che hanno ripreso a lavorare i colleghi meno sfigati di me che si sono sparati 3 settimante, freschi e abbronzati;  pieni di energia e pronti a ricominciare. Io sono pronto per finire, per spezzare le catene come Dayneris Targarien e liberarmi dal giogo degli schiavisti di Meren.
Come si fa a tornare dalle vacanze con quel sorrisone stampato? Come si può ritornare in gabbia dopo aver volato libero? O non si riconosce la gabbia, o non si vola. Le cose sono due. Comunque io mi ritrovo qui, nella rassegnazione che ormai è mio scudo contro questa assurda perdita di tempo ed energie.

In lutto.

Dispiaciuto per aver perso quei magici momenti nei quali sono io a decidere a cosa dedicarmi. Sgrano un rosario di rimorsi ed uno di rimpianti mentre veglio sulla bara che contiene i resti di alternative possibili.
Sono vedovo della mia libertà, massacrata e uccisa dal sistema economico e dalla mia incapacità di creare e perseguire.

Ma anche io sono colpevole di rapimento e omicidio: ho sequestrato la mia capacità di sognare e dopo averla tenuta per mesi senza cibo e senza luce, l’ho lasciata morire miseramente.

Sono in lutto anche per quel senso del dovere e di ineluttabilità che mi faceva affrontare questa schiavitù con un sorriso. Tutti devono lavorare, bisogna guadagnare denaro, non puoi farci niente. Il mondo va avanti pistolero. 
O lo segui o rimani indietro.

Pur sapendo che si può sempre tentare (se fossi più deciso, se avessi un progetto concreto, se avessi abbastanza coraggio) continuo a camminare sullo stesso percorso incidendo un solco sempre più profondo che fra poco diventerà un tunnel, un loop temporale da ripercorrere senza via di scampo. Una ruota per criceti dove costruttore e roditore sono la stessa entità.

Sia chiaro che non sono disperato proprio perché so che una speranza c’è. La possibilità di cambiare esiste anche se non so assolutamente dove cercare. E anche se trovassi il posto giusto, la X sulla mappa, mi immagino come una scimmia che trova uno smart-phone nella giungla. Bello, ma come cazzo si usa? A cosa serve?

In questi giorni continuo a ripetere nella mia testa una frase di una canzone di Nina Zilli: la vita è una breve vacanza dall’eternità. E subito abbino questa grande verità (per me il mantra del distacco) ad un immagine di me gigante che cammina per città piccole piccole con la testa che supera le nuvole. E così riesco a ridimensionare situazioni e condizioni che altrimenti mi sembrerebbero quanto meno soffocanti e probabilmente troppo grandi da gestire.

Se siamo in una vacanza allora va tutto bene in fondo in fondo. E’ sulla superficie che si creano i problemi,perché per quanto possa convincermi di vivere nella Maya, nella grande illusione, mi perdo nelle piccole vicende che di significato non ne hanno. O forse si e io non so coglierlo.

E riprendo il “dopo ferie” un po’ disilluso, stanco e dispiaciuto ma mi sento anche un pò gigante, così,anche se schiaccio una merda con i piedi, non sento l’odore.
Che poi diciamocelo chiaramente. Ma come si fa a sembrare così soddisfatti e rinvigoriti dopo due settimane (se va benissimo tre) di contentino? Solo a me sembra un’immensa presa per il culo avere 2 settimane di ferie ogni 6 mesi di lavoro (a chi va bene oltretutto)?

Gente che l’ultimo giorno prima “della partenza” saluta i colleghi con abbracci e baci come se dovesse partire per sempre. E quando torna porta presenti e racconta esperienze vicine all’estasi della beata vergine quando la visitò l’arcangelo Gabriele. Ma un po’ di senso del reale no? Vi fate proprio vendere il sale benedetto da Vanna Marchi! E per favore! In realtà la mia è una critica invidiosa. 

Anche a me piacerebbe un sacco vivere l’emozione della vacanza pre-confezionata dove la sorpresa più grande che ti può capitare è fare un rutto improvviso per aver bevuto acqua frizzante troppo in fretta. Anche io vorrei aspettare le ferie come un bambino aspetta il Natale e dimostrare che più sono abbronzato più la mia vita ha senso.

Invece penso che il soggiorno nel villaggio turistico dove si torna ogni anno non sia un “VIAGGIO. Credo sia più uno spostamento di culo: dal divano alla sdraio. E non riesco a pensare che le due settimane siano solo briciole che ritrornano dopo aver passato un anno a sfornare km di baguettes.

Sono in lutto perché a volte mi sento l’ultimo uomo sulla faccia della terra che vede il mondo per ciò che è e non per quello che è meglio che sembri per non impazzire o far spruzzare il sangue delle mie vene tipo fontana di capodanno.

In realtà so che non sono da solo in questo mondo ricco di possibilità ma ricoperto da un sottile strato di cacate di uccello, ma oggi è il Lunedi del rientro e mi sento Calimero nel mondo dei cigni bianchi e un fottuto sopravvissuto ad un lavaggio del cervello di massa.

E così recito il mantra del distacco e ritorno con la testa tra le nuvole perchè va sempre bene, va tutto bene soprattutto quando non riesci a far nulla per cambiare qualcosa.

Dracaris.

lunedì 3 luglio 2017

POTA IL TUO BONSAI - tanti auguri a me e a te-

Oggi è il mio compleanno. 37 anni di vita. Come mi sento? Sfatto e stanco perché ieri ho pre-festeggiato in solitaria con troppo cibo e troppi film. 
Ma stamattina sono tranquillo. In questo preciso istante non ho aspettative, non credo succederà niente di particolare e non mi sento diverso da ieri. Mi sento sereno, grato di aver ricevuto i primi auguri da persone care, non molto contento di essere al lavoro, ma alla fine chissene. 

E’ un giorno normale, come gli altri, ma è anche un giorno molto speciale. Non so bene come spiegarlo però quest’anno non mi interessano festeggiamenti, men che meno ricevere regali o torte. Sto vivendo un mini-party dentro di me, un brindisi tra Ivano e Ivano insomma, un auto pacca sulla schiena e un “dai ci sei arrivato quasi integro..”

Sono incuriosito da questo numero, dalla mia età, dal mio essere adulto e dal modo nel quale io percepisco questo stare al mondo. Dentro di me c’è ancora un ragazzino, che non sa cosa vuole fare. E devo dire che questa sensazione è familiare e pacifica; probabilmente è l’ostacolo che mi fa stare in questa bolla di Peter Panismo ma è comoda. E soprattutto mi da speranza perché vedo ancora il mondo attraverso la lente caleidoscopica del possibile

 Mi interessa oggi, adesso, e so che quest’anno è successo  qualcosa. Forse è  solo  spuntato un nuovo ramoscello timido ed esile che si seccherà sacrificandosi per dare più energia al ramo principale del mio albero o forse e’ nato qualcosa di nuovo e duraturo. Una diramazione che con attenta potatura, potrà dare nuova forma alla mia chioma.  E’ l’anno della metafora con l’albero. Mai come oggi vedo la mia vita, le mie scelte e il mio possibile, come un bell’albero cicciotto con le sue radici che affondano nella terra e i suoi rami che si protendono verso il cielo.

Giusto ieri, alle porte della mia nascita, ho potato per la prima volta il mio bonsai, su indicazione di un caro amico che vive in Spagna e che è qui in Italia proprio in questi giorni.
-Ce l’ho anch’io questo bonsai, ma non lo poti? –mi chiede dopo  cena.
-Potare? Ma va! E’ già un miracolo che sia vivo!-rispondo basito dalla domanda.
-E allora cosa tieni a fare un bonsai ? Devi curarlo, dargli forma.-
-Ah, effettivamente in Karate Kid il maestro lo spiega come si debba fare con i bonsai, però non mi è mai venuto in mente. Ho così paura che muoia, che mentre cresce e fa nuove foglie non mi sogno nemmeno di sfiorarlo!-
E mentre parlo, mi immagino subito un parallelismo tra la mia situazione attuale e il mio bonsai. Quel cosa lo tieni a fare un bonsai, è stato registrato dal mio cervello come "ma cosa ce l'hai a fare una vita se non le dai la forma che vuoi?"

Così ieri, per la prima volta, ho deciso con coraggio di mettere mano alle forbici e decidere di dare una forma al mio albero.
Curioso ed interessante che il cosmo mi abbia regalato questa potatura alle porte del mio 38ettimo anno di vita. Al meno per me. In realtà colgo un regalo enorme, un insegnamento, una nuova occasione: dai forma alla tua vita, scegli e muoviti verso una direzione anche se ancora non esiste.

Ho sempre scelto gestendo quello che viene, poche volte decidendo prima un percorso. Ed ogni volta mi si chieda di dare forma alla mia chioma, rifuggo titubante perché è più semplice lasciare crescere come viene senza forzare. Ma capisco ora che non si tratta necessariamente solo di lasciar andare o forzare. Esiste anche il dare una direzione, progettare, muoversi verso, credere insomma in qualcosa che ancora non c’è.
Che è poi la fiducia che il seme ripone nella terra, dello spermatozoo nell’ovulo e del credente nella divinità.
Ieri, con la mano tremante mentre sceglievo di tagliare un bel ramo ciccione nella speranza che nascano nuovi rametti tra le fronde più basse, ho capito che è giunto il momento di rischiare qualcosa, di progettare e di affidarsi. Al proprio intuito e alla buona sorte.
E’ stato un instante magico intriso della mia volontà di dare nuova forma alla natura e di una fiducia nel cosmo che non lascerà morire l’albero ma anzi favorirà nuovi rami.

Anche io mi sento albero. Sono albero e giardiniere allo stesso tempo. E oggi ho iniziato a potare i miei rami.
Buon 3 Luglio.


lunedì 19 giugno 2017

SOGNO DI UNA NOTTE DI INIZIO ESTATE

La collina dei cugis è in realtà più un pratone in cima ad un piccolo monte che si affaccia sul lago. Al centro c'è la nostra tanto amata casa, corpo materiale delle nostre anime che finalmente, dopo tanto cercare e lottare, possono condividere lo stesso spazio. Non è stato semplice trovare il coraggio di sognare, procurarsi le risorse per realizzare e incontrare questo posto. Ma, proprio quando stavamo per gettare la spugna, ce l'abbiamo fatta.
Era una vecchia fattoria in disuso, con una casa centrale spaziosa su due piani, con i muri spessi ed un fienile poco lontano.
Quando ci siamo entrati la prima volta era in pessime condizioni ma abbiamo voluto subito (soprattutto Margherita e Mariasole) andarci a vivere. Certo all'inizio non è stato facile ma trasformare quegli spazi abbandonati in casa nostra è stato un processo magico.

Mi sveglio presto come tutte le mattine ormai senza bisogno della sveglia. Il sole che spunta dalle montagne all'orizzonte illumina la stanza e per quell'ora il maledetto gallo Jack ha già iniziato il suo concerto. Siamo liberi dal dovere, ora viviamo solo nella volontà.
Come spesso accade mi giro stiracchiandomi e l'altra metà del letto è vuota. Che strano e piacevole scoprire il mio compagno il più mattiniero della famiglia quando prima aveva bisogno di 10 sveglie solo per aprire gli occhi!
Mi alzo senza fretta e mi infilo nel mio tutone. Siamo a metà Giugno ma ancora la mattina ha quel delizioso e rinvigorente freschino che solo in montagna si può godere. Saluto il panorama ringraziando il grande architetto per averci fatto incontrare questo posto magico.

Abbiamo deciso di tenere il carattere originale del casolare: muri grezzi e finiture in legno. I mobili li abbiamo recuperati, abbelliti e restaurati. Alcuni, anzi molti, li ha costruiti Cristian, che nel tempo è diventato un abile falegname.
Scendo le scale già sentendo profumo di caffè. E' un piacere camminare a piedi nudi sul pavimento di pietra fresco e ruvido per poi farsi coccolare dagli scalini di tiepido legno levigato.
La cucina è la parte che mi ha fatto subito innamorare di questo posto: abbiamo tenuto il vecchio lavandino enorme in ceramica con il suo rubinetto in ferro scuro. Sulla parete di sinistra c'è un enorme camino, di quelli vecchi, che ci si entra in piedi, vera anima della casa. Intorno ad esso abbiamo disposto divani e poltrone e le serate di inverno si perdono in racconti e risate o in semplice contemplazione.

Come spesso accade sono fortunato e la mega caffettiera (non mi ricordo chi l'ha portata) contiene ancora del caffè tiepido. Mi riempio la mia tazzona (ognuno di noi ha la sua tazza fatta da qualcun altro della famiglia come regalo di benvenuto alla collina cugis). La porta finestra è aperta e mi accingo ad uscire nel clima primaverile immaginando già chi incontrerò.
Daniela siede sul tavolone ricavato da un vecchio tronco. Siamo i "pigroni del gruppo", di solito gli ultimi due che fanno colazione. Tazza e sigaretta e il suo buongiorno, mi ricordano come sempre che tutto è come dovrebbe essere. E' ancora arruffata, spettinata eppure così bella persa in qualche strascico di sogno mentre assaggia il nuovo giorno. Sparpagliati sul tavolone ci sono fogli, appunti, immagini, disegni. Le do un bacio leggero sulla guancia. Stiamo lavorando al nostro secondo contorto, immenso, splendido romanzo. E la mattina è il momento che preferiamo per lavorare insieme anche se lei è più animale notturno. Daniela sa bene però, che prima di buttarmi sulle vicende dei nostri cari amati personaggi, io ho bisogno della mia passeggiata.

Lascio la cugi intenta a riorganizzare le idee per il nuovo capitolo e scendo i gradini di sasso che dal giardino di fronte a casa, portano un pò più in basso verso il campo ed il fienile.
Come immaginavo in lontananza sento l'abbaiare giocoso dei nostri cani. Sarebbe più appropriato dire che sono i cani di Gianni. Macchie pelose saltano e sbraitano tutti innamorati del loro vero e unico padrone.Ogni mattina, pur vivendo liberi entro i confini della nostra tenuta, Gianni li porta a correre e giocare, li controlla ad uno ad uno alzando orecchie, piegando zampe, ispezionando dentature e grattando pance. Ogni tanto li rimprovera ma più spesso li coccola e li abbraccia. Il mio compagno. Quante ne abbiamo passate insieme, quanti dubbi su dove andare e cosa fare, e poi alla fine eccoci qui io con le mie montagne e lui con i suoi cani. Ed ogni volta che lo vedo tra i suoi cuccioloni divini ( come dice sempre lui) mi sento investito da un torrente d'amore. All'inizio doveva essere un piccolo allevamento di bulldog francesi, una coppia per fare dei cuccioli, alcuni da tenere e altri da vendere. Ora di bulldog ne abbiamo 7; due labrador, tre husky, una coppia di pastori tedeschi e un san bernardo detto il cavallo. E qualcuno è in dolce attesa. Come capita spesso qui alla collina, siamo tutti in sintonia, come un macro organismo e  mentre io lo osservo in lontananza Gianni volta lo sguardo e mi saluta con uno di quei sorrisi che hanno il potere di cancellare anche l'incubo più terrificante.

Continuo la mia passeggiata lasciando sulla mia sinistra il campo aperto e percorro il sentiero per inoltrarmi nel rigoglioso giardino di Viviana e della sua apprendista Margherita. Viviana, amica del cuore, si è specializzata nel tempo nel creare un giardino da Eden e Margherita ha presto sviluppato talento e passione. Chiaro è che qui tutti facciamo un pò di tutto, ma ognuno di noi ha i suoi rituali per iniziare la giornata. Ed eccole, sporche e splendide dietro i girasoli in ginocchio sulla terra umida e scura il cui profumo intenso mi fa sempre ricordare mia madre. Cappello di paglia (identico per entrambe)  e pantaloni comodi zappano e strappano, piantano e innaffiano. Si guardano e sorridono mentre Viviana da indicazioni. Margherita segue i consigli ma si vede abile nel maneggiare bulbi e radici. Complici dee mentre creano un nuovo mondo. Osservo per qualche istante la naturalezza con la quale comunicano quasi senza parlare. Una fotografia dell armonia che può esistere tra uomo e natura.
Al centro del giardino Cristian e Daniele, hanno costruito un splendido gazebo in legno. Sul pavimento abbiamo messo tatami e un sacco di cuscini. E' splendido perdersi nella lettura di un buon libro circondato da quei colori e profumi che  il costante amore e la cura di Viviana e Margherita ci regalano.

Troppo prese dal loro lavoro non si accorgono di me e così io proseguo il mio cammino. Poco più avanti c'è il fienile che abbiamo trasformato in un paradiso per artisti. Abbiamo diviso l'immenso spazio in un laboratorio d'arte che chiamiamo l'officina ed una falegnameria soprannominata la tana dell'elfo. Qui Cristian ha tutto l'occorrente per trasformare il legno mentre l'officina è il regno di Daniele e da qualche tempo di Maria Sole nel quale si dedicano a scolpire, tagliare, modellare e dipingere. Il fienile è molto grande e abbiamo anche ricavato un bel salone per fare feste e concerti, laboratori e corsi vari. La collina è aperta a tutti. Il rumore di strumenti meccanici ed elettrici mi suggerisce che Daniele è già al lavoro. Mi fermo sul portone semi aperto e sbircio dentro: un grosso blocco di marmo occupa il centro della stanza mentre lui di schiena sta borbottando qualcosa mentre prende delle misure su un foglio. Anche di spalle Daniele ha un aspetto un pò burbero perso nei suoi calcoli mentre si agita perchè qualcosa non lo soddisfa. Io invece sorrido compiaciuto perchè sicuramente creerà qualcosa di bellissimo! Quasi sto per riprendere la mia passeggiata quando noto una figura muoversi nell'angolo opposto intorno al flessibile: eccola Mariasole, selvaggia con i suoi occhialoni da saldatrice, salopette di jeans e guanti troppo larghi mentre si prepara a tagliare un lungo tubo di metallo. Prima di accendere quel marchingeno infernale mi vede, mi fa il "rock and roll" con la mano (pugno chiuso con pollice, indice e mignolo alzati) tira fuori la lingua emulando uno dei Kiss e poi si immerge in un'eruzione di scintille! Nel rumore assordante riesco a farmi sentire da Daniele, che si gira con i suoi capelli color paglia, occhiali da professore e matita all'orecchio. Solo con il movimento delle labbra gli suggerisco" Occhio alla rocker per favore" indicando Maria Sole. Lui contrae i muscoli del viso verso il suo naso adunco nella sua solita espressione " Ma cosa me lo dici a fare? Ovvio, e lasciaci in pace" ma prima di tornare al suo "mestiere" mi fa un sorrisetto.

Continuo la mia passeggiata e proseguo verso la falegnameria immaginando il volto di Maria Sole in estasi tra lame e schizzi incandescenti.
La tana dell'elfo è l'ultima parte del fienile. Trovo Cristian che sta dando forma ad un sottile strato di legno: da qualche giorno è all'opera con la sua prima chitarra. Musica reggae in sottofondo, quello è il suo habitat: certo passiamo tempo anche nella saletta in taverna a fare musica ma qui è come vedere un uccello che vola libero nel cielo  o un pesce che guizza tra le acque limpide di un fiume. Se Daniela è la "mami" della famiglia, Cristian è il "babbo". Calmo e serafico, con il suo sguardo profondo che non giudica mai, oltre che essere un grande amico è anche un punto di riferimento silenzioso e stabile. Come un albero. La sua tana è una gioia per gli occhi: ci sono un sacco di antine, cassetti, sedie, sgabelli e casette per le bambole che vendiamo ai mercatini che organizziamo, cucchiai e bacchette magiche. Oggi noto però qualcosa di nuovo: un oggetto ingombrante è ricoperto da un lenzuolo."Dai cugi dai un occhiata ma non dirlo a nessuno" mi tenta Cristian. Senza farmelo dire due volte mi avvicino e alzo l'impolverato telo per scopro una bellissima culla di legno chiaro, con inciso un cuoricino rosso sulla testata. " E'ancora da finire" ci tiene a precisare. "Grande cug" dico entusiasta " sarà felicissima ma ti conviene nasconderla, qui ci sono troppi occhi curiosi". Eh si, Viviana, pur instancabile come sempre ormai è al settimo mese.... Fra poco la nostra famiglia sarà un pò più grande!

Lascio Cristian alla sua opera e giro intorno al fienile per ritornare al pratone dei cani per salutare il mio compagno. E' già sudato e sorridente come un bambino. Dopo avergli dato un abbraccio e offerto l'ultimo sorso del mio caffè, mi aggiorna sullo stato dei cani. Sono d'obbligo carezze, lanciare qualche rametto, e farsi leccare un pò. Posso ora ritornare sui miei passi guardando la nostra casa incorniciata da un cielo magnifico: finalmente so di essere al posto giusto con le persone giuste. La mia famiglia.

Perso in questo sentimento di gratitudine quasi inciampo su Lampo, la nostra pecora velocista che pensa di essere un cane e corre come un'indemoniata. "Ehi teppista!" le grido e lei si ferma un istante solo per guardarmi e dire con la sua espressione di sufficienza "eri tu sulla mia strada " per poi schizzare di nuovo verso il resto del branco.
Ritorno, ora completamente sveglio, al giardino davanti casa, mi siedo vicino a Daniela e incominciamo il nostro rituale:" tutto a posto in giro?" "Certo cug, tutto al suo posto!". "E" aggiungo oggi " fossi in te non andrei in officina perchè tua figlia sta creando". " Non dirmi che ci sta riprovando con la motosega eh?" mi chiede ad un tratto agitata. "No" rispondo " motosega no, però sta usando il flessibile!!!" " C'è lo zio Daniele almeno?" "Certo cug, c'è lo zione non preoccuparti!"
E con una risata ci buttiamo a capofitto nelle trame complesse del nostro racconto.

Così inizia una giornata qualunque, nel mio mondo non perfetto ma da sogno completamente soddisfatto di chi sono e di chi condivide con me tempo e amore.

Che sia di buon auspicio per tutti i cugis!!!!

LA POESIA DEL MALUMORE (ed è ancora Lunedi)

Oggi me ne vorrei andare, cambiare paese, ricominciare.
La casa che tanto mi faceva sognare ora è la sede di un incubo senza fine.
Fatture da pagare, spese da giustificare, una corsa estenuante per arrivare a fine mese. 
Ma è sempre una gara persa, non c’è competizione. E mentre corro perdo la speranza, e mi supera la rassegnazione.
Lavoro tutto il giorno con persone che preferirei non frequentare.
Svendo il mio tempo, regalo il mio impegno mentre tace la passione. 
Un vortice di voci fastidiose che sporcano il mio sentire.
E torno a casa la sera svuotato e spento senza energie da dedicare a ciò che amo fare.
Vedo poco la mia gente, nutro poco il mio cuore e sorrido stancamente qualche secondo ogni mille ore. 
E non trovo soluzione ma problemi a non finire, una montagna di scartoffie e richieste da riempire. Per far valere un solo diritto una guerra senza fine, i nemici con le lance io in mano una rosa con le spine.
E se prima almeno il cibo in casa non mancava, adesso è desolante vedere il mio frigo l’ultima settimana. 
Di un mese che diventa eterno quando si contano le monetine.
Un tempo che ritorna con sempre meno prospettive.
Mi rimane il sogno, la fuga con un libro o scrivere una canzone. 
Divagare con il pensiero,allontanarmi da una realtà con una magica pozione. 
Perché non c’è significato in ciò che mi costringo a fare. 
Sono schiavo del denaro e di un debito che non si può sanare.

Sogno una collina soleggiata, con un piccolo casolare. 
Qualche gallina e qualche anatra, forse due pecore, sicuro un cane. 
Sogno il cielo qui vicino e l’odore della terra al mio risveglio.
Sogno di vivere con chi amo padrone del mio tempo.
Sogno il semplice contemplare di questo regno stupendo. 
Lavorando nel significato e per sentirmi sempre meglio. 
Sogno tanto e vivo male e ogni giorno mi sento un po’ più asciutto. 
Di marmoreo minerale il mio cuore si è intessuto.


Ma ancora ho speranza perché so cos’è l’amore. 
So che è possibile creare e immaginare verità nuove. 
Oggi è solo un giorno nero ma che voglio ricordare.
Perché non voglio più piegarmi ai voleri di un re folle. 
Né tiranni né padroni a decidere i miei giorni. 
Voglio solo la mia gente, i miei fratelli i miei compagni. 
Una comunità di uomini per far crescere germogli. 
E cantare sotto il sole o intorno ad un focolare. 
Senza troppi giri di parole: voglio solo stare bene. 

mercoledì 26 aprile 2017

FUOCO E FIAMME, FUOCO E FIAMME

Con oggi è una settimana giusta che sono ammalato...
Malattia seria, da stare a letto tutto il giorno, non mi capitava da anni.Oggi è il primo giorno nel quale l'ipotesi di una completa guarigione non sembra più una chimera irraggiungibile.

Io, fortunatamente, non mi ammalo quasi mai. Mi piglio qualche raffreddore, ci sono dei periodi dove ho una bassissima energia ma quasi mai cado a terra e ci rimango. E se mi viene la febbre vuol dire che il mio corpo ha bisogno di tanto riposo, fisico e mentale.

E così ho passato queste giornate tra deliri e imprecazioni, vivendo un tempo che si dilata e contorce al ritmo dei dolori ossei e sbalzi di temperatura corporea.
Quando sto male faccio strani e contorti sogni, i dormiveglia si trasformano in viaggi extra corporei in universi contorti e a tratti grotteschi.
Tutto si confonde, si ripete o si fissa in istanti fastidiosi che sembrano durare secoli. Raggiungo l'apice della malattia quando mi convinco che non guarirò mai più. Che rimarrò sempre in un stato di continuo torpore, tra letto e divano senza energie neanche per scaldare l'acqua per il riso in bianco.
Ma poi, ovviamente, si sente il richiamo alla vita, quel magico processo di guarigione che rimette le cose a posto. Dal ramo secco rinasce un fiore.

Di solito non mi piace prendere farmaci, ma da buon uomo cacasotto, quando il dolore è troppo o se lo sto sopportando da troppo tempo, allora cedo al chimico. Completamente.
In questi giorni ho preso: Oki per il mal di gola e mal di testa strazianti; antibiotico per le placche, tachipirina per la febbre, uno sciroppo con troppi ingredienti che finiscono in -INA per la tosse e pastiglioni per sintomi influenzali.
E capisco tutti i dipendenti da farmaci. In particolare l'OKI è una sorta di polverina magica. Dopo due notti insonni per mal di gola e tosse mi è bastato prendere una bustina e in 10 minuti dormivo come un angelo. Tutto sparisce e tu non devi fare niente per meritartelo..... Fantastico e terribile allo stesso tempo.
Ma le mie elucubrazioni febbricitanti non sono rivolte all'annosa questione omeopatia-allopatia. Dirò solo che in una società che vuole tutto e subito non ci si può prendere il tempo necessario ad una vera guarigione in armonia con il proprio corpo.
Al lavoro c'è gente che si presenta con 40 di febbre e le croste nel naso per dimostrare il loro attaccamento, dimostrando solo poco rispetto per sè stessi e mettendo in cattiva luce quelli come me che, se stanno male, davvero, se ne stanno a casa.
L'omeopatia richiede tempo, dedizione e grande amore. Ma soprattutto tempo. Che non ci è concesso. Stare male non è un diritto ma un lusso.

Comunque, questi giorni mi sono serviti per capire qualcosa sulla mia situazione attuale ed in generale ho capito che non posso non essere chi sono. Mi spiego meglio.
In questi mesi si sono presentate, soprattutto sul lavoro, situazioni per me fonte di grande stress.
Cercando di essere un me migliore, ho tentato di sviluppare un lato accogliente nei confronti di ciò che non tollero o comunque non mi piace e non condivido. Ho tentato di adottare la tecnica del "CHE CAZZO ME NE FREGA" nei confronti di persone e situazioni che cozzavano con il mio modo di pensare e gestire le relazioni.
Bene, il risultato è stato uno spegnimento della mia fiamma interiore. Il far finta di niente o sorridere quando dentro sentivo un'eruzione vulcanica pronta ad esplodere e invadere di lava tutto ciò che mi circonda, credo mi abbia fatto ammalare.
Se una persona mi sta sul cazzo non posso far finta che non sia così. Posso chiedermi perchè proprio lei, posso indagare personalmente su ciò che mi riflette, ma comunque mi sta sui coglioni e sto "bene" solo se questa persona lo sa. A prescindere dalle conseguenze. Mi sento falso e ipocrita sorridendo a qualcuno che riempirei di schiaffi.
Se ci sono atteggiamenti del mio compagno che mi fanno imbestialire, ho bisogno di farglielo sapere, con i miei toni burberi e poco accoglienti forse ma devo far uscire quest'energia altrimenti mi sento morire. E rispettando questa mia "esigenza" miglioro anche la relazione.
Io sono così: nervoso e a tratti intransigente, diretto e schietto. Odio i leccaculo, i falsi, quelli sorridono e pugnalano allo stesso tempo. Mi piace la chiarezza nelle relazioni di qualsiasi tipo. Anche se ciò comporta una non relazione. Per me essere sani vuol dire rispettarsi completamente.
Era da un pò di tempo che mi sentivo spento, smorto, senza stimoli di nessun tipo. E continuavo a chiedermi perchè.
Il motivo è che cercavo in tanti ambiti della mia quotidianità (primo fra tutti il cazzo di lavoro) di fare buon viso a cattivo gioco. Bhè fanculo il buon viso, e fanculo il cattivo gioco.
Se una cosa non mi piace io DEVO GRIDARLO AL MONDO INTERO. E non è una questione di orgoglio come pensavo, ma una questione di rispetto di sè stessi. E di giustizia. Io posso cedere a compromessi solo se in rispetto di chi sono.
Probabilmente non riesco a spiegarmi troppo bene, ma ho bisogno di fissare questo sentire per voltare pagina.

Il porgi l'altra guancia non fa per me. Se mi tiri uno schiaffo e te lo rido. Poi magari possiamo sederci e discutere sul perchè ci siamo pestati.
E proprio pensando a questa peculiarità del mio carattere che non voglio più opprimere ma abbracciare, ricordo che alcune delle più grandi amicizie sono nate proprio da questo attrito focoso. Ognuno ha il dovere di riconoscere e rispettare il proprio temperamento. Cercare di guidarlo e arginarlo a volte ma mai di cambiarlo umiliandolo.
Se uno è fuoco non può far finta di essere acqua.
E io sono fuoco, che mi permette di bruciare di passione ed indignazione. Fuoco che alimenta le mie emozioni e la mia creatività. Fuoco rabbioso  che a volte brucia senza ritegno e a volte scalda con amore.
E voglio bruciare fino al mio ultimo giorno.

martedì 18 aprile 2017

IL LABIRINTO DELL'INCAPACE

Me l’avevano predetto… quest’anno sarebbe stato strong… E al momento lo è tantissimo. Le difficoltà sono arrivate con il cambio di stagione, la primavera  ha richiesto un pegno: tutta la mia energia e la mia (poca) positività.

Ed ora mi trovo in seria crisi sia lavorativa che famigliare… Ho anche vissuto un momento intenso e triste con il mio compagno, ma grazie al cielo è servito solo a farmi rendere conto di quanto lo ami e voglia stare con lui. Gianni rimane un faro lontano per una nave in tempesta. Grazie mi amor.
La mia tranquillità d’animo è scomparsa completamente lasciando emergere spavaldi  Dubbio ed Pessimismo;  ma quello che più mi fa tremare le gambe e brillare gli occhi è il Vuoto. In questi giorni mi sento  svuotato e sembra che non abbia neanche voglia o forza di riempire di nuovo il buco. Forse ciò è quello che chiamano depressione. Il termine rende. De-pressione :  non sentire più quella pressione che delimita il tuo corpo, che ti centra, che ti dice che ci sei e dove sei.  Ho la sensazione di perdere fisicità, materia. Da compatto e solido ad un liquido informe . E, a proposito del liquido, in questi giorni ho la lacrima facile, salto da un dubbio ad un altro, la mia insicurezza è da quotare in borsa e non ho voglia di vedere nessuno. Olè, chiamatemi Dr. Allegria.

So che è un momento (spero), ho attraversato, come tutti, periodi difficili e ne sono uscito, ogni “morte” è strettamente correlata ad una “rinascita” ma mentre muori non pensi a che bella sarà la nuova vita!

Sento la necessità di un cambio, di un giro di vite di un’evoluzione personale. Non una fuga ad un altro paese, non un nuovo lavoro uguale al precedente.  Mi piacerebbe proprio una svolta, un nuovo inizio con un diverso sentire e una diversa prospettiva.  Sogno tanto una comunità autosufficiente dove quello che fai ti serve per vivere e nella semplicità scoprire la ricchezza della condivisione e di una vita in armonia con la natura.

Che poi magari pre-sento solo l’incombente conflitto nucleare che quei pazzi  imbecilli stanno organizzando o semplicemente la maturità mi rende meno flessibile e meno propenso al compromesso.  Ma ho paura di spezzarmi.
Giornate intense, di attesa, di disperazione a tratti e tanto tanto smarrimento.


giovedì 30 marzo 2017

VIBRAZIONI COSMICHE. Mandala meditativo: riscoprire la luce.


Portare la luce dall’oscurità, far emergere ciò che soggiace, perché, come ben sai, la luce non ha senso senza l’oscurità.

Questo il tema profondo del secondo incontro di mandala meditativo. Impegnativo, intimo, atavico e per me quasi impossibile.

Sono più abituato a coprire la luce con l’oscurità. Più bravo a negare che far emergere. E questo la dice lunga su chi sia io oggi. Molto interessante.

Iniziamo con una “meditazione ritmica”. Ognuno ha uno strumento percussivo, e, emulando il battito del cuore, viaggiamo ad occhi chiusi dentro di noi e indietro, fino a ricordare gli albori dei tempi. Terre vulcaniche e fuochi, caverne umide e belve feroci, primordiale vegetazione e misteri inspiegabili.  Tu-tum,  tu-tum , tu-tum. Daniela propone una frase da masticare durante la meditazione ma io non riesco a seguire le parole perché sono nel battito, nel ritmo, nella regressione antropologica. Non è la prima volta che mi ritrovo a sentire con forza e trasporto questa connessione potente ed intima  con l’origine dell’uomo.

Ritorniamo dal “viaggio” e siamo pronti per “mandalare”. Oggi utilizzeremo una tecnica particolare; il carboncino o fusaggine. Si tratta di gessetti neri, cenerosi, con i quali coloreremo un cerchio. Deve essere completamente nero, aiutandosi anche con le dita.

Noto una certa soddisfazione nel riempire il cerchio di un nero profondo e concentrato. il timido bianco rugoso del foglio sottostante sparisce ad una velocità pazzesca (che poi si contrappone alla lentezza del portare alla luce) e ritorno un po’ bambino nel sporcarmi prima di tutti il 90% della superficie delle mani. C’è chi usa un solo polpastrello, chi la punta delle dita e chi qualche dito insieme per spargere la grafite. Io, uso tutta la mano da palmo a falange. Sia la sinistra che la destra.  
E nel foglio bianco appare questa sfera nera, una luna in completa eclisse che suscita in me un certo fascino. Creata l’oscurità è nostro compito riportare la luce.  

A differenza di molte altre tecniche di disegno qui la dinamica è al contrario: per completare, per creare, non devo aggiungere ma togliere. Molto interessante il doppio rimando di quest’attività: per poter realizzare il mandala bisogna togliere, rinunciare alla pienezza del nero per arrivare all’apparente vuoto del foglio bianco.

Rinunciare per scoprire cosa emerge. E anche nella vita, per evolvere, per andare avanti e conoscere il nuovo bisogna sempre rinunciare a qualcosa.

Non posso non pensare ad un concetto filosofico  a me caro: per poter vivere pienamente  bisogna riguadagnare la luce dello spirito oscurato dalla compenetrazione con la materia.
E’ qui che meditazione, proprio-cezione e creatività s’ incontrano in un circolo “mandalico” potentissimo ed è proprio qui che io e Daniela vorremmo portare ad ogni incontro i partecipanti. Senza troppe spiegazioni, anticipazioni o cornici descrittive. Trovarsi a contatto con se stessi attraverso l’azione e semplicemente prendere nota di ciò che accade. O no. Potersi sentire nel momento e vivere la metafora del sentirsi attraverso una rappresentazione è il segreto dell’arte ed è il segreto dell’uomo. Intendo ora come si sia sviluppata questa capacità tutta umana; nata come un esigenza per dare forma a misteri tanto inspiegabili si è poi evoluta come possibilità di trasformare lo sconosciuto in conosciuto. Da qui i simboli e tutte le forme d’arte che ora per me assumono un nuovo significato: la rappresentazione dell’uomo nei suoi molteplici aspetti.

Nel mio caso, non sono riuscito a portare luce nella mia oscurità. Il nero ricopriva velocemente i pochi sprazzi di bianco che riuscivo a guadagnare con i miei polpastrelli luridi, che da una parte spostavano i piccoli granuli di carbone per poi farli tornare con un'altra ditata. Tutti gli altri partecipanti invece, in diverse forme, riuscirono senza difficoltà a far emergere la luce giocando con “l’ombra” nel creare alberi, fenici e motivi geometrici.

Io basito, insisto, tolgo e aggiungo, mi sporco, ci riprovo ma non emerge niente. Il nero ritorna in un grigio sporco che racconta quanto sia ancora imprigionato nella mia di oscurità, nei miei limiti e nelle mie credenze erronee. Il mio potenziale, la mia energia vitale, la mia luce ancora è nascosta dal nero delle mie paure e della mia insicurezza.

E alla fine emerge qualcosa: un mostro marino, un “polipone” forse. Una serie di linee curve che a qualcuno ricordano un simbolo tribale. A me non piace ciò che è emerso ma non importa. E’ significativo che mi ci riconosca perché è uno specchio nitido di chi e dove sia adesso.

E' confortante sapere che dietro l’oscurità, per quanto spessa e per quanto difficile da scansare, c’è sempre luce. A volte troppa.




martedì 28 marzo 2017

ALLA SCOPERTA DELLA MAGIA. MANDALA MEDITATIVO.



Come sempre all’inizio di un nuovo laboratorio sono un po’ teso, un po’ insicuro, un po’ dubbioso.
Quanta gente arriverà? Riusciremo a trasmettere la nostra idea? Piacerà? Torneranno?
Le attese per me, sono sempre violente, soprattutto quando cariche di aspettative. So che, quello che Daniela ed io immaginiamo, progettiamo e pianifichiamo è bello, significante e che non può fare altro che bene, eppure c’è sempre la possibilità dell’errata comunicazione. Il messaggio, nel suo viaggio attraverso la comunicazione, può subire cambiamenti.
 In realtà poi, mi fido del cosmo e sempre, quando entro nella Corte Dalì, incomincio di nuovo ad ascoltarlo. Verranno le persone che devono venire, come dice serafica  e pacifica Daniela.

Non posso non sentire la sacralità di un tempio all’interno della corte. Un tempio intessuto non di dogmi e rigore, di venerazione verso divinità vendicative. La corte è un tempio che si regge su colonne di condivisione e di uguaglianza. Varcata la soglia ci spogliamo dei nostri ruoli, si sciolgono le maschere e siamo solo esseri umani pronti a viaggiare insieme alla riscoperta di una spiritualità tanto intima quanto comune a tutti. Qualsiasi sia l’attività svolta si entra in uno stato di comunione  che nutre lo spirito e placa la mente.

Ma ritorniamo al laboratorio.
Prepariamo i tavoli, le sedie, predisponiamo i materiali, un po’ di fiori e piante che fanno colore e richiamano la circolarità dell’universo del quale il mandala è il rappresentante; che non manchi l’aroma del palo santo. Compassi e matite, pennarelli e pastelli.
Arrivate tutte le partecipanti, ahimè sempre l’unico maschio (uomini venite, non abbiate paura dell’incontro!), Daniela da una bella introduzione su cosa sia il mandala e su cosa vorremmo noi focalizzare l’attenzione. Io rimango con queste poche righe.
Mandala in sanscrito significa sia cerchio che centro. La forma sferica, circolare ,appartiene alla natura, all’universo, all’uomo. Il mandala è un’attività contemplativa e meditativa che porta dal micro al macro, dalla cellula alla galassia. Il nostro intento è quello di avvicinarci alla meditazione (pratica tanto umana quanto difficile da recuperare) attraverso il fare.
Ho conosciuto lo strumento del mandala molti anni fa, con Daniela. Ho un quaderno pieno di coloratissimi mandala fatti nell’arco di un anno molto intenso.

Abbiamo iniziato il laboratorio con 5 minuti di meditazione, anzi di contemplazione di un oggetto. L’idea era quella di avvicinarci alla sensazione meditativa e di assaporarne la difficoltà. La nostra mente è abituata a lavorare senza sosta, impilando e incastrando pensieri, programmando il futuro, ricordando il passato.
Stare nel presente, immersi completamente nel momento, sembra un movimento contro la nostra natura frenetica e dispersiva. Ma in realtà è uno dei segreti per la felicità.

Uno dei fantastici poteri del mandala è proprio questo: rimanere nel presente e fuori di sé, lavorando su di sé. Potrebbe sembrare un pensiero contorto ma il concetto è molto semplice. Possiamo lavorare su noi stessi solo quando noi non siamo soggetto ed oggetto allo stesso tempo. La facilità con la quale diamo un consiglio ad un amico sottende che solo vista dall’esterno, una situazione può essere compresa e se problematica, risolta.
Il mandala muove qualcosa dentro, mentre tracciamo le curve con il compasso, mentre disegnamo un fiore o mentre scegliamo l’accostamento dei colori e la forma che vogliamo fare emergere.
Fare un mandala, prima di tutto è terapeutico e curativo. Lo si può disegnare o cotruire, possiamo farne parte o possiamo cantarlo. Ci sono molte forme per realizzarlo. Attraverso il processo creativo (in generale qualsiasi, in particolare con il mandala)  la nostalgia del passato e l’ansia per il futuro allentano la presa sul nostro sentire fino a scomparire, come nuvole che si allontano lasciando solo un cielo azzurro e sereno.

I primi mandala sono quelli un po’ più difficili forse perché, quando si disegna, noi abbiamo la cattiva abitudine di dover fare qualcosa di bello e non qualcosa di vero (per noi stessi ovviamente). In generale nell’arte, quando si vuole fare qualcosa che piaccia, che rispetti dei canoni, non si crea ma si copia o si imita. Solo liberandoci dei limiti estetici possiamo creare. La creazione vera e sincera coincide quasi sempre (anzi sempre direi) con la bellezza.
Anche io, Martedi, pur avendo fatto centinaia di mandala, ho iniziato con l’ansia da bel lavoro. “Sono quello che ne ha fatti di più qui dentro, forse dovrei far vedere qualche tecnica particolare, forme geometriche e disegno libero, come uscire fuori dal cerchio” e altre paranoie; ma poi il mandala mi ha portato dentro di me. La mia voce interiore si è zittita e ho incominciato a disegnare, seguendo un flusso armonico, senza pensiero. Come una corrente dall’interno verso l’esterno ho creato curve e triangoli, ho disegnato fiori e ho fatto ordine.

Antropologicamente, i simboli sono molto potenti, direi uno strumento divino. Dall’albore dei tempi, il cerchio, la spirale, la curva e poi le figure geometriche erano la rappresentazione di fenomeni naturali e misteriosi. E per quanto non ce ne accorgiamo più, anche oggi, questi “segni” agiscono in noi. Abbiamo bisogno di riappropriarci della magia che ci circonda e che abbiamo dentro di noi.  

Il mandala cura. Il mandala è magico.

Provare per credere. Disegnare un mandala quando si è arrabbiati, confusi, tristi, disperati, porta ad un cambiamento. Non sarà la polverina magica di Pollon, ma è un solido strumento di auto-centratura e quando si è centrati è più difficile essere spostati dai venti impetuosi delle nostre giornate.


Namastè.

martedì 21 febbraio 2017

STAGIONE DI CACCIA


AAA cercasi ispirazione. Dopo aver stipulato un accordo con la Volontà per incominciare a scrivere dei racconti, sono alla disperata ma soprattutto divertita ricerca di ispirazione. Così come sono ispirati i miei blog (nel senso che nascono da un idea o un esperienza  e poi vomitati fuori a getto tipo esorcista) ho bisogno che anche un racconto sia ispirato. 
Che si accenda quella luce, quel lampo improvviso che  indichi la direzione da prendere. Il cammino poi si aggiusta passo dopo passo.

Sono emozionato, incuriosito, elettrizzato. Un po’ frustrato perché ho incominciato 3 o 4 racconti ma nessuno mi apparteneva, nessuno era ispirato. Il cosmo ancora non mi ha sussurrato all’orecchio la mia storia. Ma “chissene” no? No ho fretta e questa  apertura, questo avere i sensi all’erta, pronto allo scatto come un giaguaro mi piace. Mi piace molto.
Ora sono libero da pretese e aspettative: non mi interessa scrivere un romanzo (mi piacerebbe un sacco ma al momento non ne sono in grado), o scegliere un genere preciso. Non so ancora che tipo di scrittorie sia. Voglio cogliere il mio personale punto di vista attraverso una storia che non sia necessariamente personale.
Breve o lungo che sia, che tratti di persone o di animali, di temi profondi o di leggerezze sono disponibile a tutto pur di scrivere con onestà, impeto e intensità.

Da ieri è incominciata la caccia alla storia.

In palestra ad esempio, invece  che perdermi nel jazz mentre sudo e impreco contro il trainer che mi ha fatto la scheda, ascolto i discorsi delle signore sul tappeto mentre camminano in salita e usano slang da giovani per sentirsi in forma anche nel lessico; mi avvicino con non curanza ai finti maschi alpha che guardandosi attraverso gli specchi parlano di figa e pastiglioni. Osservo gli atleti più disciplinati che sono completamente immersi nel corpo e nel respiro. Ascolto i discorsi degli studenti che si ritrovano più per socializzare che per allenarsi. Ma direi che la palestra non è forse il luogo migliore per cercare ispirazione. Chi può dire però quale sia? E’ un po’ come il gioco dei Pokemon sul cellulare. La mia storia potrebbe nascondersi da qualsiasi parte.
Anche quando sono in macchina, di solito concentrato sui vocalizzi o nell’ascolto di qualche brano, cerco di osservare il paesaggio umano e non: spero di incontrare un espressione, un atteggiamento, una situazione che accenda la luce sul mio primo soggetto.

In realtà sono sempre stato un estimatore del PEOPLE WATCHING. Mi interessa un sacco osservare la gente nelle loro dinamiche e credo che questa passione possa essere strumento per poter scrivere il mio primo racconto da adulto. Si, perché di racconti ne ho scritti un sacco da ragazzo. Li custodisco come tesori e ho anche pensato di partire da uno di quelli per poi sviluppare un idea più complessa, ma mi sembra di rubare ad un bambino. Voglio scrivere da adulto, adesso, con questo processo che richiede METODO e PAZIENZA, qualità che entrambe entrano all’ultimo secondo sul treno del mio essere. Immagino tutte le parole e aggettivi che mi caratterizzano in una metropolitana  affollata e che Metodo e Pazienza corrono trafelati giù dalle scale e si tuffano tra le porte che si stanno chiudendo schiacciati tra il vetro e Indolenza , un’obesa parolona che non li permette di muoversi per trovare un posto più comodo.

Insomma, evviva la ricerca, la sperimentazione l’attesa attiva. So che per trovare qualcosa non bisogna focalizzarsi sulla ricerca ma sull’apertura all’incontro.

Al momento sono aperto come una finestra su una bella alba infuocata.


Nasconditi pure dove vuoi storia, perché ti troverò comunque!

domenica 19 febbraio 2017

LE ASTRAZIONI PERICOLOSE

Quanto tempo dall'ultimo blog... In realtà non mi interessa tanto la continuità anche perchè mi sono reso conto che ogni blog che scrivo è una tessera di puzzle che incastro nella complessa immagine della mia conoscenza. E, una volta inserito, ho bisogno di tempo per contemplare ciò che emerge, ciò che si incomincia a intravedere e sentire che è parte di me.

Mi rendo conto che tutto quello che faccio è propedeutico ad una maggiore conoscenza di me stesso. Sono sempre più affascinato dall'universo interiore dell'uomo, di me in particolare ma anche degli altri. Direi che è più semplice conoscersi attraverso gli altri. Come tante volte ho già scritto ci sentiamo tanto individui ma in realtà sviluppiamo a grandi linee gli stessi meccanismi di difesa e cerchiamo tutti una sempre più inconsistente felicità in quanto astrazione di qualcosa che non si conosce.

Ho letto ieri una frase di Carl Jung  (per caso mentre facevo una ricerca sul mandala) che ha sistemato verbalmente qualcosa che già sentivo dentro me. A grandi linee diceva che più un uomo è civilizzato nel senso di strutturato (sia nella società che nell'individualità) più si allontana dall'istinto, dal vero e dal semplice. Se da un lato la civilizzazione ha portato materialmente del benessere, dal punto di vista dello spirito, a mio avviso e da quanto ho voluto cogliere da ciò che ho letto, abbiamo perso il focus, spostandoci dall'essenza vera ad una serie di astrazioni che non portano a nulla se non all'indecisione, all'uniformità con regole e leggi create ad hoc per controllare e dirigere. Da qui la grande crisi spirituale dei nostri tempi, il vuoto che tanti di noi sentono e non sanno spiegare. La ricerca di soluzioni all'esterno perchè l'interno è troppo stratificato per raggiungere il centro. Prima (non so definire con esattezza storica un prima) forse si moriva per una polmonite ma tutto era più permeato di umanità, il contatto era più diretto, la connessione più semplice. Ora ci preoccupiamo solo della connessione internet.

Sono in un momento di forte presenza. E' altresì presente un'esigenza ad allontanarmi da me stesso, una forza che vuole che io sia cieco e sordo al richiamo del mio mondo interiore ma so che è solo una richiesta del tempo in cui vivo, una voce esterna. Oggi sono affascinato dall'interno. L'interiorità che permette di riscoprire quella connessione con gli altri e con l'universo. E senza astrarre troppo, cerco di sgomitare tra le coperture e le strutture esterne delle quali scopro essere ricoperto, scoprendo in una parola un tesoro: semplicità.
Semplice è sentire se siamo in ascolto, semplice è vedere se abbiamo gli occhi aperti ed uno sguardo curioso. Semplice è incontrare se siamo pronti a ricevere e chiedere. Non vorrei si confondesse il mio concetto di semplicità con aggettivi qualificativi come bello e brutto. Può essere, anzi molto spesso è così che ciò che senta, incontri o veda non mi piaccia ma ora, l'interesse è volto al vero.
Ieri ho imparato che per poter sapere dove voler andare bisogna esattamente sapere dove si è e non dove si vorrebbe essere. Direi che è un concetto semplicissimo eppure non l'avevo mai intuito. Certo la ragione era al corrente che se c'è un arrivo ci deve necessariamente essere una partenza ma il mio cuore (inteso come centro dei sentimenti e motore spirituale) no. Realtà invece che astrazione. Lo scarto necessario è accettare dove siamo anche se non ci piace e da li progettare i nostri movimenti. Come faccio a raggiungere un qualsiasi obiettivo se non so dove sono ora, adesso?

Adesso mi sento in una posizione privilegiata, perchè ho i sensi all'erta. Non so dove voglio andare, non ancora, ma da buon esploratore sto perlustrando con accuratezza dove sono. Non ho fretta, ma sono deciso, mentre spolvero una pietra che nasconde una vecchia anfora.
Conoscendo il mio presente posso provare a rielaborare il passato e investire nel futuro. Fino ad ora mi rendo conto che io ero sempre da qualche altra parte.
Ho capito ad esempio dal qui e dall'ora che il mio non sentirmi mai in diritto di nulla, la mia bassissima autostima, la mia predipsosizione al fallimento proviene da un eredità genetica, dal passato. E sapendo che è un lascito, un passaggio di testimone, posso anche scegliere di lasciarlo in un angolo e non portarlo con me nel futuro. C'è e ci sarà sempre quella voce che mi dice "non vali nulla" e probabilmente incontrerò persone che specchiano questa mia modalità, ma sapere che è una valigia che prima era di qualcun altro mi permette di non aprirla e di non portarla con me.

Mi piace scrivere, mi alimenta, mi fa sentire completo. Come cantare. Il blog fino ad'ora è stato il mio terapeuta, il mio scrigno del tesoro dove depositare le mie intuizioni, le mie verità, ma mi rendo conto che, per quanto riguarda l'esercizio della scrittura è anche il mio rischio assicurato. Continuerò a coltivare quest'orto perchè la verdura che raccolgo la trovo molto saporita e nutriente, ma sento che è arrivato il momento di sentirmi in diritto di scrivere per creare e non solo per riflettere.  Può anche darsi che io non sia uno scrittore, ma ciò non toglie che mi possa divertire a farlo comunque. Non mi sento in diritto di farlo, ma ho capito che questo è un mio limite. Di fatto non mi sento in diritto di niente: di cantare, di scrivere, di avere un bell aspetto, di essere comprensivo, amorevole etc. E per quanto i miei geni gridino all'unisono NON SEI CAPACE  io SO, ADESSO, che ho il diritto di farlo comunque e che molto probabilmente si sono capace di fare un sacco di cose e di farle bene. Ecco , l'ho scritto, e mentre lo facevo prendevo un profondo respiro. E' una mia verità. Il corpo non mente, la mente si.

La creazione di qualcosa di nuovo è assai complesso, è una sfida. Come lo scalatore che inizia l'allenamento in una palestra per poi affrontare la prima vera parete di roccia, ora mi sento pronto (e intimorito) per poter iniziare a raccontare qualcosa che sia al di fuori di me (almeno in parte).  Posso scrivere e lo farò. E se scriverò banali racconti saranno comunque i miei racconti e l'arte prenderà un giorno il posto dell'esercizio. Per il momento scrivo perchè scrivere è parte di ciò che sono. E ne ho il diritto.
Buona lettura a tutti.