giovedì 24 novembre 2016

IL SARTO SALAMANDRA

Anche oggi sveglia dopo poche ore di sonno: una manciata di minuti sparsi tra riflessione, dormiveglia e svenimento. Mi sono svegliato comunque energico, pieno, perché ieri, forse più  delle altre volte ho ricevuto tanto. 
Oggi mi sento un po’ guerriero non belligerante, o un viandante bello deciso sulla direzione da prendere. Guerriero nell’atteggiamento, pronto a tutto, viandante nell’azione. Cammino, sicuro, ed inizio ad avere la sensazione di lasciare un’impronta.  

Mi sento in fase di completamento: è strano da scrivere, per me che ho spesso vissuto al bordo e al di fuori. Nella continua ricerca di un posto nel mondo, credo di essere nella zona del "fuochino". Uno spazio tiepido per capire chi sono anche attraverso ciò che faccio. Incomincio a percepire un centro dentro di me che mi ancora al terreno e non sono più così tanto in balia del vento. Da ramoscello le mie radici mi permettono di trasformarmi in arbusto. Mentre i miei rami possono tendere al cielo. O così voglio pensare.
Ieri c’è stato un altro incontro con il laboratorio di scrittura creativa. Mai il mio tempo è stato investito così bene. E quella situazione è uno specchio (uno dei tanti) della mia vita in questo momento. Lì sono un po’ partecipante e un po’ conduttore, un po’ mi lascio andare e un po’ osservo e  mi nutro. Durante il laboratorio riesco, a fatica, a spostare il focus sugli altri. E si ripresenta il mio sull’egoismo ed il tema della libertà. Mettersi da parte per lasciare spazio a qualcun altro fa bene. Fa bene a me ovviamente che pecco di troppo egocentrismo. Strano ma è come trovare un centro spostandomi dal mio. Trovare una posizione comoda e finalmente dire ah, credo che sia il mio posto. Non più trono di spade ma soffice poltrona.

Gli anni passati a martoriare e indebolire la mia autostima mi hanno portato a rifiutare spesso il confronto, la vicinanza, lo scambio. Sono scappato tanto di quelle volte che potrei essere un velocista olimpionico. E questo tema del correre via si insinua in me dando una nuova chiave di lettura alla mia impossibilità fisica di correre (ho avuto un problema circolatorio alla gamba sinistra, squartamento chirurgico, cicatrici da pirata o gladiatore e gamba rincoglionita). Pensavo che fosse solo un suggerimento cosmico per prendere il mio tempo nel fare le cose, senza precipitare ma gradualmente avvicinarmi e godere di più il momento. Ma forse non era solo quello. Intuisco ora che si trattava anche di  un invito a non scappare più via ma a rimanere, senza scuse e senza pretese, dove in qualche modo, scelgo di stare (scegliamo sempre, anche quando ci sembra di subire l'ira degli dei). 

Ritorna spesso e oggi colgo questa mia sfuggevolezza, questa mia capacità di rendermi “viscido” come un’anguilla e non poter essere afferrato.
La prima persona che mi ha fatto stare è ovviamente Gianni. Prima di lui ci sono state persone che mi hanno fatto incontrare con il mio essere anfibio, ma lui ha spezzato la maledizione e da anguilla sono diventato salamandra. Un buon passo avanti. E di passi da fare ne vedo ancora tanti e sono così contento di aver voglia di farli, con il mio ritmo ma con decisione e fiducia.

Nella mia testa e nel mio petto riecheggia anche la parola libertà, che negli ultimi post sento la necessità di menzionare. Mi sento sempre più libero di dire ciò che penso, di fare ciò che mi sento, anche di pentirmene subito dopo magari. Non cammino nel giusto, ma cammino nel vero del mio presente. E mi interessa sbagliare, confrontarmi , imparare se possibile seguendo sempre quella voce interiore che finalmente ha un volume percepibile dal mio cuore. Sono più libero del pensiero altrui, del giudizio, delle analisi. Soprattutto se mi riguardano. 
36 anni, la maggior parte dei quali passati nella sensazione del difetto, dell'inadeguatezza. Questo sentire corrosivo nel tempo è diventato un compagno fedele, un parassita con il quale mi riconoscevo. Ora cerco di liberamene, sentendo che un pò si sgretola al vento come terra secca. 

Finalmente, dal groviglio di lana nera stanno uscendo dei bei fili colorati che si districano e si muovono per il mondo. Onorare i propri talenti in maniera personale e vera, sentirsi in diritto di parlare, dissentire, cantare, giocare, amare e condividere; osservare, contemplare o semplicemente stare in disparte. Avere la possibilità di credere, rinunciare, impegnarsi, resistere e combattere senza bisogno di ferire per continuare a tirarsi sempre più fuori da un contenitore che ci costruiamo durante tutta la vita e che quasi sempre è troppo piccolo e scomodo.

Il laboratorio di scrittura creativa si sta rivelando per me anche un corso di formazione. Un percorso iniziatico che condivido con belle anime che non si tirano mai indietro e che hanno voglia di darsi completamente. Persone che insegnano mentre imparano e la verità è così luminosa che a volte devo distogliere lo sguardo.In una serata vivo tante sensazioni diverse, complesse, contrarie. A volte incontro un mio sentire che crea ostacoli invece che scorciatoie ma mai me ne vado con le tasche vuote.  Imparo o riconosco sempre qualcosa su me con gli altri. 

E’ difficile stare con se stessi, senza distrazioni, ma per me è difficile anche stare con gli altri. Difficile nel senso di impegnativo e ricchissimo allo stesso tempo. Come stare davanti ad un banchetto regale, con così tante pietanze diverse da aver paura di fare indigestione. Ed è anche come una sala degli specchi piena di mie immagini somiglianti anche se non le riconosco tutte. C’è così tanto, così diverso (e uguale per certi versi) che non c’è spazio per "il me", per il mio amico ego.E ne soffro. Mi capita ancora (arg) il paragone tra me e gli altri. Così il soggetto sono comunque io.
Ed è un po’ come cercare il principe azzurro e paragonarlo ad ogni uomo che frequentiamo. Il principe è sempre meglio. Io sono sempre meglio. Ma così facendo si perde la magia. Capisco che nell'incontro, può anche essere leggero e leggiadro. Si può toccare, sfiorare, vedere la propria identità e quella di qualcun altro senza il bisogno di avvinghiarcisi dentro. Si può incontrare senza giudicare. La magia della connessione con altri esseri  umani sta proprio, secondo me, nella possibilità di vedere altri mondi, anche senza il bisogno di compenetrarli. E non puoi essere spettatore, o meglio regista, se vuoi essere anche protagonista.

Ciò che c’è, in relazione con gli altri, si scontra sempre con ciò che io ho previsto ci DEBBA essere. Ha poco senso, anche grammaticale noto, ma le mie repentine delusioni accadono perché la mia aspettativa non si compie. Sono un oracolo che crede solo nelle sue visioni senza accogliere la meravigliosa possibilità del mistero che le altre persone possono portare nella mia vita. Sono un lavoratore minuzioso, un sarto che confeziona vestiti e obbliga gli altri ad indossarli. E qualcuno, pur di starmi vicino lo fa pure. Mi dispiace. 
Taglio e cucio e stringo e se il comportamento esula dal travestimento, sguscio via.Mi rivedo in questo momento in tante situazioni dove ho preferito rimanere solo perché sapevo esattamente cosa sarebbe successo. Orribileeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee e tristeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee. Ma vero, lo vedo, lo riconosco, lo accolgo e cerco di mediarlo, perché stare con gli altri, in alcune situazioni mi piace e sempre arricchisce.

Si diventa più umani non solo quando si progredisce, ma quando ci si riconosce. Anche in qualcosa che non ci piace. E’ curioso come alcuni movimenti portino ad altri di diverso tipo. La flessione porta alla riflessione. I rimandi e i messaggi criptati che le nostre giornate ci regalano improvvisamente, da rebus indecifrabili, si trasformano misteri svelati. 

La bella serata di ieri si è conclusa con un viaggio in macchina con una persona speciale, un’affinità elettiva, amica e mentore. Una pazza gioiosa con la quale, tra presenze e assenze, risate sganasciate e silenzi, condivido 14 o 15 anni della mia vita. C’è apprendimento, c’è collaborazione, tanta intesa, immenso affetto e non posso fare altro che dire grazie CUG, dal profondissimo del cuore per tutto il tempo trascorso, per le occasioni e l’indulgenza; non per ultima per questa grande possibilità di abitare uno spazio condiviso tanto bello e potente.

Un incontro, con la cug, che ha segnato e dato una svolta alla mia vita. Una relazione sempre in movimento, in evoluzione, a volte in crisi ma mai per davvero. Un punto di riferimento, uno dei pochi nella mia vita, nel bene e nel male. Negli anni le ho girato intorno, l’ho evitata, criticata, amata, temuta. Ora è il momento in cui la scelgo per quello che è senza etichette e senza limiti. Perché è famiglia, divertimento, crescita e lavoro. 

 E perché è ora di accogliere chi abbiamo intorno completamente senza porre limiti. Essere liberi per me, oggi, significa permettere agli altri di essere se stessi.  E mentre scrivo penso a Gianni, Vivi, Ilaria, Daniele (entrambi) e altri con i quali ho dipinto e dipingo oggi l’affresco della mia vita.
Grazie.Davvero.Grazie.

lunedì 21 novembre 2016

UN BUON LUNEDI' DI LIBERTA'


Il concetto di libertà è oggetto di indagine  personale da molto tempo. Cos’è la libertà per me? Il potersi fare i cazzi propri a prescindere? Costruire e distruggere senza ritegno? Pisciare in piedi e non pulire l’asse del cesso? Libertà è sinonimo di ribellione o alimento per l’ego? Ammetto che la mia opinione riguardo questa parola così potente abbia subito un sacco di modifiche durante il mio percorso. Ora credo che la parola libertà abbia uno stretto legame con un'altra parola magica: amore. Per me sono intrinsecamente connessi l’uno con l’altra: non c’è amore senza libertà e non c’è libertà senza amore. Sia nei confronti di se stessi che verso le persone amate.
Oggi è un buon Lunedì.

Il tempo autunnale mi piace un sacco. Una leggera pioggerellina che rende tutto più vivo (ai miei occhi per lo meno) e sembra mi culli, mi mantenga protetto mentre vado al lavoro.  Nella mia testa “Autumn in New York” cantata da Ella, mentre osservo foglie gialle e rosse ballare leggiadre nell’aria. Mi sono svegliato con un gradito regalo via mail, un bel racconto, che mi ha dato una buona energia e tante idee per il laboratorio di scrittura. Ieri sera poi sono andato a letto con un senso di grande gratitudine nei confronti del cosmo in generale e del mio compagno in particolare. Abbiamo passato il fine settimana stropicciati sul divano guardando film, cucinando a turno e mangiando e prendendoci in giro come facciamo di solito un sorriso, un vaffanculo ed un abbraccio. Abbiamo chiaccherato con buoni amici facendoci quattro risate e tutto è filato, liscio, leggero, semplice ma intenso. Direi vero. Sarà che per molto tempo quando io ero a casa lui lavorava e viceversa, sarà che fra poco meno di un mese andrà in Uruguay per 6 settimane (maledetto!) sarà che si avvicina l’inverno ed il Natale ed io sono sempre più in modalità “tutona” . Chissà cosa sarà, ma sta di fatto che questi due giorni di coccole e intimità mi sono piaciuti tanto.

Sono contento. Può darsi che tutto finisca fra un’ora o che vada avanti fino all’ultimo mio giorno su questa terra. Ma me ne fotto. Vivo il presente. Più che posso.
E rifletto sulla fortuna che ho di vivere, nel bene e nel male, una storia d’amore. Una storia non sempre semplice, che mi fa incazzare a volte e piangere altre. Un continuo mettersi in discussione, guardarsi allo specchio. Come voler ascoltare una stazione radio che continua a cambiare frequenza. Bisogna continuamente girare le manopole per trovare il segnale perfetto. E non sempre ci si riesce. Ogni tanto bisogna portare pazienza ed ascoltare quel fastidioso fruscio di fondo. Non è semplice incontrare qualcuno con cui condividere la propria vita. Qualcuno con il quale poter stare nudi (in tutti i sensi) e sentirsi comodo. Un incastro perfetto tra mattoncini di diverse forme e colori. Qualcuno con cui poter essere e punto. Qualcuno con il quale lasciarsi andare, depositare. Costruire e condividere un divenire, uno specchio del proprio sentire. Qualcuno che ti accoglie completamente senza esitazioni. Qualcuno che ti accetta senza limiti. Quando osservo e percepisco questa strana alchimia, questa magia invisibile e incomprensibile, mi fermo stupito a contemplare. E niente ha più valore.

Mi sento leggero e pieno allo stesso tempo. E sembra che, almeno per ora, in questo processo di realizzazione personale, stia trovando un equilibrio (equilibrio? Chi ha detto equilibrio? Tu? Equilibrio? Mapperfavore!!! Mifaidaridere) tra l’individuo e il compagno.  Ovviamente tutto può cambiare in un battito di ciglia, ma adesso sorrido beato.
La mediazione tra gli estremi del mio sentire sembra una cosa fattibile tutto sommato: attrarre fra loro i vertici della mia bipolarità verso un centro compatto e complesso. E’ il lavoro di una vita, un lavoro difficile perché continuo a sbagliare e ad aggiustare il tiro. A volte decido di alimentare solo una parte di me e a volte solo quella opposta perdendo in realtà l’occasione di essere completo. Corro di qua, scivolo, impreco e ricomincio a correre. Poi mi fermo ansimante, vedo qualcosa, cambio idea e ricomincio a correre dall’altra parte. Poi sono stanco. Mi fermo di nuovo ,respiro e osservo dove sono. E ogni tanto vedo un bel paesaggio.

E’ così semplice perdersi via per me. Nel quotidiano, nelle solite cose, nel ritmo ripetitivo che rincoglionisce, qualsiasi cosa stia facendo. E’ come perdere dei sensi all’improvviso: vedere in bianco e nero, non sentire più i sapori, toccare solo la superfice delle cose, non l’essenza. Ma per fortuna ci sono i momenti di chiaroveggenza: quegli istanti mistici dove vedi chiaramente dove sei e chi sei , il vivo complesso universo di persone e di possibilità nel quale sei immerso e  …ti senti grato. O fottutamente inorridito. Va bene comunque. L’intuizione, il sentire vero di un momento, permette di sapere che si è sul cammino giusto o decidere di cambiarlo completamente.
In questo week end mi sono osservato molto. Ho osservato la mia dinamica famigliare, ho riflettuto, ho fatto paragoni, ho giocato al “e se fosse qualcos’altro?”. In realtà quel che ho visto mi è piaciuto tanto. E non è cosa da poco, soprattutto perché, fino a poco tempo fa, pensavo mi servisse qualcos altro, completamente diverso da ciò che ho. Invece no. E questo sentire è iniziato come un pensare, dopo una conversazione utile e ricca. Il mio interlocutore mi ha descritto, dal suo punto di vista, esattamente come io non mi sento. Mi vede come “un animale in gabbia” mentre io mi sento finalmente libero di scegliere. Le sue parole mi hanno aiutato a capire, attraverso un momento d’insicurezza e di forte dubbio, che mi sento appagato per quello che ho e che faccio, sono contento dove sono e dove sto andando. Magari non arriverò lontano, ma per me l’importante è muoversi. Perché, anche se non palese agli occhi di tutti, lo sto facendo, onorando i miei talenti e rispettando  la mia casa. Non mi sto limitando, ma sto vivendo il più possibile ciò che ho senza bisogno di stravolgere nulla.  

Amore e libertà: esplorare il mondo ed esplorarsi come individuo, scegliere un legame e riconoscerlo. Rinunciare senza perdere. Accogliere e condividere.  
Oggi mi sento benedetto perché libero e amato. 

venerdì 18 novembre 2016

NON SONO UN'ISOLA

Ciò che cerco nella vita è serenità. Svegliarmi con un sorriso, affrontare le giornate con voglia di fare, passione ed emozione. Sentirmi soddisfatto per quello che sono e quello che ho. Tendere sempre ad un miglioramento personale, inseguire i miei sogni e viverli per quel che mi è possibile. Questa è la mia missione (ammesso che poi ce ne sia soltanto una).

Improvviso e urgente  è arrivato il richiamo all'azione nel mondo: qualcosa con delle mani enormi  mi ha preso per le spalle, mi ha dato uno paio di strattoni e mi ha  spinto nel mondo dopo un lungo periodo di isolamento. Con l’azione è arrivata la domanda sulla realizzazione personale. Questa domanda, per la quale non ho ancora una risposta ben definita, mi ha fatto incontrare, progettare, sognare. Ho sfiorato con il cuore e con la mente delle possibilità che fino a poco prima consideravo chimere.

In questi giorni ho incontrato la dualità tra il mio desiderio di cambiamento e l’enorme prezzo da pagare per attuarlo. Sono convinto che nella vita si possa veramente fare ciò che si vuole (si sente ) quando si vuole. Non ci sono limiti di età, di possibilità o di circostanze sfavorevoli. In questi pochi mesi io ho preso a piene mani un sogno e l’ho stretto forte al petto sentendolo mio, senza badare a ciò che avevo lasciato cadere per terra per abbracciarlo.

Ho perso per un po’ il senso dell’orientamento, dimenticando dove sono adesso, chi sono e soprattutto con chi sono. Ho sognato di essere qualcun altro, un Ivano di un mondo parallelo forse. Io e quell’ Ivano ci siamo toccati e so che potremmo anche scambiarci di posto, ma così perderei necessariamente il mio mondo e non voglio.

Io ho trovato casa qui, con la persona che amo e, almeno per il momento, non voglio rimanere senza.
Questo non vuol dire però rimanere immobili, cristallizzati in una situazione per paura che un minimo cambiamento posa destabilizzarla. Ci sono dei compromessi accettabili, delle scelte condivisibili, e altre che danno un out-out: o con me o senza di me. Io vado da questa parte, se ti va bene vivere all’ombra della mia completa soddisfazione bene se no ciao. Io l’ho fatto con il mio compagno. Ho imposto un mio desidero, gli ho imposto di rinunciare a qualcosa per me, di togliere a lui per dare a me e mi accorgo oggi che tutto ciò non mi piace. Sono libero di fare ciò che voglio nel limite e del rispetto delle libertà altrui. O se sento che questa mi necessità è prioritaria a tutto il resto bhè allora forse vuol dire che il resto non era poi così importante. E non è questo il mio caso. Me ne accorgo sempre dopo, prima agisco con l’impeto di un guerriero spartano che affronta la morte con un sorriso, e poi ragiono, mi rendo conto. Parto come un razzo spaziale verso l’infinito ed oltre lasciando a terra un attonito compagno. Sono libero di farlo. Ma non voglio più viaggiare da solo. Forse saranno le circostanze della vita, le piccole scelte individuali, gli incontri a portarci su due percorsi lontani e inavvicinabili, ma non  voglio esserne io il motore cosciente.

E in questo agire da mega bulldozer riconosco il mio più pieno  Ivocentrismo (ringrazio una cara amica perché ha coniato un termine che da buon egocentrico apprezzo molto). Agli occhi di chi mi circonda io da un giorno all’ altro cambio completamente rotta: la sera prima si veleggiava insieme verso oriente. La mattina dopo macchine a tutta forza verso occidente. E non rompere il cazzo.
Mi sono svegliato di soprassalto ieri, come Bobby di Dallas quando aveva sognato di essere morto per un sacco di puntate. All’improvviso ho visto il mio compagno in lontananza sulla spiaggia che mi guardava basito senza capire perché me ne stavo andando così in fretta. “Ma non dovevamo fare quella cosa? Non avevamo programmato di organizzarci in tal modo?” Non ho condiviso un progetto, l’ho messo davanti ad una scelta univoca e unilaterale.  Bravo Ivano bravo Ivano esisti solo tu nel mondo.

Ed il suo essere magico è che non ha bisogno di usare delle parole. Lui si che mi lascia completamente libero di essere di fare, facendomi capire che non gli interessa condividere però. Ed ogni volta, piano piano lento lento imparo da quest’anima più evoluta di me che, immersa nella luce mi guida senza imporre mai nulla. Grazie.

Apprendere dai propri capitomboli ma soprattutto dagli altri, mi appaga profondamente. Certo, spero con il tempo di misurare i passi prima di saltare ad occhi chiusi nel vuoto, ma per lo meno grazie al confronto, alla riflessione ed ad una continua  indagine animico-sentimentale , riesco ad arrivare a delle soluzioni.

Questi nuovi progetti mi danno una grande soddisfazione perché sono immerso nel fare che tanto mi mancava, ma allo stesso tempo mi accompagna un inquietudine, un sensazione di qualcosa fuori posto che sfociano in nervosismo e instabilità emotiva. In realtà credo fosse la mia coscienza che mi diceva “ stai facendo i conti senza l’oste” e “Non sei un isola Ivano, non più”. Ed è questo il nocciolo della questione.

Ricordo alle superiori, un compagno di un altro corso, mi chiese di disegnare su un foglio una rappresentazione geografica di me da sottoporre alla sua professoressa di psicologia. Era un giochino di rappresentazione inconscia da  inizio anno.
Io disegnai una grande isola con intorno tanto piccoli atolli: in uno c’erano gli amici, in un altro la famiglia etc.  Quando l’insegnante mi vide rimase un po’ basita perché pensava che la rappresentazione l’avesse fatta una ragazza. La mia presenza molto mascolina con gli isolotti cozzavano in qualche modo. Forse se gli avessi detto che ero gay, avrebbe  chiuso il cerchio. Magari l’avrà intuito. Comunque, quell'immagine dell’isola Ivano con intorno gli atolli è rimasta per molto tempo impressa in me.  E nel mio percorso di crescita personale ho scoperto di non voler più essere un isola, ma un continente  fatto da tanti stati uno vicino all'altro, che si toccano. Ognuno con le sue regole, le sue leggi, il suo microclima e caratteristiche specifiche, ma vicini. O al massimo una penisola con dei confini liberi che danno sul mare. Un isola no. Non più.

E mi ritrovo, nonostante questo sentire forte e chiaro, a compiere scelte da isola, che non tengono conto delle ripercussioni  sugli stati o territori vicini perché  penso di avere intorno solo oceano.
In realtà fare parte di qualcosa è da un lato limitante ma dall’altro da un punto di riferimento, un’origine, delle radici che io non ho avuto per tanto tanto tempo. E ora le scelgo completamente. Sempre facendo un paragone con un disegno, ricordo quando iniziai ad indagare me stesso con la cugi  facendo un’attività bellissima che è il disegno onirico. Si fanno dei disegni  volti a rendere una fotografia più o meno inconscia di se stessi. Mi chiese di disegnare un albero ed io, tra tutti i tipi di albero che esistono, disegnai uno in riva al fiume con tutte le radici fuori dalla terra, tipo mangrovia. Cioè il 99 % degli alberi, nell'immaginario comune, ha le radici ben piantate nel terreno ed io ero andato a scovare quel 1% con le radici fuori.

Non voglio più essere una mangrovia  e se devo pagare un prezzo o limitare un mio essere per avere delle radici nel terreno, lo pago volentierissimo. Non nego che mi affascina la possibilità di tornare ramingo sia nell'agire che nel sentire ma preferisco il calore del nido. E per Dio ce l’ho. Come scrivevo prima ciò non implica l’immobilità, anzi mi permette di muovermi ma con un passo armonico rispetto al luogo di partenza.

E’ già nella mia indole svegliarmi una mattina con idee più o meno opposte a quanto fatto e detto il giorno prima e Gianni si è abituato a questo. Ma come posso stravolgere la vita di due persone solo per inseguire un sogno al quale, un mese fa, neanche pensavo? Se devo mettere sul piatto della bilancia una vita di stenti, anzi due, per qualcosa che non ho e una vita dignitosa su più livelli, primo fra tutti quello del rispetto, con ambizioni un po’ ridotte sicuramente scelgo la seconda opzione.

Mi ha fatto riflettere, oltre che una lunga "chiaccherata" con la mia amata Pocchi (migliore amica) anche un messaggio di un collega del gruppo che ieri diceva: "scusate ma non posso venire alle prove perché mio figlio ha la febbre alta". Io risposi “dai dimmi che non hai voglia di venire perché c’è a casa tua moglie che può curare tuo figlio echeccazzo!” “ E’ una febbre non una rara malattia degenerativa”. Lui, con molta eleganza, a differenza mia, continuò” abbiamo solo una macchina e se il bambino peggiora, che padre di merda sarei io a lasciare da sola mia moglie senza mezzo per portarlo in ospedale?”. “Prima la famiglia fratello, sempre”. Ovviamente gli ho chiesto scusa in ginocchio sui ceci perché non avevo afferrato il concetto che ha creato subito uno specchio con la mia situazione. Io, oltre  a decidere che il nostro tempo (mio e di Gianni) valesse meno del mio tempo da dedicare ai miei interessi, ho anche deciso che gran parte del nostro denaro serviva solo a me. Senza chiedere, ho imposto che bisognava stringere la cinghia perché io avevo scelto di fare qualcosa. Non ho pensato minimamente che forse anche lui, aveva voglia di fare qualcosa per sé, o semplicemente di utilizzare il denaro che io mi ero già accaparrato per comprarsi un paio di occhiali da sole. Chi cazzo sono io per decidere che il mio corso vale di più dei suoi occhiali da sole o del suo viaggio? Un compagno di merda sostanzialmente. Uno che però si salva in extremis riuscendo ad aggiustare il tiro prima creare danni troppo grandi.

Io sto facendo un mio percorso che è ben condivisibile. Un cambiamento se vogliamo, che è graduale e armonico con un mio modo di sentire compatibile con la mia vita attuale. Quello che invece mi turba e mi fa vivere male in fondo è un imposizione che in qualche modo limita la libertà della persona con la quale condivido da 8 anni piaceri e dolori. E ciò non mi sembra giusto. Decidendo un cambio di rotta così repentino agisco da completo egoista, come se tutto quello che ho adesso non avesse valore. E’ ovvio che posso farlo, me ne assumo i rischi e le conseguenze , ma devo mettere anche in conto che , qualitativamente tanto guadagno quanto perdo.

Ci sono dei cambiamenti intermedi che mi permettono di mantenere i piedi nel presente, e nello stesso tempo di fondare basi solide per un futuro più soddisfacente. Per entrambi.

Non sono un isola, non sono più un lupo solitario. Ho scelto una famiglia, un branco e nel mio percorso voglio portarmi chi sono adesso con un atto di amore e di profonda libertà per chi mi sceglie ogni santo giorno. 
Grazie.

venerdì 11 novembre 2016

LA CANAGLIA E L'ORGOGLIO ... (ed è solo l'inizio)

Oggi sono infastidito perché ho un inizio di sinusite e sento un forte senso di ingiustizia. E rabbia.
Mi sento antipatico, pesante. Dentro di me c’è un bambino che sbatte i piedi, pugni chiusi che grida “ Non è giusto, non è giusto, non è giusto!”. 
Me lo immagino in divisa scolastica con pantaloncini blu al ginocchio, calze coordinate a metà polpaccio, mocassino orribile (quelli con le frangette), camicia bianca immacolata e giacca tipo blazer con lo stemma del collegio per ricchi che frequenta sul taschino (qualcosa dorato ). Ha i capelli lisci, scuri, lunghi fino all'orecchio con la riga da parte, tutti impomatati, tranne che per un ciuffettino in alto, in cima alla nuca, che non ne vuole sapere di piegarsi alla forza incollante della brillantina. Tipo AlfaAlfa. 
Quello il suo tratto peculiare, quel ciuffo diverso dal resto dei capelli che esegue obbediente come una placida mandria di pecore il volere del potere incollante. E lui, personificazione di quei rivoluzionari ed instancabili capelli, con il suo viso raggrinzito pieno di lentiggini, sbuffa e digrigna i denti perché oggi ha voglia di rompere il cazzo. E ce la fa benissimo.  “NO NO e NO!” “ Non è giusto, io NON CI STO! NOOOOOOOOOOOOOOOOO”. 

“AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAARRRRRRRRGGGGG!” 

“GRUUUUUUUUUUUUUUUNNNNNNNNNTTTTTT”.

Potrei  trovare mille ragioni per giustificare queste grida fastidiose, ma so che l’origine è solo una.
Questa piccola canaglia che prende forma dentro me è il regalo della mia costellazione famigliare: Giuseppe,  il costellatore che non si fa commuovere, ci aveva avvisato che nelle settimane successive alla giornata passata insieme avremmo potuto vivere una sorta di crisi, di instabilità emotiva. Avremmo forse vissuto repentini  cambi di umore. Io ero abbastanza tranquillo perché già di mio sono lunatico, iracondo, bipolare e schizofrenico.

Ma non mi aspettavo l’arrivo dello stronzetto. Adesso sono nella fase “ti prego basta so che ci sei ma mollami un attimo” e cerco di coprire le sue grida con tanta musica jazz, lo studio, e la play station. So che ho bisogno di accoglierlo nella mia affollata famiglia interiore, calmarlo, ascoltarlo soprattutto e abbracciarlo forte nonostante le sue proteste. Ma al momento non posso. Qualcosa però ho imparato e non lo rifiuto, non lo nego.  Gli dedico l’attenzione che si merita.Lo osservo, vorrei prenderlo a schiaffi perché la sua ira è la mia ira che esplode dal nulla quando meno me lo aspetto. E quando me ne accorgo, per il povero malcapitato che passeggiava tranquillo davanti a me, ormai è troppo tardi. 
Ho già fatto uno scempio. 
Altre volte mi ritrovo al limite: come il lupo della favola dei 3 porcellini che si è riempito il petto di aria per buttare giù quella patetica casetta di paglia che si è fatto quel grassone di un maiale lurido. E mi fermo. Chiudo gli occhi. Espiro lentamente. Peccato.

Ho voglia di fumare, di bere a canna una bottiglia di prosecco tutta d’un fiato, ho voglia di rubare uno shuttle alla Nasa e andare sulla Luna per osservare la terra da lontano e prendere un respiro, calmo, da solo.  Ma per quanto possa allontanarmi in realtà non andrei da nessuna parte. Già tentato.

Per lo meno non  lo alimento questo scolaretto mostruoso, ma quanto è difficile correre con l’estintore per cercare di spegnere gli incendi che appicca in ogni angolo della mia casa interiore. Sembra che la musica lo calmi: quando canto o ascolto o faccio i miei esercizi, il burbero moccioso si placa e osserva  attento quello che faccio. Quasi me lo immagino canticchiare insieme a me qualche vecchio standard jazz  mentre siede, finalmente rilassato, su una vecchia poltrona marrone di fianco ad un grammofono con il cono in ottone.

Ma quando la musica finisce, il suo volto si deforma di nuovo da bambino piccolo mostro di insoddisfazione e ira implacabile: i suoi dentoni davanti separati dove ci finisce sempre la punta della lingua, diventano zanne pronte squarciare e dilaniare, le sue manine fredde artigli infallibili. E grida, urla, ulula e scalpita perché non ne vuole più sapere di niente e di nessuno. E’ solo un bambino ed è stanco di quella divisa scomoda e di quella pettinatura da sfigato.

Ed io tento di non farmi possedere da questo mio sentire che è emerso con tanta energia dopo chissà quanto tempo. E la capisco questa povera peste: rimasto per anni imprigionato in una cantina umida e  polverosa, senza essere considerato da nessuno mentre al piano di sopra sentiva i passi della gente, le risa e le chiacchere. Lui solo al buio, mentre dalle assi di legno del soffitto trapelavano miseri raggi di luce che facevano solo desiderare di essere in pieno sole.

Chissà quanti sentimenti reprimiamo senza accorgercene…. O forse sono sempre gli stessi che ogni volta mascheriamo in maniera diversa? Io ho riconosciuto un orgoglio che pensavo di non avere, anzi ne ero certo. Mi sono sempre accusato per altri aspetti del mio carattere che ritenevo poco socievoli o utili per il mio benessere, quando invece in una settimana, almeno 3 volte ho visto il mio orgoglio prendere il sopravvento e reagire per me. E’ chiaro che c’è sempre stato ma lo chiamavo con un altro nome.

In questi giorni invece, sono stato schiaffeggiato dalla chiarezza con la quale ho visto delle dinamiche che mi rendono la vita meno piacevole sicuramente, e spesso, più ruvida, più difficile da gestire e meno vera.

Oltre all’orgoglio e al bambino furente, che al momento posso solo osservare e non cambiare, sto veramente sentendo che sono sempre io, ripeto, SEMPRE IO, che decido e plasmo il mondo in cui vivo. Sono io che scelgo i colori con i quali dipingere la giornata. Scelgo io se sentire freddo o caldo quando sto vicino a qualcuno. Io, io, io che creo drammi e falsi pretesti per giudicare e demandare agli altri le mie scelte.

Wow.

 Ho letto libri su questi concetti, ne ho parlato a lungo con amici, ma vederlo tanto chiaramente è un altro paio di maniche. Riconoscere, attraverso la sensazione ed il sentimento che quando mi sento vittima in realtà sono mio carnefice è disarmante e stupendo allo stesso tempo.
Si, perché per quanto ora possa solo osservare, girarmi, sbattere la testa contro il muro per ore nella speranza che tutta la carta da parati ritorni a coprire le pareti, ora so che ho la reale, concreta, unica possibilità di creare il mio presente, di scegliere (anche se con dolore) e diventare chi voglio essere veramente. Non ci sono più scuse, non c’è l’adolescenza difficile (trovatemi un adolescente che non creda di vivere uno dei momenti più difficili) o cattive influenze, persone malvage che limitano la mia libertà, SFORTUNA (per favore la sfortuna no ti prego).  Ci sono io come unico giudice e artefice della mia condanna o del mio successo.

Lo sapevo già tutto questo, però non mi si era mai rivelato in maniera così palese. Si sono aperte le tende e sono uscito dal circo. Sapevo che sulla parete stavo guardando le ombre riflesse della gente reale fuori dalla caverna, ma non ero mai uscito. Non volevo! Adesso, per lo meno, ho volto lo sguardo all'esterno e spero presto di fare qualche timido passo verso l’aria aperta.

Per il momento rimango basito al fianco del mio bambino interiore riconoscendo la sua insofferenza.O mi ci abituo o imparo a calmarlo perché stavolta non me ne vado.



martedì 8 novembre 2016

IL GRINCHMAS!!!!


E’ iniziata una nuova settimana e finalmente il freddo dell’inverno fa il suo ingresso trasformando in iceberg la macchina al mattino e congelandomi i piedi la sera quando, in ciabatte, fumo l’ultima sigaretta in veranda, prima di andare a letto.

Evviva il freddo, perché non ne potevo più di questa altalena tra pomeriggi caldi e notti da brivido. Noto, con il passare degli anni, che i cambi di stagione mi sconquassano. Sicuramente sarà anche l’invecchiamento fisico, ma credo che con l’età si sviluppi una maggiore attenzione al cambiamento.  Una più intensa percezione dei mutamenti, sia interiori sia esteriori. Passaggi importanti, che, se ascoltati, regalano sempre qualcosa di novo. Adoro i miei 36 anni anche per questo. La coscienza dell’uomo adulto, la consapevolezza di sé convivono con l’eterno bambino capace ancora di meravigliarsi.

E a proposito di bambini il Natale si avvicina ad una velocità disarmante. Ed il prossimo per me sarà speciale e nuovo per diversi motivi. Primo fra tutti perché non ci sarà il mio compagno.  Peccato. Viaggerà fino alla sua amata terra per festeggiare come si deve con la sua famiglia. Ed io sono grato e contento perché possa farlo. 
Da quando siamo in Italia vivo con l’ansia di non regalare un Natale decente alla persona che amo. La sua famiglia vive ancora quel senso di unità e condivisione che durante le feste si amplifica radunando tutta la tribù tra allegria ed eccessi. Quando eravamo in Spagna abbiamo vissuto dei bei Natali da immigrati con altri immigrati. Senza aspettative, ma con gioia e semplicità. Ma in Italia per Gianni è stato un po’ trumatico abituarsi alla differenza. 
Pur non potendo viaggiare con lui perché non ci possiamo permettere due biglietti per l’Uruguay, sono felicissimo che lui si goda il Natale che si merita. E’ la seconda volta che va via durante le feste e la lontananza, in quanto limitata (spero!) non mi spaventa. Saperlo felice e circondato dagli odori, i luoghi, le persone della sua infanzia e della sua storia, cancella il dolore egoistico per la sua assenza. Oltretutto la gioia con la quale gli brillano gli occhi quando mi parla dell’imminente partenza rispecchia esattamente il sentimento che il Natale dovrebbe far nascere in ognuno: attesa, stupore e meraviglia! Mi sento orgoglioso di aver partecipato un pochino alla realizzazione del suo viaggio.

E così, libero dal peso di voler offrire una pallida ombra delle riunioni familiari Uruguaiane, senza nessun obbligo verso chicchessia, posso organizzare il mio NON-NATALE. 
Questo sarà l’anno del GRINCHMAS!!!! BUHUHUHUAHAHAHAHAHAHA!!!!

Il primo progetto da buon Grinch era di chiudermi a chiave in casa, con lucchetti e catene;abbassare le persiane, noleggiare un orso polare a guardia del cancello, mettere cartelli con “attenzione campo minato” , e sul campanello mettere a ripetizione la mitica frase di Gandalf “TU NON PUOI PASSAREEEEEEE”. 

Fare un improponibile e malsana scorta di cibo, giochi e quant’altro per non uscire fino al 1 Gennaio, ma poi ho trovato dei soci (amici cari e famiglia scelta) che hanno voglia di chiudersi a chiave con me!!! E ci saranno anche le pupis così che il Grich  avrà le sue dolci nonsocchi. Ma STOP ai falsi auguri, falsi sorrisi, falsi regali e false frasi! E basta con a Natale siamo tutti più buoni perché uno o è buono tutto l’anno o non lo è mai. Vi assicuro che gli stronzi rimangono stronzi anche a Natale. Ed ognuno ha diritto di essere chi sia.

Fino a qualche anno fa il Natale era la mia festa preferita: sguazzavo nel capitalismo compulsivo, mi inebriavo di alcol in false riunioni familiari e facevo finta di sentirmi più buono per rimanere perfettamente nello stereotipo.

Invece adesso l’orgia di falsità e acquisto compulsivo da Vigilia non mi diverte più.” Oddio, mi manca il regalo per la prozia, come si Chiama? Ma si quella con la gamba di legno che respira male! Ci sono le prendo un Pronto per tenerla sempre lucida!!!” Ma bastaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa
 I legami famigliari, quelli di sangue, sono sempre più sottili e sfilacciati (capita, ma facciamocene una ragione) e comprare cagate assurde solo per consegnare un pacchettino mi sembra da rincoglioniti. Ma poi il senso del dono è l’opposto rispetto al regalo di Natale. Se proprio voglio regalarti qualcosa lo faccio nel momento in cui mi vieni in mente no? E se non mi vieni mai in mente posso tranquillamente evitare di regalarti lo sbucciaaglioelettrico. L’anno scorso ad esempio mi sono sentito imprigionato, giudicato, frustrato; ho reagito cercando di seguire i soliti schemi e regalare al mio compagno un’ombra del Natale che era abituato a vivere senza riuscirci. Per fare un pranzo ho litigato, discusso, ri litigato e non mi sono goduto un cazzo. 
Ma quest’anno basta.
BASTA!!!!

Voglio essere libero di vivere il mio GRINCHMAS, perché quello che si definisce Natale per me è fuffa, falsità, buonismo da cioccolatino.
Voglio essere libero di godere come meglio credo di un periodo dell’anno che adoro sia perché fa freddo (neve cadi neve per favore tanta neve neve  ricoperti di neve neve neve!!!) e perché sono in vacanza!!! L’aria frizzante mi fa venire voglia di tisana, di pantofole rosse a punta e di cappello con sonagli !!!

Al di fuori della pazzia dei regali e riunioni forzate,il periodo del  Natale per me, rimane un momento magico. E’ per questo che voglio ripulirlo di finti rituali e godermelo appieno come momento di semplice comunione e libertà. Già oggi sento quello sfarfallio dell’attesa. Dall’avvento al 31 Dicembre io entro in una dimensione fuori dal tempo e dallo spazio. Non ci sono più impegni, non c’è più il lavoro, vivo un mondo immacolato di lucine colorate e biscotti al cioccolato. Sono giorni di raccoglimento per un anno che finisce e di progettazione per un anno nuovo che sta arrivando.

Starò nella mia tana, tranquillo, condividendo con chi c’è o godendomela da solo.  Accenderò il mio caminetto che mi farà compagnia e quando non avrò più legna metterò quello falso di Netflix tanto kitch ma chissene. Ascolterò il solito disco di Mariah Carey a ripetizione e mi commuoverò come sempre quando canterà che il Natale non ha senso se non torna lui. E mi metterò a ballare nelle mie pantofole quando mi suggerirà di controllare bene fuori dalla finestra perché Babbo Natale sta arrivando in città. Poi arriverà il disco di Ally Mcbeal e il mio Natale con Vonda Shepard  sarà totale! 
Le canzoni natalizie americane sono per me veicolo di questo spirito che potente e invisibile mi accompagna durante il mese di Dicembre. E’ lo spirito della novità e dell’accettazione del passato. E’ l’arimo dopo un intera stagione proficua (finalmente) e prima di una nuova avventura.

Voglio passare intere giornate tra carte, dadi, tesserine, pupet,  monetine, sacchelle,  frutta secca, mandarini e cera di candele. Voglio aprire nuove scatole di giochi di società con la meraviglia e la trepidazione di un bambino di 10 anni. Voglio tornare bambino e  guardare il mondo attraverso occhi che vedono tutto più puro e più semplice, senza bisogno di troppe cerimonie. Voglio fare solo quello che mi va di fare. Punto.

Mi lascerò andare al cibo senza pensare alle conseguenze. Mi farò coccolare dalle mie coperte e dai miei libri, dai miei giochi della Playstation e dai film che ogni anno mi danno il giusto feeling. Sono cresciuto con il Natale inventato dalla Coca Cola (che scorrerà a fiumi), con Babbo Natale, Rudolph la renna e le calze appese al camino. Da piccolo hanno provato a buttarmi lì il Gesù bambino, povero e nudo che veniva con l’asinello ma non poteva reggere il confronto con Santa nella sua fantastica veste rossa e bianca e la sua splendida slitta. Ho anche lasciato un paio d’anni fuori dalla porta paglia e latte ma lo facevo pensando “ma che sfigato ‘sto Gesù bambino. Dove li metterà poi tutti ‘sti regali? Sull’asino? Ma poi non sta per nascere? Bah.E non ha freddo? Ma un cappotto no? Vabbè, l’importante che mi porti regali, poi problemi suoi”.

E anche quando da bambino ho scoperto che non erano nè Gesù con l’asino né Babbo Natale a portare i regali, per me Santa Claus esisteva lo stesso. Era l’incarnazione del mio Natale. Accogliente, morbido, paterno, caldo. Con la sua casa al Polo Nord piena di elfi!

Mi piace fare l’albero, le sue luci, senza bisogno di creare segnali luminosi per aerei, e non voglio più contaminare questo mio bel sentire con falsi sentimenti o con obblighi vari. Voglio stare con la gente che condivide le mie giornate e che mi fa entrare nelle loro, enfatizzando questi giorni di spensieratezza e perché no di esagerazione.   

L’operazione GRINCHMAS è iniziata, Il natale alternativo per noi, che non abbiamo nulla da dimostrare a nessuno, ma che vogliamo passare qualche giorno in serena compagnia..
  


IL SENTIMENTO DELLE STELLE

Improvvisamente, tra una mail ed una telefonata, in questo faticoso Lunedi , appare davanti a me uno sguardo, un sorriso, il suono di una voce. Il mio cuore si scalda e si dilata, si riempie di gratitudine e intesa fino quasi a fare male. Immagini mentali che riverberano dentro di me in sentimenti caldi e avvolgenti.

Questo è il regalo che mi porto a casa ogni volta che frequento la Corte Dalì. Questo centro dell’arte sociale (quale definizione più azzeccata) esiste da qualche anno ormai, nato grazie all’abilità e alla fiducia della cug (grande cug), ma solo adesso mi sento pronto ad “abitarla”. L’ho frequentata nel tempo facendo qualche concerto, sempre da esterno, per poco…. Toccata e fuga insomma.  Mentre ora posso dire che da un mese io e quel posto tanto metafisico, ci stiamo conoscendo meglio.

Ora la corte conosce qualche mio dubbio, i miei sorrisi più sinceri, alcune paure. Conosce il mio odore (non sempre gradevole immagino, soprattutto con i 200 gradi costanti dei caloriferi). Nei suoi caldi ambienti ho  incontrato delle donne che hanno voglia di scoprirsi, di viaggiare anche quando l’esplorazione è difficile e dolorosa. Esseri umani che cercano, e sempre trovano qualcosa. Tante belle donne. La frequentazione prevalentemente femminile della corte all’inizio mi aveva un po’ frenato. Forse ho la paura della vagina dentata che mi perseguita? Perché? E allora? Se sono tutte donne ? Cosa sono, razzista? Xenofobo? Ho paura che la gente mi chiami femminuccia perché sto con le femmine? Sono pure Gay! Probabilmente era una copertura che rimontava alla mia infanzia di giovane e insicuro omosessuale. Povero me. Adesso, da adulto (per la maggior parte del tempo almeno) sono onoratissimo e grato di camminare questi complessi universi femminili.
Sono emotivamente sconvolto (in senso positivo) da ciò che ho vissuto sabato, in corte ovviamente. E qui arriva la parte difficile perché descrivere puro sentire a parole filtrate dalla ragione è un’impresa.

La costellazione.
Credo che come prima presentazione il nome non dia il giusto merito all’attività. Io per primo, a questo sostantivo associo cartomanti, indovini, tarocchi, astrologia e via dicendo. Viviamo un momento storico di forte attaccamento alla materia e come bilanciamento sempre più persone vogliono riconnettersi con lo spirituale. Esistono tanti, troppi cialtroni che nel migliore dei casi spillano soldi a sprovveduti e nel peggiore creano dei danni enormi.

La costellazione non è nulla di tutto questo. L’attività si svolge con un gruppo di persone. Ci si siede in circolo e c’è un professionista (una persona che è stata formata per gestire tale attività). I partecipanti sono sia costellati, che rappresentanti. I costellati faranno la propria costellazione accompagnati dal costellatore mentre i rappresentanti partecipano alla costellazione senza esserne protagonisti. Ma in cosa consiste la costellazione? Il costellato esprime un desiderio riguardo qualsiasi aspetto della propria vita voglia migliorare o cambiare. Il costellatore individua insieme al costellato delle persone appartenenti solitamente alla famiglia del costellato da rappresentare fisicamente nello spazio. Entrano in gioco quindi i rappresentanti: scelti dal costellato rappresentano appunto gli affetti, la famiglia, o anche sentimenti che caratterizzano la “situazione problematica”. 

Nello spazio quindi si dispongono le persone che ,come stelle, formano un tracciato, una costellazione appunto. Grazie alla guida del costellatore capace, offrono un’occasione per vedere la propria situazione (dall’esterno prima e dall’interno dopo) e cogliere alcuni atteggiamenti  e sentimenti  fino a quel momento nascosti o coperti da meccanismi di difesa. Il fatto poi che ci sia anche un rappresentante per il costellato rende ancora più potente la dinamica.

Non voglio entrare troppo nel merito. Quello di cui voglio scrivere invece è la magia che si crea. La posizione assunta dai rappresentanti (di solito si piazzano liberamente nello spazio) e le emozioni che provano (ognuno rimane se stesso pur rappresentando ad esempio il padre del costellato) rispecchiano quelle dei rappresentati. Il costellato già scegliendo chi sarà il rappresentante di suo fratello o di sua madre o del marito, riconosce un pre-esistente legame energetico. E’ difficile da spiegare, ma l’ho vissuto e avuto modo di riprovarlo più volte durante la giornata. Immagino qualcuno leggere queste righe e pensare “ si vabbè, prima c’era il mago Otelma e adesso c’è la costellazione”. Liberi di farlo ma non è così.

Non mi reputo uno sprovveduto. Sono molto scettico in generale, soprattutto diffido di persone che vantano la capacità di guarirti e curarti su vari livelli. Sono conscio anche che un gruppo di persone può rendere reale ciò che reale non è, ma non è questo il caso. Sono arrivato in corte sabato mattina stanchissimo per la settimana, non volevo partecipare a quello che a priori mi sembrava una roba simpatica ma fondamentalmente inutile. In realtà  ho incontrato una persona capace e severa, che non era lì né per asciugare lacrime né per dirti che sei bello e bravo e che l’anima vola tra i fiori. 

Giuseppe era lì perché crede nel metodo che propone e sa dimostrare che funziona. Dopo la prima costellazione ero pronto a fidarmi di lui, della sua conoscenza e dei suoi strumenti .

Partendo dal presupposto che il 99% dei nostri problemi, delle nostre difficoltà, ha origine nelle dinamiche famigliari, la rappresentazione fisica dei componenti della famiglia e di sè stessi è molto potente e diretta. Vedersi dal fuori e potersi confrontare con dei rappresentanti che sono l’immagine nel cuore, il vissuto che ci portiamo dentro di noi di quelle persone che nel bene e nel male hanno contribuito a plasmare la nostra personalità, permette di riconoscere meccanismi e coperture che spesso frustrano il nostro diritto alla felicità. E a volte di trasformarli.
Oltre a tecniche precise, a studi complessi, nella costellazione esiste la magia che lega tutti gli esseri umani. Le emozioni che nascono nei rappresentanti e la disposizione fisica nello spazio, rispecchiano le emozioni provate nella realtà dai rappresentati, permettendo al costellato di cogliere un nuovo SENTIRE che sfoci nella consapevolezza, in una verità libera da maschere e sovrastrutture. Vedi la tua situazione dall’alto e dall’esterno.

La prima cosa che ho imparato è che siamo sempre noi gli artefici della nostra infelicità. Siamo abilissimi nel creare un loop di insoddisfazione per continuare a legittimare ciò di cui a parole vogliamo liberarci. Queste catene sono così avvinghiate a polsi e caviglie e da così tanto tempo che, pur riconoscendole come ostacolo, non riusciamo a immaginare la vita senza di loro. Con la testa le vogliamo togliere perché non ha senso vivere incatenati, ma con il cuore facciamo di tutto per tenercele strette. Perché quelle catene ci dicono chi siamo, ci definiscono e in qualche modo ci fanno sentire dove apparteniamo. Il potere della costellazione non è quello di farci vedere le catene (siamo lì proprio perché le vediamo) ma di farci sentire quanto esse pesino, il rumore che fanno quando le trasciniamo e il dolore che provocano quando il ferro sfrega sulla pelle. La costellazione ci permette di prendere coscienza del fatto che siamo noi che abbiamo creato le catene e siamo solo noi che non possiamo togliercele.

 Per cambiare bisogna prendere coscienza di dove si è e dei nostri limiti; il tanto agognato cambiamento non è sempre risolutivo. Ciò che veramente trasforma, ciò che è magico, è RICONOSCERE.  Riconoscere in se stessi un meccanismo di difesa, una nostra zona erronea, un comportamento auto distruttivo, apre le porte al cambiamento. Sentire chi siamo adesso (che ci piaccia o meno) ci permette di tendere verso chi saremo. Cerchiamo spesso soluzioni veloci a problemi che ci portiamo dentro da anni, dalla nostra infanzia. Frequentiamo un seminario, leggiamo un libro, vediamo un video con la pretesa di risolvere la nostra vita e avere il potere di trasformare il deserto in oceano.

 Io credo, ho vissuto, ho SENTITO che molto spesso parliamo di cambiamento ma in realtà è l’ultima cosa che vogliamo. C’è sempre una parte di noi che si afferra al proprio dolore, alla propria perversione perché non vuole andare oltre, non vuole perdere nulla.
E forse è vero, un salto nel buio può essere troppo spaventoso, allora basta prendere consapevolezza di chi siamo, che gioco stiamo facendo e da dove viene tutto ciò. Riconoscere con il cuore e non con la mente, SENTIRE e SENTIRSI veramente. Questa è la magia.

Purtroppo la maggior parte degli uomini ha paura di volare. Ha paura e non vuole essere responsabile della propria gioia e spesso si condanna all’oblio. Solo riconoscendolo posso attivare un processo di guarigione e cambiamento. Come per gli alcolisti anonimi. Il primo passo consiste nel riconoscere la propria dipendenza.

Vedendo le diverse costellazioni, ho sentito un forte senso di unità, mi sono  immedesimato… Tutti insieme ci siamo dispiaciuti, arrabbiati e commossi. Ma soprattutto abbiamo condiviso un’intimità unica e potentissima.

Sabato me ne sono andato dalla Corte avendo ancora più chiaro che siamo veramente un unico popolo, una macro persona che si declina in milioni di incarnazioni. O più semplicemente siamo foglie dello stesso albero. Ed è stato sorprendente verificarlo con mano durante quella giornata piovosa. Esistono delle connessioni che vanno oltre la conoscenza diretta. Quello che viviamo può essere apparentemente così diverso ma alla fine sottende delle similitudini pazzesche.
Tutti cerchiamo un padre, una madre, un luogo d’origine ed una direzione.
Quasi tutti spendono la maggior parte del tempo nel desiderare quello che non hanno perdendosi l’occasione di vivere e SENTIRE quello che veramente c’è a portata di mano(che di solito è tantissimo)
Qualcuno preferisce diventare cieco, sordo e insensibile per paura di soffrire, quando già si sta vivendo la sofferenza più grande.

Io ho cercato la pace senza rendermi conto di aver iniziato una guerra.

Incontrare la verità può essere doloroso, ma vi assicuro, fa di nuovo respirare a pieni polmoni.


giovedì 3 novembre 2016

LA NOTTE DEL VIANDANTE (Tra ego e comunione)


I colori dell’autunno mi avvolgono e mi cullano. Rossi intensi, i gialli nostalgici ed il marrone profumato della terra  sono i colori della madre che ci prepara, con una calda ninna nanna, al sonno dell’inverno. Ci culla nell’immobilità del corpo per permettere un più libero volo dell’anima e della mente. Un lavorio sub terreno, interno, che ci porterà  di nuovo alla primavera.

E proprio il sonno è protagonista dei miei pensieri. Sonno che mi manca, che rincorro senza raggiungere, di cui ho bisogno per dare il meglio di me in queste belle serate di condivisione e apprendimento. Riposo necessario per ballare come un forsennato al laboratorio di scrittura creativa, per cantare con il mio gruppo e per  studiare armonia musicale.
Il sonno non mi accoglie, sono io che devo andare a cercarlo, intrufolandomi di soppiatto tra le sue spire fumose senza farmi scorgere. Quante volte mi capita di depositarmi tra le sue avvolgenti braccia che poi si separano improvvisamente e mi fanno ricadere nella veglia, nel corpo infastidito, nell’insulsa materia.

Gli impegni, questi nuovi amici da ritrovare, ricordano avventure da condividere, progetti da portare avanti con decisione e fiducia e nuove esperienze assaporare. Nel silenzio del mio respiro, al buio, di notte, tornato le chiacchere, i consigli, i pareri, i momenti vissuti. Si manifestano le parole non dette, gli sguardi non condivisi, gli istanti persi.  
Tanto i miei giorni sono pieni, vivi, intensi, quanto le mie notti sono agitate, pensierose, intermittenti.
E la mattina dopo mi sveglio con una forza centrifuga distruttrice con la quale potrei annientare un continente e, allo stesso tempo, strizzare i panni di tutti gli abitanti dell’India.

Credo che sia solo una fase di transizione. Lavoro tutto il giorno, vado in palestra, la sera attività e incontri.La notte diventa il momento del raccoglimento, della riflessione. La rielaborazione di momenti che smuovono i miei oceani interiori, sia con moti armonici che con maremoti e Tzunami. 
Eventi che, come la luna, influiscono sulle maree del mio sentire e delle mie emozioni.

In questo cambiamento, questo viaggio verso, non posso nascondere che spesso rimango basito dalle mie reazioni: mi osservo, mi ascolto e poi mi sento attraverso gli altri; non sempre quello che percepisco  mi piace. E questi spiriti, incorporei ma tanto presenti, ritornano con l’oscurità per ricordare le loro promesse e le loro intenzioni.
Soprattutto con gruppi di persone, a volte mi ritrovo spiazzato. Ieri sera ho veramente avuto l’occasione di uscire dal sistema “Ivocentrico” e a godere dell’esperienza nell’altro.
Io sono molto ego-centrato, non posso (anzi non voglio) nasconderlo. La mia mente “macchiavellica” mi ha portato spesso a muovere tessere di mosaici sociali in modo che ne uscisse l’immagine che io avevo scelto a priori. Per fortuna la vita di coppia mi ha aiutato a spostarmi un po’ di lato per far spazio all’emanazione dell’altro e per godere della condivisione. Ma i miei mondi sono quasi sempre stati abitati solo da me. Una monarchia con un solo re ed un solo suddito. Sono propenso all’organizzazione, alla divinazione di ciò che accadrà. Ma se sai già cosa succede che noia!
Condividere vuole anche dire, almeno per me, saltare nel vuoto ad occhi chiusi. Rimanere disarmati a braccia aperte e lasciarsi trasportare dalle mille energie di mille persone diverse. Entrare in contatto significa essere pronti al mistero e alla magia. Aver voglia di entrare nello sconosciuto e spesso brancolare nel buio. E non sempre soddisfare i propri desideri, ma percepire la stessa soddisfazione quando si esaudiscono quelli di qualcun altro. Non si tratta solo di generosità, quindi di una rinuncia a favore di qualcun altro, ma proprio di piacere, di sentimento condiviso. Parlo di empatia. 
Si perde il concetto di “per me” e si acquisisce quello di “ per noi” dove io e te siamo la stessa massa argillosa pronta per essere plasmata. 
In un progetto che coinvolge altre persone si arriva ad un certo punto dove il sentire del gruppo, acquisisce una propria identità corale che abbraccia tutti i partecipanti. Questo l'ho notato ieri sera, ma pensandoci mi capita anche con il mio gruppo musicale.

Ragiono oggi sul fatto che forse questa mia voglia e di condividere e di esplorare al meglio i miei talenti, derivi da una tensione a diventare sia protagonista della mia avventura sia personaggio dell’avventura di qualcun altro allo stesso tempo. Incomincio a cogliere, leggero e impalpabile, visibile solo in controluce, l’altro anche come eroe del proprio viaggio e non come comparsa nel mio.
Ieri sera, al laboratorio di scrittura creativa, non mi sono sentito completamente soddisfatto. Ho avuto dubbi sul metodo, incertezze sulle mie reazioni e non mi sono riempito le tasche di gratitudine e energia come la settimana precedente. Può capitare, non si può essere sempre al top della percezione (soprattutto se sei un grinch come me!). E’ stato comunque tutto piacevole e divertente ma mi mancava una direzione, una finalità. La cosa interessante però e della quale sono grato al cosmo, è che questo sapore amarognolo, questa fastidiosa fame che rimane dopo una cena veloce, è stato spazzato via dalla condivisione delle impressioni degli altri partecipanti. La loro soddisfazione, il loro coinvolgimento, il loro darsi completamente alla situazione, mi ha saziato appieno. E quindi immagino che il metodo sia stato azzeccato, perché ha funzionato con tutti tranne che non me (in un certo modo). 

Ho inteso, intuito (nonostante lo avessi spesso pensato) che il sole non gira intorno a me ma sono io che posso cogliere l'occasione di girare insieme agli altri pianeti armonizzandoci tutti intorno alla luce e al calore.
Curiosa l’analogia con la vita quotidiana: se vuoi vivere con in tuoi spazi, seguendo esclusivamente le tue regole, circondandoti solo dei tuoi oggetti, disposti secondo il tuo gusto e senso dell’ordine allora devi vivere da solo. La condivisione e la convivenza nella sua accezione più amplia, implica necessariamente il compromesso. Compromesso inteso come fare spazio nel mio per lasciare che tu metta il tuo. Non è semplice ma è la chiave di volta per rendere la nostra vita più piena e più colorata.
E’ veramente bello e pieno di significato l’insegnamento che mi porto a casa. E’ una scoperta preziosa riconoscere gli altri nel loro diritto ad essere protagonisti. Che siano amici, famigliari o compagni di viaggio.
Ciò non toglie che l’esperienza possa essere traumatica, con un bagaglio di sentimenti difficili da gestire e poco simpatici. Si perde comunque qualcosa e quindi direi che ci sta vivere una certa forma di lutto.

Io spero di perdere l'accezione negativa che può assumere la mia voglia di protagonismo: da un lato mi spinge ad osare e dall altro a splendere così tanto da accecarmi e non vedere chi e cosa ho intorno. L’esperienza del sentire gli altri è fortissima. A volte mi sembra di essere investito da un treno in corsa, altre di essere preso all’improvviso da un cavaliere al galoppo sul suo purosangue. Delle volte mi arriva una leggera melodia e altre ancora è un’immersione in acque oscure. Ma, per me è sempre un  qualcosa di intenso e spesso.

L’ego è un animaletto fedele da tenere con rigore e disciplina: se gli dai troppo da mangiare diventa un gigante obeso, troppo ingombrante mentre se non lo sfami per niente, svanisce portandosi via con sé il tuo diritto a lasciare un’impronta nel mondo. Come tutte le cose nella vita, per armonizzare ci vuole equilibrio, quello del funambolo; leggero, instabile ma fiducioso.
 Se lasci entrare per forza di cose bisogna creare degli spazi dove chi entra si senta comodo. Non posso invitare qualcuno a casa mia mentre faccio i mestieri o dicendogli “ siediti lì in quell’angolo perché è l’unico spazio libero” (io in realtà l’ho anche fatto!).

Ritornando alle mie notti tormentate, ora esse sono i momenti di dialogo interiore dove le mie personalità e personaggi interagiscono animatamente perché il loro mondo si sta muovendo, la storia delle loro vicende si sta arricchendo e nuove trame si stanno sviluppando. La geografia del mio mondo interiore si trasforma con movimenti fluidi e talvolta con improvvisi terremoti. Tra eruzioni vulcaniche e cambiamenti climatici, si formano nuove montagne, nascono nuovi fiumi e si creano nuovi continenti. E come in tutte le belle e complesse storie, alcuni personaggi usciranno di scena, altri faranno la loro comparsa per la prima volta, ed altri ancora si evolveranno.
Vivere significa mettersi ogni giorno in gioco, rischiare, perdere e trovare. Ognuno è l’eroe del proprio viaggio ed è  anche personaggio nel viaggio di qualcun’altro.



giovedì 27 ottobre 2016

LA FIDUCIA DELLO SCONOSCIUTO

Continuano  giorni intensi, nuvolosi, carichi di pioggia e di emozioni. Sono stanco, a tratti nervoso perché mangio di fretta e dormo poco ma il prezzo da pagare per quello che ottengo in cambio è più che equo. Questo è il mio autunno, ricco, colorato, pieno di sorprese e momenti magici. Momenti come quello di ieri sera, alla Corte Dalì. Primo incontro per il laboratorio di scrittura creativa del quale sono co organizzatore e partecipante. Ritrovare un gruppo dopo gli anni del teatro  è stato stupendo: un salto nel passato, dove un Ivano 21enne si buttava in cerchio tra sconosciuti con un sorrisone de ebete. Supportati e guidati dalla sapiente voce della cugi, 7 estranei (o più o meno conoscenti) si sono presi per mano, abbracciati, lasciati condurre, osservati, salutati. Abbiamo condiviso risate, sensazioni e parole intime anche quando di intimo non si voleva (razionalmente) condividere nulla.

Mi rendo conto che il contatto tra le persone sia fisico che emozionale è troppo assente nella nostra società. Dipendesse da me farei fare esercizi di attivazione e connessione a tutte le aziende, a tutte le famiglie e a qualsiasi tipo di gruppo, almeno una volta alla settimana.
Questo lasciarsi andare nel flusso di energia che ogni corpo emana, questo respiro collettivo tanto intimo quanto universale è molto appagante. C’è una commistione di rischio (nel mettersi in gioco) e di fiducia (toccando e facendosi toccare dall’altro). Un dialogo tra anime, tra muti esseri divini, dove ci si riconosce subito come simili.

Ieri, ovviamente, io ero in ansia. La prima volta che mi specchiavo non solo come partecipante ad un progetto ma anche come referente. Sentivo comunque una buona energia e sapevo che almeno da parte mia, l’avrei vissuta bene. Speravo tanto che anche gli altri partecipanti fossero colpiti da questo bel progetto e invogliati a tornare. Un po’ imbarazzato, sudaticcio, con il cuore che batteva sempre forte e scandiva ogni istante, mi sono incontrato tra gli sguardi, le mani, le voci, il respiro ed è stato un viaggio breve ma intenso, mi sono riappropriato della parte più umana e magica.
Senza tante parole sono entrato in sintonia con queste persone, queste anime che provengono da posti diversi, che erano lì per motivi diversi e vedono il mondo probabilmente in una maniera diversa dalla mia. Ma quello che sempre mi stupisce e mi fa capire che veramente siamo gocce dello stesso oceano è la facilità con la quale si può entrare in connessione. Dopo un’ ora quegli estranei erano compagni di viaggio. Il contatto con le loro mani mi ha raccontato parte del loro essere, gli sguardi da curiosi sono diventati complici, i movimenti più fluidi, i sorrisi più caldi.

Tanto può essere differente la forma e quanto simile la sostanza.

Tutto il lavoro di riscaldamento e di contatto con sé stessi e con gli altri è sfociato poi nel momento della scrittura che è stato esattamente come suggerisce il titolo del laboratorio: creativa. Da un momento di osservazione, di meditazione su un qualsiasi oggetto della stanza, ognuno ha creato un’ode: chi di un temperamatite, chi di un ramo, un calorifero, una matita, un disegno sul muro. Utilizzare un oggetto banale, guidati da chi sa guidare ovviamente, per scoprire che ciò che utilizziamo senza pensarci il più delle volte,  ha una sua storia, ha un’origine, ha uno spazio e una relazione con chi lo utilizza e chi lo ha creato. Per ognuno degli oggetti di uso quotidiano si potrebbero scrivere pagine e pagine.

Ed ognuno ha scritto qualcosa di intimo, di piacevole, di valido dal punto di vista tecnico-letterario e soprattutto  vero. Almeno per me. Ed è questo concetto di verità che continua a ronzarmi nella testa: forse il termine non è corretto ma mi piace. Esprimere le proprie verità che sono tante e uniche per ognuno di noi è uno dei più bei doni si possa fare all’altro. Ascoltando queste odi, mi sono sentito gratificato da tanti regali. Persone che, per la maggior parte conoscevo da un’ora, mi hanno donato senza indugio, generosi, un pezzettino di chi sono ed io mi sento più integro, più completo, più comodo e accolto in questo mondo nel quale spesso mascheriamo la bellezza e la semplicità con rigide e fredde strutture.

Il condividere, non attraverso la parola (con la quale possiamo nasconderci o costruire maschere), ma attraverso il corpo, i sensi e le emozioni, sono esperienze che ricordano che siamo tutti uguali, tutti affamati di amore e comprensione e in cerca di armonia.

Ma quanto spesso ci dimentichiamo (o non ci siamo mai resi conto) della semplicità con la quale ci si può toccare? Quanti problemi esistenziali o di appartenenza potrebbero essere risolti (o evitare che nascano addirittura) se solo ci fosse più contatto? La mia non è esaltazione da overdose di zuccheri, ma la costatazione di un fatto.  E’ vero che sono in un momento di apertura e quindi mi è un pochino più facile ricevere e dare, ma non sono un figlio dei fiori, un “freakettone”; non sono un folletto che parla con gli animali e fa ghirlande di margherite. Sono immerso nella materia del mio quotidiano, impreco e mi innervosisco nel traffico e faccio parte integrante del meccanismo (orribile) dell’economia sociale. Sono razionale, diffido degli imbonitori, dai buonisti, dai sorrisoni, di coloro che esaltano lo splendore del mondo perché so che vivere e viversi può essere a volte il più spaventoso dei film horror o il più noioso dei film d’autore francese. Ma è innegabile che se si entrasse più in contatto diretto con gli altri (ovviamente accompagnati da persone preparate e con gli strumenti per farlo) senza convenevoli e coperture, la vita sarebbe in generale più semplice, più intensa, più soddisfacente e più bella.

Capisco benissimo che fare il primo passo non è facile. Siamo così irrigiditi dalle strutture sociali, dai ruoli (figlio, moglie, impiegato, stronzo, algido, vittima, stupido, fallito) che il movimento naturale e non condizionato è difficile. Ma consiglio a tutti di provare a farlo questo passo, perché una volta dentro al cerchio ci si sente a casa e ci si sente vivi. Ci stiamo sempre più velocemente zombizzando, utilizzando solo la ragione (e anche poco direi). Ci stiamo perdendo la parte più viva e il motivo per il quale passeggiamo su questa terra tutti insieme. Depositarsi nell’altro, meglio se sconosciuto, ti restituisce qualcosa, non so ancora bene come spiegarlo. Ma ieri, sentendomi così presente e contento  in mezzo a gente che non conosco, mi ha fatto capire, anzi no, sentire, senza possibili dubbi o incertezze, che siamo figli della stessa madre,  che siamo fratelli.

Io per anni ho rimosso questo sentire, mi sono trincerato nel mio castello di razionalità e sfiducia nel prossimo. Ho visto con i miei occhi come un prato fiorito possa diventare deserto in poco tempo. E metto in conto che possa accadere di nuovo. Ma mentre dura questo stato di grazia (che poi potrebbe essere il quotidiano di ogni uomo sulla terra) me lo godo.

Questa precarietà nel mantenere un sentire che è fondante la natura umana, mi fa pensare che sia la società a volerci distanti, isolati, soli, perché così ci si controlla meglio. Ritengo che sia contro la natura dell’uomo essere separato dagli altri. La condivisione e la comunione sono caratteristiche, impulsi di specie. Eppure noi, con la nostra intelligenza e perfidia diabolica, siamo riusciti a renderci estranei alla nostra natura, interponendo tra noi e l’altro migliaia di schermi, di pulsanti, di obbiettivi , telecamere, display.  Abbiamo creato suddivisioni, catalogazioni, caste, classi sociali, colori migliori rispetto ad altri. Ci siamo inventati un sistema per rimarcare le differenze  e per sottolinearle con disprezzo invece che vederle come un’occasione per condividere e crescere.

Quanta gente c’è intorno noi pienamente soddisfatta, grata  e sazia di vita? Intorno a me, e me compreso, poca. Eppure ieri ero completamente appagato, centrato e direi benedetto da un semplice cerchio di persone che si sono prese per mano e hanno comunicato attraverso l’arte. Complicato? Costoso? Solo per pochi? No. Questo modo così semplice di interconnettere è diventato complesso nella misura in cui ci allontaniamo da noi stessi e dagli altri. Aumentando la distanza e ponendo sempre più filtri nelle relazioni risulta poi difficile se non disgustoso toccarsi.


Io sono il primo a cui non piace essere toccato troppo e soprattutto da chi non conosco. Ma perché? Mi sporcano? Mi danneggiano?  E’ la paura di essere feriti se esposti o l’educazione a non fidarsi mai di nessuno? Ci sono così tanti mostri in giro? Ma soprattutto è questa la prospettiva che vogliamo utilizzare per osservare il nostro mondo? Morte, distruzione, violenza, cupidigia, insensibilità e solitudine?

Siamo arrivati a mettere telecamere in qualsiasi ambiente perché l’uomo non si fida del suo vicino di casa, del suo simile. Si affidano i propri figli a gente che deve essere controllata da un’entità esterna. Ma dov’è il senso in tutto ciò? Se non mi fido di nessuno sarà meglio tenere i miei figli a casa mia. Meglio fare la spesa online, parlare solo attraverso i telefoni e mettersi un casco per la realtà virtuale per andare a fare una passeggiata. 

Finiremo veramente tutti sorridenti e falsi per farci mandare più like possibili? Sarà la popolarità nei social a determinare il nostro status sociale? (la serie Black Mirror docet). Non voglio giudicare, ciò che succederà avrà un suo perché nel significato evolutivo della razza umana, ma di fronte a queste prospettive (che mi sembrano senza senso) scelgo allora di stringere forte le mani di uno sconosciuto e sentirmi parte di un universo vivo e pulsante guardandolo negli occhi. Finchè non arriverà, inevitabilmente il Matrix.


  

venerdì 21 ottobre 2016

L'AFFERMAZIONE DI SE' E LE SUE CONSEGUENZE

E’ il primo Venerdi della prima settimana di un mio nuovo sentire. Ottobre mi ha regalato un’occasione ed io la sto cogliendo. Una settimana di viaggio, veleggiando verso una destinazione precisa senza fretta di raggiungerla. Aver trovato finalmente una direzione da percorrere, seppure in acque sconosciute, è molto stimolante. Se la si prende con la dovuta leggerezza e curiosità. Un moto in armonia con una parte di me che ho tenuto spesso sotto coperta. Adesso  mi sento quasi completo.  

E fisicamente distrutto.

Sono mentalmente come un prosecco appena aperto, bello fresco, frizzoso  e pronto a donare allegria. Per quanto riguarda il corpo è un altro paio di maniche. Le resistenze al cambiamento che tanto a lungo mi hanno tenuto imprigionato con spesse e pesanti catene, ora sono solo fili di lana facili da spezzare ma comunque presenti.

Mi ora viene in mente la frase di una serie che ho visto ieri: l’intera evoluzione della terra e dell’uomo si è basata su un singolo concetto. L’errore. E’ grazie ad esso che si tenta, si fallisce, si aggiusta il tiro e si ritenta di nuovo e si va avanti.

Il movimento interno ed esterno si evolve attraverso l’esperienza e  l’errore nelle sue molteplici forme. L’errore può condannare, distruggere, calpestare o può dare una nuova occasione, prospettiva, può generare bellezza e armonia. Dipende dai punti di vista.

E l’idea, il concetto di errore, la paura di stare sbagliando, accompagna ogni avventuriero.
Pervaso da queste forze magiche e misteriose, attraverso appunto il movimento e l’errore, mi sento completamente scarico in termini energetici. Ma arricchito in termini di relazione con gli altri e stima personale.  Martedi  ho fatto un incontro per pianificare il corso di scrittura creativa; incontro che il giorno dopo si è trasformato in uno scontro, poi in un confronto e poi in una dichiarazione di affetto e amore (meno male). Mercoledi sera ho provato con il gruppo senza un elemento che prima di essere musicista per me è un caro amico. Ho dovuto scindere  i due ruoli perché uno soddisfacente (molto) e l’altro no (non più per lo meno). Sia Martedi che Mercoledi ho dormito circa 4 ore a notte perché tornavo tardi e avevo troppi pensieri. Ieri mattina mi sono svegliato con un macigno sulla testa e un inizio di orzaiolo all’occhio sinistro che poi sembra sia solo uno scomodissimo brufolo. 

Ieri sera non avevo impegni e sono svenuto in un sonno poco ristoratore alle 21.30 svegliandomi 7543 volte. Stasera ho lezione di canto, poi altro incontro pianificazione e poi…. ARIMO.  Anche se so già che dovrò dedicare parte del week end (se non tutto)allo studio della musica perché devo iniziare a preparare l’esame di ammissione. Insomma prima settimana fervida e intensa, piena di spunti per riflettere. Rimane il fatto che sono contento; stanco e scarico ma contento.

Sto riflettendo molto sul concetto di ruolo: trovo sia veramente complesso gestire relazioni con persone per le quali si prova affetto e stima in due ambiti separati: quello dell’amicizia e quello lavorativo professionale. Sto imparando che non ci sono regole per gestire questo dualismo: tutto dipende dalle persone con cui si ha a che fare, tutto si basa sulla personale ed intima relazione con l’altro. Mi è capitato in questi giorni in due ambiti e con due persone diverse: in un caso ho capito, ho sentito, che l’amicizia e la professionalità debbano fondersi perché io possa godere appieno dell’esperienza; dall’altro ho bisogno di separare i due aspetti perché uno mi riempie qualitativamente e l’altro no. 
Per quanto il concetto stesso di ruolo possa suonare alle mie orecchie come catalogante e riduttivo in una persona, è un concetto utile. Un ruolo non definisce una persona nella sua totalità ma lo caratterizza in un aspetto peculiare del suo manifestarsi agli altri; è parte di un tutto. Questo mi capita molto sul lavoro dove io non investo con sentimento di solito; offro solo una relazione professionale e umanamente educata, ma superficiale. Manifesto un ruolo di impiegato perché è per quello che mi pagano e non voglio condividere altro. Ovvio è, che stiamo comunque parlando di relazioni tra esseri umani e che, come tali, non possono essere completamente algide, ma in linea di massima cerco di mantenermi il più possibile al margine ed operare solo attraverso il filtro di una professionalità educata. Non ho bisogno di raccontare chi sono, non mi interessa creare un contatto intimo anche se l’incontro (quello vero), quando capita, non lo evito perchè è sempre un regalo (anche quando il pacchetto fa cagare).
Su altri aspetti della mia vita però, con le persone che mi orbitano intorno perché le scelgo, con i miei affetti ed i miei amici, la situazione si complica nella misura in cui e fino a quando non si trova la giusta pozione alchemica per creare armonia nel progetto che si sta condividendo. Quella mediazione tra ruoli che permette una sana collaborazione. Ma se per qualche motivo la pozione magica perde il suo effetto, allora è sano manifestare il proprio cambio di stato. Questo può portare ad un cambio di direzione ed a un arricchimento o ad una separazione in quell'ambito. Quello che rimane difficile è gestire il sentimento che questa esternazione può creare. Dire a qualcuno che è parte del tuo quotidiano che non è più adeguato per me (non in maniera assoluta intendiamoci) in quel ruolo, senza trasportare questo sentire sul piano affettivo è impegnativo, stancante, crea confusione, dubbi e mi fa venire l’orzaiolo.
Probabilmente non sono stato chiaro perchè ancora sto metabolizzando. L'errore, accidenti a lui, è sempre dietro l'angolo. 
Questa settimana mi è capitato due volte di voler manifestare il mio sentire pur sapendo che avrebbe creato attrito! Una situazione pare si sia chiarita mentre l’altra si sta riempiendo di malintesi, mezze verità, intrighi. Arriva un momento dove la paura di creare dolore o delusione negli altri, crea mostri peggiori della verità. La mia verità. Il mio sentire. Può non piacere, non essere condiviso, fare male, fare arrabbiare ma è ciò che sento con il cuore; è genuino non è ragionato e non nasce con finalità malvage. E’ qui, dentro di me e sento il bisogno di condividerlo con la persona la quale ne da un volto ed una forma. Questo intenso processo di affermazione personale (io affermo chi sono facendoti sapere cosa sento) lo ritengo un atto di onestà  e di amore nei confronti di un amico perché richiede uno sforzo immenso (almeno per me) e volontà e ti mette in una situazione spesso scomoda.

Una grande lezione di vita, in così poco tempo. Fino a qualche settimana fa mi sarei tenuto tutto per me, avrei tratto comunque le mie conclusioni, ma non avrei condiviso per non creare attriti, per non mettermi nella posizione di avere il diritto a dissentire, perché io, non conto un cazzo. Fino ad oggi. Avrei coltivato in segreto la mia insoddisfazione e le mie frustrazioni e alla fine avrei abbandonato il progetto comune con qualche scusa, lasciando dentro di me una piccola carie che con il tempo sarebbe diventato un doloroso ascesso. Ma oggi mi sento in diritto di argomentare ciò che penso (solo nel caso che questa mia opinione porti a qualcosa e non sia fine a se stessa ovvio), anche se fa male a qualcuno . Ho da troppo tempo una bassissima autostima (vediamo se ci lavoriamo un po’ su grazie) che non mi ha mai permesso di dare un opinione su qualcun altro. Intendiamoci, di opinioni sugli altri ce ne facciamo mille al giorno, ma mai mi permettevo di illustrare a qualcuno il mio sentire quando ero in disaccordo per qualcosa per me importante. Dentro me la voce della mia insicurezza sussurrava “ E tu? Tu sei migliore? Al posto suo cosa faresti? Con che diritto critichi qualcuno se tu non sei nessuno?” . Invece io sono qualcuno. Sono Ivano. Ho delle idee, delle convinzioni che possono essere messe in discussione; sono sempre pronto al confronto e al dialogo. Ma non permetto più di togliere dignità al mio sentire, perché se non costruito o filtrato dalla ragione con lo scopo di manipolare o guidare, allora è vero e sano. E mio. Chi lo vuole interpretare come qualcos'altro lo faccia pure.

Pur mantenendo come precetto base la massima di Socrate IO SO DI NON SAPERE, ossia l’ammissione della propria ignoranza come base per la conoscenza, rimane il fatto che ho diritto ad un’opinione, soprattutto se essa crea in me un vissuto con un amico. In questi giorni straordinari mi sono sentito in diritto di condividere senza imporre nulla, senza chiedere nulla in cambio o di diverso. Solo manifestandolo e rendendo partecipe l’altro. Lascio anche la libertà di gestirlo come meglio creda, compreso il rischio di perdere quell’amicizia perché vissuto come un affronto personale, come un’offesa, una mancanza di rispetto o un mettermi su un piedistallo e giudicare.
Noto ora che nelle relazioni, se si aspetta troppo a palesare un malessere, un dubbio, un’incomprensione o ad esternare la fine di un’epoca, di un vissuto, diventa veramente difficile non fare di tutta la complessità del legame un unico sterile fascio.

Io mi sento l’ultimo ignorante sulla terra e parto sempre dal presupposto che chiunque possa insegnarmi qualcosa. Apprendere e conoscere sono i propulsori del mio interesse verso una persona. Aggiungo anche la bontà, talento (troppo sottovalutato) che mi ha fatto innamorare del mio compagno. Probabilmente perchè non so un cazzo e sono cattivo!!!!

Mi metto sempre in discussione e cerco (magari non riuscendoci ogni volta) di mettermi nei panni degli altri. Accetto le critiche, con stizza e apprensione all'inizio forse, ma sempre prendendole in considerazione prima di decidere se veramente mi possano aiutare a migliorare, se effettivamente evidenzino una mia zona erronea prima di rifiutarle. Oltretutto credo che se una critica crei un riverbero tale da scuotere le fondamenta della proprio sicurezza, allora sia un regalo del cielo. Perché le case costruite su fondamenta instabili, crollano facilmente creando danni enormi quando meno te lo aspetti!

Ed è curioso che proprio in questi giorni, dove sento il profumo del nuovo e la tentazione del mistero sia incappato in queste difficoltà relazionali. Forse il rispetto dell’altro implica la sincerità nel sentimento. Questo mio voler proteggere e preservare crea ancora zone paludose e non fiumi cristallini.
D’altro canto amare qualcuno, significa anche lasciarlo andare non costringerlo a rimanere per forza con omissioni.
E allora dico a questi amici verso i quali ho manifestato un sentire non piacevole che io sono qui comunque pronto a condividere qualcosa di nuovo e/o qualcos’altro, ma se ritenete che la mia verità crei una frattura nella nostra relazione allora avete la mia benedizione per andare lontano. Il mio affetto non cambia. Anzi è più reale.

Tante emozioni forti che ho suscitato ed ho vissuto in questi pochi giorni. Momenti di profonda riflessione e di confronto che mi fanno sentire più uomo, più maturo e per questo non posso che apprezzare la mia età e la mia esperienza. Per molti, l’avanzare del tempo è una condanna, per me è un dono prezioso; è passare dallo spirito alla materia per poi riappropriarsi piano piano, dello spirito incarnato come singolo, unico per poi sentire di essere un tutto di nuovo.
Mi piace questo Ivano che prende coraggio e si muove nel suo mondo; mi da gioia e fiducia perché tutto quello che capita, TUTTO e SEMPRE è parte di un disegno che vuole esclusivamente  rappresentare la propria realizzazione e consapevolezza.