martedì 20 settembre 2016

VENTO NELLA TESTA

Oggi ho il vento nella testa.. 
Questa è l’espressione più appropriata. Come se qualcuno ti stesse parlando da vicino ma tu non riuscissi a sentire tutto il discorso a causa di un  forte vento che porta via le parole.             

E così nella mia testolina si formano immagini, che prima di acquisire una forma definita, si disfano in migliaia di granelli di sabbia portati via dal vento. E rimango lì, con l’aspettativa della chiarezza tradita, in mezzo al vento che spinge via tutto e non permette a nulla di rimanere fermo.

Dovrei essere felice in questo momento e invece sono turbato, confuso, insicuro, indeciso. Ogni qual volta cerchi di dare un volto a questo malessere, di attribuirgli un nome, come fumo spinto da una corrente improvvisa, si sposta, cambia forma, si allontana.

Di vento sono i miei pensieri, brezze leggere le immagini fugaci e oscuri vortici istanti sconosciuti.

Che palle! Vorrei stare sereno per un po’, cosmo, do you hear me?

Forse è un trucco del mio essere che, avendo quasi  sempre vissuto  in Emergenza, in avaria, per qualche motivo, quando tutto è tranquillo cerca comunque ragioni di instabilità e di ansia. Anche perché poi, quando le ragioni ci sono per essere sbigottito, triste o disperato, di solito reagisco con prontezza di spirito e con decisione.

Adesso continuo a fare una diagnosi, una fotografia di questo momento qui, adesso, analizzando con la lente di ingrandimento tutte le cose che mi capitano, che scelgo che organizzo e le persone che mi orbitano attorno per cercare il colpevole del mio malessere. Pur sapendo che, se proprio un colpevole deve essere trovato, quello sono io.

Fuck.

Mi sento un po’ come durante la caccia alle streghe nel momento di auge dell’inquisizione: immagino un periodo nel quale bisognava trovare colpevoli e perché gli altri rimanessero nel timore reverenziale della divinità filtrata dalla chiesa e perché si potesse avere la coscienza a posto. Quindi una doppia forza che esercita controllo e che da una sorta di tranquillità.

E forse è quello che sto vivendo adesso: ho bisogno di creare in me questa forza che in qualche modo argini le mie idee al di fuori dell’orticello e che dall’altra mi faccia sentire al mio posto non uscendo dal coro. Ma mi rendo conto che quest’energia ne scatena un’altra di eguale forza: il senso di colpa, del rimorso di non poter  fare, di rimanere nel conosciuto perché l’ignoto non mi è dato a conoscerlo. Inutile, dannoso, nocivo bastardo senso di colpa che a quanto pare non mi molla mai. Anzi sono io che lo stringo a me con forza, più mi disgusta più affranco il mio abbraccio.

Ricapitolando: voglio creare nuove strade da percorrere, ho paura di farlo così cerco la crisi che giustifichi il cambio di opinione e confermi la tranquillità della stasi, ma ciò implica un’insoddisfazione.

Per cui direi che il momento non è per niente tranquillo: qualcosa dentro di me si smuove, allunga dita affusolate con le quali mi solletica il cervello, striscia tra le viscere creandosi spazio tra gli organi interni, ma ho paura di esplorare. Paura di perdere, paura di incontrare, paura di cambiare … Paura di saltare nel vuoto, paura di volare.

E nonostante i libri che abbia letto, le persone che me ne hanno parlato e non ultime le esperienze che ho vissuto spingano senza riserve ad andare avanti senza timori, io resto inchiodato qui facendo un passo incerto e poi facendone subito uno indietro, avanti indietro, avanti e indietro finchè non mi gira la testa e mi dico: ok, per oggi abbiamo fatto abbastanza. Pur rimanendo nello stesso maledetto identico punto.

Che poi se almeno ci stessi bene in punto no? Se in un momento di tranquillità (chiamatelo stasi, sosta, pausa) mi faccio tutto sto cinema per farmi capire che evidentemente sta tranquillità non la voglio allora non sarebbe più semplice muovermi e ciao? Vai, cammina, corri, salta e quando sei stanco siediti dove sei, sti lì, non tornare indietro!

I concetti più semplici sono quelli più potenti, più veri e quindi più difficili da capire e soprattutto da vivere . Concetti semplici, che come una stella cadente attraversano il mio cielo notturno, splendido movimento in mezzo ad un mare di luci immobili, trasformati dalla mia perversione  in macchinosi ragionamenti, ibridi tra pensiero e azione, aberrazioni della semplicità umana, impossibili da gestire.
E intanto il vento soffia, woosh, woosh …….


E purtroppo ancora, tengo lo sguardo rivolto al suolo, incapace di alzarlo e gridare meravigliato: “L’ho vista, l’ho proprio vista!”

venerdì 16 settembre 2016

I CUUUUUUUUUUUUUUGISSSSSSSSSS

Ho urgente bisogno di cugis: oggi non ce la posso fare. Nulla di diverso, nulla di più complicato da affrontare, ma sono “on the edge” , sul filo del rasoio. Detto all’italiana ho i coglioni pieni. Ecco.

Quindi S.O.S CUGIS.

Ma chi sono i cugis? Scrivendo un blog molto personale ormai da 6 di anni, mi sembra stranissimo che ancora non abbia parlato di loro, di noi. Menzionati più volte, potrei dire che i cugis sono la mia setta segreta, il circolo magico, l’ordine dei disadattati, ma in realtà e molto semplicemente, sono la mia famiglia, qulla scelta. Ci conosciamo da tanti anni e in qualche modo ci siamo intrecciati come gli arbusti formando un unico grande albero. Posso stare senza cugis per mesi, ma sono sempre presenti nella mia testa e nel mio cuore. Posso arrabbiarmi a morte con qualcuno di loro per qualche tempo, ma mai sono fuori dalla mia vita. Sono un po’ come le personificazioni emotive di Inside-out: quando mi ritrovo a gestire una situazioni sento le loro voci che danno pareri, anche quando non sono richiesti!

Come ogni gruppo che si rispetti, dall’ A-team alla lega della giustizia, abbiamo una base, un po’ sgarrupata adesso, ma comunque un quartier generale ben difeso e ben organizzato: la casa cugis. Lì, normalmente, ci vive una serena famigliola, padre, madre e due stupende bambine (le pupis), ma a volte nel week end, dopo il tramonto, i genitori si trasformano nei cugis anfitrioni e ci accolgono per le nostre misteriose e mistiche riunioni che a volte sono incontri da nerd, a volte veri e propri baccanali e spesso le due cose insieme.

Siamo in 4 ormai, ma non demordiamo. Negli anni siamo stati di più, ci sono anche dei random-cugis che bazzicano l’ambiente ogni tanto, altri cari amici. Ma direi che io , la cugi, il cug e Daniele siamo i padri fondatori di questo gruppo di anime affini che trova nella relazione sociale e nei giochi, un momento di diversione, di sfogo, di amore e di verità.

Lì so chi sono e quando il mondo mi racconta frottole, o quando mi fa qualche scherzo, mi ci posso rifugiare, per leccarmi le ferite o inveire dal balcone.
Il termine cugis deriva dalla parola cugini anche se gli unici familiari di sangue presenti nel gruppo siamo io e il cugi. Sua moglie la cugi è ovviamente cugina acquisita e Daniele è un amico d’infanzia, sicuramente uno dei più cari. Uno dei rapporti più turbolenti che abbia mai vissuto ma ne vale sempre la pena. Dire cugini è riduttivo: siamo famiglia, liberi dalle implicazioni e dall’obbligo del sangue, siamo compagnoni, siamo gli unici, originali CUGIS.

Cosa ci accomuna: la passione per i giochi di società ad esempio, il piacere del il buon vino, il cibo, la voglia di ridere fino alle lacrime, fino a quando non ti si irrigidisce la mascella e non riesci più a respirare. La gioia e il calore del focolare, per raccontarsi, per stare intorno al mitico tavolo rotondo tenendosi per mano prima di cena per dire “ BUON APPETITO GRAZIE ALTRETTANTO”. Ci accomuna la musica, quella buona, siamo (forse a parte Daniele) super fans di Mina che spesso è colonna sonora delle nostre serate. In quella casa c’è movimento, c’è complicità, c’è libertà, c’è fantasia e creatività. Siamo una nuova generazione di boemi incastrati tra grigi edifici della globalizzazione, siamo poeti operai, siamo rivoluzionari assopiti.

Ovviamente siamo individui diversi tra noi pur avendo ognuno con l’altro aspetti in comune. Non sempre le nostre vite, i nostri percorsi, vanno di pari passo. Ci sono dei periodi di distanza, di distacco fisico ma, per me, è come se ci fosse un gomitolone di lana rossa dalla quale partono 4 fili. Possiamo andare dove vogliamo, allontanarci miglioni di km ma se ci voltiamo, c’è sempre quel filo che mi ricorda che i cugis ci sono, basta seguirlo.

 E’ una grande fortuna per me, oltre ad avere un compagno prezioso, altri amici veri, poter godere di questi pazzi scatenati con i quali mi confronto e mi rilasso, mi incazzo tantissimo, rido, rido, rido, rifletto e gioco. Credo che proprio il gioco sia un terreno fertile dove coltivare e mantenere vivo e meravigliato il nostro bambino interiore. Ecco dai cugis si torna anche bambini, quelli nerd di “stranger things”(serie televisiva ambientata negli anni 80) pronti a vivere delle favolose avventure tra carte, dadi e miniature.

Per esempio abbiamo letto in contemporanea i libri di Harry Potter, in un’età nella quale, la maggior parte della gente legge il corriere della sera e discute sul presidente del consiglio. Invece noi ci emozioniamo per Harry e Silente, che si fotta Berlusconi. E anche ora, con un’età media del gruppo sui 40 anni, non vediamo l’ora di leggere l’ultimo capitolo in uscita.

Siamo 4 persone completamente diverse, che, ognuno a modo suo, cercano di dare significato alla propria esistenza. Siamo consapevoli della superficialità e a volte dell’ignoranza della società nella quale siamo immersi e giochiamo spesso con ironia e leggerezza,a volte scaviamo la vita con un profondo lavoro su noi stessi. Siamo viaggiatori, esploratori della ragione e dell’animo umano. Non per niente i cugis sono pedagogisti, professori, filosofi- artisti. L’unico ignorante sono io ma credo di apportare una forza di coesione e unità necessarie alla continuità del gruppo.

E a prescindere dagli studi fatti e dai percorsi, siamo 4 belle anime tormentate e curiose, con voglia di indagarsi. Ma i cugis sono soprattutto tanto affetto e tantissima voglia di divertirsi.
E ce la facciamo sempre.

Questo sabato abbiamo indetto una cugi riunione: la ripresa del lavoro e delle attività che ci si avvinghiano addosso dopo l’estate, sembrano prendere il sopravvento e abbiamo bisogno tutti di un ARIMO. E noi,sappiamo benissimo come fermare il tempo e prendere ampi e rilassanti respiri.
Perché i cugis hanno poteri magici.
A sabato cari!


giovedì 15 settembre 2016

PIOGGIA ONIRICA

Il giovedi  è sempre un giorno impegnativo, per lo meno la mattina.

il Mercoledì sera ho le prove con il mio gruppo e non arrivo a casa prima dell’ 1. Ciò vuol dire che tra una lavata di denti e lo scarico dell’adrenalina, mentre ascolto le registrazioni, vado a letto all’1 e 30; ora che prendo sonno sono più o meno le 2.30. 
Purtroppo non sono uno di quelli che tocca il cuscino e va in coma farmacologico (come il mio ragazzo ad esempio). Io ho il mio rituale: vado a letto, attacco il telefono a delle casse sul comodino, attivo l’applicazione con i rumori della pioggia e leggo. 
La lettura di circa 30 minuti è fondamentale, insieme ad un rigoroso silenzio (a parte il temporale digitale ovvio), per liberare il mio incasinato cervello da tutti quegli stimoli derivati da rielaborazioni della giornata, programmi per il giorno seguente, sogni, paure e desideri.

Mi concentro sulla storia che sto leggendo e spesso, quando la mia testa si è raffreddata e i miei pensieri sono rivolti alla guerra tra popoli selvaggi del sud ed esercito imperiale, posso spegnere la luce e partire per i miei viaggi onirici.

Questa è l’unica tattica sviluppata negli anni per riuscire ad addormentarmi in circa 40 minuti. Ma se, ad esempio, dopo 15 minuti che sto leggendo (quindi già iniziato il processo di rilassamento fisico- mentale ) irrompe Gianni in camera (lui va a letto molto più tardi di me  e spesso sviene sul divano), allora devo ricominciare tutto il procedimento. Basta che accenda la luce o che impugni la maniglia della porta con vigore e BOOM sono di nuovo vigile e indemoniato.
 Mi sale subito la lava vulcanica, il battito cardiaco amunenta e mi viene voglia di spaccare una chitarra elettrica su un palco e fumare 10 sigarette insieme. Non ultimo ho subito bisogno di pisciare.  Riesco a passare da Pisolo a Marylin Manson nel suo giorno peggiore in 13 secondi. Lo so, sono fatto male, ma così funziono. L’importante non è avere dei problemi ma sapere come gestirli! E poi, dopo 36 anni, ci si affeziona anche alla propria bipolarità Smeagol/Gollum. Ho così tante persone dentro di me che non mi sento mai solo!

Oltre a perdermi nel libro, di solito, nella fase pre-sonno, immagino anche di essere su una barca, la maggior parte delle volte di legno, grezza e spartana; altre notti sono su un super barcone ultra-tech in metallo; raramente mi ritrovo in  una specie di sottomarino trasparente che cambia forma e dimensioni a seconda delle mie esigenze.
Immagino di percorrere un fiume della foresta Amazzonica: devo viaggiare tutta la notte, la pioggia picchietta sulla mia tenda (perché quasi sempre la mia è una barchetta con una tenda da campeggio sopra) e sulle foglie enormi delle piante acquatiche che costeggiano la riva. Ogni tanto mi viene a trovare anche qualche indigeno…

Altre volte sono felicemente assopito in una carrozza (tipo quelle del far west con la tenda ad arco sopra) trainata da cavalli e su una strada sterrata che attraversa boschi e praterie: non si sa bene chi sia ma una compagnia di viaggiatori mi trova sul ciglio della strada fangosa. Ovviamente piove a dirotto (condizione necessaria per il mio rilassamento) e io buttato lì, infreddolito e bagnato fradicio, faccio pena ad una paffuta e benevola signora che mi porta nel suo carretto: ovviamente dentro è praticamente una casa con un confortevole letto tutto per me e una stufa accesa.

Può capitare anche che mi trasformi in un esploratore di fondali marini: dentro un mini sottomarino rigorosamente trasparente, mi inoltro nelle profondità oceaniche per arrivare da qualche parte: in contatto radio con un centro comando di solito mi dicono che, a causa del lungo viaggio che devo affrontare, mi faranno inalare un gas per farmi dormire. E dalla radiolina si sente la voce metallica che dice: ok maggiore, abbiamo rilasciato il sonnifero; tra poco sentirà le palpebre pesanti, si metta comodo e buon riposo!

Ma la fantasia che preferisco è quella nella quale io cado dal cielo nel mondo del romanzo che sto leggendo al momento. Ci tengo a precisare che leggo soprattutto fantasy epici dove ci sono maghi, cavalieri, mostri, demoni, intrighi di potere, guerre, super cattivi etc. Ecco, io mi immagino di arrivare in quel mondo, senza memoria di chi sia in realtà ma conoscendo già tutto quanto letto fino a quel momento. Così vado alla ricerca dei personaggi, presentandomi come un uomo misterioso che sa tutto di tutti.Una zebettona medievale ecco.
 Considerato a volte veggente, altre come consigliere fidato ma sempre temuto come affascinante straniero (e che faccio me immagino un cesso) con dei poteri formidabili che fanno cagare addosso il cattivone di turno e bruciare d’invidia il protagonista che ancora fa passi incerti sul cammino dell’eroe, sconvolgo a mio piacimento la trama che con tanta fatica l'autore ha creato. Buhu.
E che divertimento!

Insomma, negli anni ho dovuto imparare ad ingegnarmi per potermi addormentare in un arco ragionevole di tempo. Oltretutto speravo e pensavo che con la vita di coppia, mi sarei abituato a dormire abbracciati, vicini vicini, uno sopra l’altro; invece niente: io ho bisogno di spazio, di un cuscino di fianco a me e di immobilità assoluta. Solo nel week end infatti “permetto” a Gianni (povero martire) di venire a letto con me, perchè lui, o sviene in un secondo e mi russa nel timpano, o, se non ha veramente sonno, si mette a smanettare con suo figlio iphone (con rumori orribili di video facebook e youtube) e poi si muove, si gratta , si gira, tossisce…
La cosa più fastidiosa credo sia il suo digitare messaggi sulla maledetta tastiera touch: ti-ti-ti-ti-ti-ti-ti-ti-ti-ti-ti-ti-ti-ti-ti-ti-ti-ti-ti-ti-ti-ti, poi il “plin” del messaggio inviato, poi il “plin” del messaggio ricevuto e la risatina nel leggerlo. MA DAIIIIIIIIIIII se non hai sonno puoi socializzare da un’altra parte??????? Ma un pizzico del mio amore per lui risiede anche nel suo essere rumoroso.

Anyway, stamattina, pur distrutto fisicamente dalle poche ore di sonno (adesso devo dormire almeno 7 ore per sentirmi rinvigorito , ah l’età!), il cosmo mi ha regalato un giorno piovoso!
Si, si, faccio parte di quell’1 % mondiale che adora la pioggia a differenza del restante 99% che ama il sole, caldo, estate, piedi nudi, costumi e piscine!
Quando mi sveglio la mattina, se dalla finestra del bagno vedo il prato e gli alberi del vicino bagnati, mi parte un sorrisone e sono pronto ad affrontare la giornata con la voglia di cantare! In fondo io sono un ghiro, un orsone da letargo, quindi quale scusa migliore per stare nella propria tana che un giorno di pioggia? Preferisco anche lavorare con la pioggia. Perchè dovrei desiderare una bella giornata se tanto devo stare chiuso in ufficio 8 ore? Cosa sono masochista?

Oltretutto per me la pioggia è movimento, natura in azione, e anche io, dentro, mi sento tutto un ribollire, un maremoto di liquidi: la mia mente è più attiva, l’aria umida mi entra dalle narici e mi idrata, i colori mi sembrano più vivi, più veri. Il sole estivo invece mi da una sensazione di stasi, di fermo immagine, stop; tutto è giallognolo, il caldo aumenta la forza di gravità, la mia mente va in affanno, il respiro è secco e non ho voglia di far niente.

Il cielo plumbeo mi sembra faccia da ottimo contrasto per le diverse tonalità di verde delle piante e la terra sprigiona il suo profumo. Ovvio che non disdegno una bella giornata di sole, ma se devo scegliere tra caldazza e grandine, ave o grandine senza nessun dubbio, rimorso o rimpianto.

E poi vuoi mettere il piacere del camino mentre fuori piove? Un buon piatto caldo, l’amato libro sul divano con copertina e pennica incorporata? Invece del ventilatore che ti da un po’ di ossigeno mentre tieni le tapparelle chiuse durante il giorno nella speranza che il sole non ti bruci tutti i peli delle braccia, sudando anche se starnutisci e preferendo la morte per stenti piuttosto che accendere un fornello anche solo per un caffè? Non avere energie neanche per schiacciare play sul pc per far andare un film, figuriamoci leggere un libro….Anche no, grazie.

Preferisco il freddo al caldo, o il fresco all’afa, soprattutto vivendo in una zona che non si presta molto al sole cocente. La natura della montagna o della collina schiude le sue meraviglie, a mio avviso, con l’aria pungente, frizzante, quella che ti sprona a camminare ed esplorare; l’ombra che ti rassicura quando c’è troppa luce, il mistero del cielo ricoperto di nuvole, il profumo dei funghi del sottobosco.
Ho vissuto 5 anni a Valencia, un posto dove l’inverno è la nostra primavera, quando fa freddo. Ho sofferto, ma ho vinto e mi sono abituato alle palme addobbate con luci colorate a Natale, a non avere i caloriferi in casa, a non vedere una goccia di pioggia per mesi, ad avere sempre una t-shirt da sfoggiare anche a Gennaio, ma qui la mia natura da mammifero polare trova il suo habitat: il freddo mi sveglia, mi sembra sussurrarmi “Dai, vai, fai” e m’ invita a stare sempre in movimento, attivo e reattivo.

Grazie pioggia e cielo grigio per questo bel Giovedi.

mercoledì 14 settembre 2016

UNA VITA UN MINUTO, UN MINUTO UNA VITA


Stamattina sono quasi arrivato al lavoro in ritardo: mi sono svegliato alla stessa ora di sempre, ho fatto le stesse cose, doccia, borsa palestra, preparazione pranzo, ma mi sono dilungato più del solito a pensare.

Ho aperto gli occhi nel mio lettone con un sorriso (e questo è molto raro) perché nella testa avevo una frase che continuava a girare e girare acquistando sempre più significato: una vita è un minuto cosmico,  una vita un minuto cosmico, una vita un minuto.

Questo è un concetto per me splendido che spesso la mia cug mi butta lì, tra un bicchiere di prosecco e un piatto di pasta con le melanzane. Una frase semplice che mi arriva dentro come un buon profumo ogni volta che la ascolto. Un pensiero che racchiude, a mio avviso, il segreto del benessere e forse della felicità. Sicuramente della serenità.

Per chi non lo conoscesse, credo che sia una teoria antroposofica, (non ne sono sicuro e a dire il vero non mi interessano molto le fonti) ma anche se l’avesse inventata un ubriacone del circolone di Bosto l’avrei fatta mia lo stesso. Secondo questa concezione, la vita di un essere umano incarnato corrisponde a 1 minuto nella percezione del tempo (anche se immagino che non esista lì un concetto di tempo per come lo intendiamo noi) dell’anima umana disincarnata.

63  anni (ciclo vita base) = 1 minuto.

Capite anche voi che le cose, tutte, le situazioni, anche le più orribili e le più insostenibili acquisiscono una prospettiva diversa. Una cosa è una puntura di zanzara che ti da fastidio qualche minuto, un’altra è una pugnalata che ti fa morire dissanguato. E secondo questa teoria una pugnalata è una puntura di zanzara.

Almeno per come la digerisco io. Insomma la vita è un’avventura, un viaggio, un cammino di piacere e di conoscenza anche se si incontra il dolore e la difficoltà. Questo pensiero mi crea uno strato di serenità interiore come quello di grasso dei pinguini, che sapendo di dover affrontare temperature proibitive, si mettono vicini vicini, belli paffuti e sopravvivono senza troppi problemi.
Non so che sogno abbia fatto, ma questo è stato uno dei migliori risvegli che mi possa ricordare. Sapere che da un punto di vista spirituale, la nostra anima è in “gita” mi rasserena  molto. Ecco come mi immagino la scena.

Il bar delle anime.
C’è un luogo di ritrovo  per le anime viaggianti, un punto di ritorno e un punto di partenza. E’ il bar di Mimmo, un animone saggio e antico che ha smesso di viaggiare perché ha visto e vissuto tutto, ma ha rifiutato di raggiungere il Nirvana per poter dare ristoro alle anime trafelate ed esaltate di ritorno dai loro viaggi e confortare quelle in ansia prima partenza. Il bar delle anime è un via vai continuo, non chiude mai ed è sempre pieno di vita e racconti. Al bancone enorme, tra le tante anime radunate, siedono due giovani che chiaccherano:

“Allora com’è andata? Dai racconta!”
“Mah, a dire il vero non ho capito molto. Arrivo, apro gli occhi, vedo qualche persona poi un rumore assurdo, una luce bianca accecante, e mi ritrovo di nuovo qui. Ero così eccitato per la partenza… e adesso chissà quanto devo aspettare. Praticamente sono uscito dalla porta e sono rientrato dal retro. Tu?”
“Io mi sono ritrovato ancora con lo stesso gruppetto di sempre, sta volta io ero la madre… Che ridere !! Stavolta eravamo poverissimi, vivevamo in India, nelle slum. Che odore, che miseria, ma eravamo così felici Sempre sorridenti… Non come l’ultima volta in occidente… il distacco dalla materia è il segreto.”
“ Si, peccato che una volta che arrivi lì non ti ricordi più niente e via a possedere e disperarsi per il denaro…. E’ così stupida la materia che è contagiosa.”

E poi arriva Mimmo con due belle tazze di cioccolata calda:

“Ecco qui ragazzi, allora ritempratevi dal vostro viaggio e poi via a decidere una nuova destinazione!”

Intanto si avvicina un’altra anima:

“ Eccoti qui finalmente… che bello rivederti”
“Ciao tesoro mio! Ma se ci siamo visti un attimo f…A giusto, una vita un minuto, un minuto una vita”
“Carlo ti presento Elena, lei era mia figlia nell’ultimo viaggio “
“Piacere Elena, allora Sandro mi raccontava che siete stati bene a Bombay”
“Si, finchè è rimasto Carlo siamo stati felici, poi però è arrivata la guerra e insomma.. diciamo che non ci siamo annoiati…”
“Ah, anch’io credo essere arrivato in un luogo di guerra, dicevo proprio a Carlo, un attimo e poi via di ritorno al bar…”

Questa è un piccolo estratto di quello che immagino accada lassù quando lasciamo i nostri contenitori. Io scelgo completamente di credere nella reincarnazione, nel gioco dello scendere nella materia per fare esperienze. Nell’accordo tra anime che prima di ritornare, decidono i ruoli per permettere l’una all’altra un’evoluzione sempre diversa. E se questa è la vita che il nostro io (la nostra anima immortale) ha scelto per noi, allora va sempre bene.

L’immersione nella materia vale la pena di essere vissuta sempre sapendo di essere anche spirito.


E, come da piccolo, quando qualcosa mi spaventava di notte, chiudevo gli occhi e contavo fino a dieci, anche adesso davanti ad un problema che sembra insormontabile mi dico, solo un minuto Ivano, solo un minuto.

martedì 13 settembre 2016

L'ARTE DELLA RESILIENZA


Oggi direi di essermi svegliato male. Le ragioni ci sono sempre, anche se quasi mai valgono il ribollire del sangue, ma pur sapendolo, io vado in punto di fusione. Ed una volta che il nocciolo si scalda, ci vuole un “nonnulla” per un disastro nucleare. Una telefonata antipatica, un problema da risolvere etc. Tutto nasce da un singolo momento, da un fiocchettino di neve, che in men che non si dica si trasforma in valanga, travolgendo tutti i buoni propositi e fottendo il mio buon umore.

ARG,SGRUNT,PORC, SVOOSH.

Anche riconoscendo la piccolissima miccia che fa appiccare il rogo, non riesco a calmarmi e rasserenarmi. Sono in modalità “mollatemi tutti, io non esisto, sono Casper”. Non hai visto niente, non hai sentito niente, vaffanculo a prescindere. Tanto per essere chiari.

Oltre che a un movimento tellurico importante delle mie placche “prostatriche”, sento anche il mio volto che diventa pietra, fossilizzandosi in un’espressione arcigna e supponente che credo possa solo dire: “ non vali un cazzo, scansati e NON parlarmi”. Scrivendo queste parole che fanno uscire un po’ di aria calda dalla pentola a pressione del mio cervello, non posso fare altro che sorridere, perché, guardandomi dall’esterno e conoscendomi ormai abbastanza, risulto una caricatura di me stesso.

E così, è quasi magia Jhonny, la mia faccia di marmo piano piano riacquista elasticità e colore, sento ritornare il calore della serenità.

Il trucco in questi momenti di “AVARIA, AVARIA, ALLARME ROSSO SCAPPATE TUTTI”,  sta proprio nel sapersi allontanare da se stessi in alcuni momenti per verificare che un brufolo non è una montagna, ma solo un brufolo. Il potersi vedere dall’esterno è un’ottima tecnica per il buon umore, per riprendere fiato, per vedere la giusta grandezza delle cose, che spesso dall’interno o da vicino sembrano immense. I MEGA-PROBLEMI, se visti dall’alto, possono essere semplicemente delle cagate di coniglio, certo comunque merda, ma sicuramente gestibili.

Forse è troppo dire che adesso sono in sintonia con il mondo, ma con un occhio dentro ( furibondo) e un occhio fuori (divertito e tranquillo) riesco a trovare quell’ auto-ironia che permette di prendere le cose alla leggera, che da il super potere della resilienza.

Resilienza è una parola che mi piace un sacco. Vorrei scriverci una canzone, un saggio, vorrei farne un film! La capacità di farsi scivolare le cose addosso. Io mi immagino sempre di essere sotto una cascata di vernice colorata che mi ricopre e poi se ne va via senza macchiare né vestiti o pelle. Al momento dell’inondazione la sensazione non è piacevole perché la vernice è densa, ti ricopre completamente e ha un odore poco gradevole ma poi tutto sparisce, così come è arrivato. Ritengo che sia sempre più difficile sviluppare questa capacità in quanto c’è l’abitudine a fare i nodi al cuore, di tenersi tutto, di vivere ogni difficoltà come un affronto personale, un attacco voluto del destino proprio contro di te. Soprattutto in quegli ambiti sociali falsissimi come il posto di lavoro (beato sia chi può dire di stare 8 ore al giorno in un intorno positivo e sincero) bisogna esercitare questo bel dono ripetendosi più e più volte “ ma a me, in fondo, a me come persona, come essere umano, cosa cazzo me ne frega di sto teatrino? Nulla!”

Che poi, volendo guardare anche in un ambiente falso si trovano verità: gli incontri tra colleghi distanti anni luce per scelte e percorsi hanno sicuramente qualcosa da dirsi se si ritrovano gomito a gomito tutto il giorno 330 giorni l’anno dico io! Però è interessante l’incontro umano, non quello professionale che di solito si perde in un gioco di ruolo "datatissimo" e noioso, almeno per me. Lo stesso vale per le relazioni, di qualsiasi tipo: la bellezza ed il senso profondo sta nella gioia dello scoprirsi ogni giorno e ciò spesso è soppresso dalla consuetudine a causa della quale due individui unici diventano caricature di ruoli senza vita.  Le cose importanti sono i sentimenti, le passioni, gli amori, le affinità, le occasioni karmiche, le sinergie che intersecano i percorsi, gli incontri appunto… Tutto il resto, a mio avviso, è contingenza, necessità, abitudine al Truman show, al Matrix.

E mi va bene fare dei giochi di ruolo, tenendo ben presente però che io non sono l’impiegato, non sono il figlio, non sono il marito, ma sono e resto Ivano. 

lunedì 12 settembre 2016

LEGGI E SCRIVI, LEGGI E SCRIVI.....

Scrivere, scrivere, scrivere. …. Stamattina, mi sono svegliato con voglia di buttare un po’ d’inchiostro su carta pur non utilizzando né l’uno né l’alta. Il romanticismo ucciso dal codice binario!
Sono anche di buon umore perché questo bel Lunedi mi ha regalato non 1 ma 3 arcobaleni… Bhè, non sarebbe male trovare almeno un pentolone pieno di monete ma ci godiamo quel che c’è. E poi bisognerebbe sempre guardarsi le spalle dal folletto incazzato!

E’ un bel periodo per me, dal punto di vista artistico per lo meno. Sono completamente immerso nel mio progetto musicale e scrivo canzoni, che sento tanto senza troppo sforzo. Scrivo di getto, di sentimento d’istinto; spesso mi commuovo e mi incazzo mentre lo faccio e ciò vuol dire che, quello che scrivo, almeno per me, è vero.

Ritengo che l’unico obbligo che uno “scrittore” (passatemi il termine inappropriato) debba avere sia con se stesso: per me sia da fruitore che da “creatore” cerco sempre la sincerità, un onestà di intento. Non potrei scrivere mai, ad esempio, una parola solo perché fa rima e mi chiude la frase. Ogni termine che uso in una canzone, per me e molto probabilmente SOLO per me, deve avere significato. Anche quando immagino la vita di qualcun altro, ricerco in me una coerenza emotiva. Non so bene come spiegarlo.

E’ così piacevolmente intenso scrivere, e con le canzoni è veramente speciale unire le parole alla musica; far dire al suono quello che il significato solo della parola non può raccontare e poi enfatizzarlo con l’interpretazione. Mina è la mia grande maestra d’interpretazione per quanto riguarda la musica italiana. Lei non scrive ma ingoia i testi e le storie di altri diventano sue. E’ terreno di fertili studi l’empatia con la quale qualcosa che non ti appartenga (almeno in apparenza) diventi tuo.
Credo che nell’interpretazione (sia per attori che per cantanti) il segreto stia nel  trovare quella piccola parte di noi che racchiuda un sentimento o una condizione che sembra non appartenerci. Mi capita di poter trovare in me quel filo, seppur sottile, che mi può collegare ai più diversi stati d’animo e personalità. Ho scoperto questa capacità quando frequentavo un corso di teatro: se il mio personaggio doveva arrabbiarsi perché scopriva che la moglie lo tradiva, io cercavo una scintilla del sentimento del tradimento (che ovviamente mi apparteneva già in qualche modo) e lo manipolavo, lo indirizzavo verso quella precisa situazione.

E’ stupendo entrare in un modo d’essere o di sentire che normalmente non bazzichi.  Che poi, in realtà, tutti abbiamo provato gli stessi sentimenti, almeno una volta nella vita; diverse situazioni ma stesse emozioni. Tutti ci siamo sentiti amati, traditi, respinti; abbiamo provato invidia, rancore, gioia, gratitudine etc. Basta pescare dentro di noi quel particolare sentimento e adattarlo alla situazione richiesta. Mi rendo conto che forse questo sia un altro dono, un talento perché noto spesso e volentieri che non tutti lo posseggono. E’ per questo che ammiro tanto la grande Mina. Che parli di vacanze o di morte, sembra sempre che racconti un suo vissuto.
Brava!

Sono felice di vivere questo periodo florido: l’arte chiama l’arte come il denaro chiama il denaro. Ho deciso di riprendere lezioni di canto, perché, oltre alla necessità fisica di migliorare ed affinare l’utilizzo del “mio strumento”, ho voglia di immergermi un po’ nella musica, di farmi influenzare, di conoscere cose nuove… E per questo motivo ho altresì voglia di continuare a scrivere, su questo blog, le mie canzoni e frequentare la Corte Dalì mettendo mani nell’impasto dell’arte sociale.
“Practice makes perferct” cantava Ella, la pratica rende perfetti, impossibile non essere d’accordo, ma vero anche che  la pratica rende felici, sereni, equilibrati o piacevolmente squilibrati come preferisco definirmi io.

Anche la lettura per me ha un ruolo importantissimo. Da più o meno un anno sto utilizzando solo l’e-book: è veramente comodo e economico ( si possono scaricare un sacco di libri gratis) ma è impersonale. Manca quella relazione quasi feticista con la carta: il rumore delle pagine che passano, il colore che da bianco immacolato passa a giallognolo, l’odore di un libro, la mole (a me piacciono i libroni!) e lo scambio che c’è tra lettore e opera. Si invecchia insieme. A me piace passare con lo sguardo un libro sgualcito della mia menomata libreria (un essere malvagio ha buttatto via scatoloni pieni di miei carissimi libri) e ricordare l’intensità con cui lo l’ho letto; vedere i libri tutti allineati di una serie (in primis la ruota del tempo) e ricordare gli anni (quasi due) che abbiamo passato insieme.
Con il libro elettronico, tutto è più freddo, più distante e per quanto si possa godere completamente di una lettura manca una certa intimità. E così mi sono comprato due libri “veri” che non vedo l’ora di iniziare a leggere e credo che d’ora in poi medierò tra cartaceo ed elettronico.
Lo stesso successe con la carta e il pc: il passaggio da scrittura a mano, attraverso la macchina da scrivere (che ancora manteneva una certa personalità nel rapporto macchina – operatore) a tastiera del computer. Insomma mandare una lettera e una mail non sono la stessa cosa. Ma questo è il progresso e non voglio contrastarlo. Ho superato le cassette, i cd, le vhs, i dvd, le macchine da scrivere, ma ancora non sono pronto ad abbandonare il libro. E’ comunque un attaccamento alla materia, un legame romantico con la forma e non con il contenuto, ma pur sapendolo, amo la mia relazione con il TOMO.

Ho tanti spunti, tanti piccoli puntini da unire insieme per disegnare un mio percorso artistico che voglio godere nel tragitto anche perché, oltre a quello di conoscermi ed accettarmi un po’ di più, di traguardi da raggiungere proprio non ne ho.

 E mi sento libero da definizioni, e non mi sento opprimere dallo scorrere del tempo.

giovedì 8 settembre 2016

LA RIVINCITA DEL 14

Al lavoro, ho appena perso la battaglia contro il carattere 14. Anzi, decido di arrendermi, issare bandiera bianca e terminare questa guerra con alcuni aspetti della tecnologia. Non so voi, ma è una costante della mia vita, avere a che fare con la tecnologia, utilizzarla ed esserne affascinato, ed avere la sensazione di non possedere mai completamente gli strumenti per gestirla. Dovrebbe essere lei al mio servizio ma in realtà sono io che mi piego ai sui capricci. E mi arrendo.
Carattere 14 hai vinto.

E’ da qualche giorno che sulla mail, quando ne devo redigere una nuova, di default mi compare il carattere 14. Io non l’ho impostato, mi sembra troppo grande (quasi volessi mandare un messaggio ad un bambino che ha appena imparato a leggere) e non mi piace. Sono entrato in opzioni, ho settato di nuovo il carattere 11, l’ho salvato ma niente.  Ho provato e riprovato, ho riavviato il pc ma il carattere 14 imperterrito si ripropone con arroganza.

E così, per qualche giorno, mi sono piegato al suo volere ma con uno sguardo di rivolta andando a cambiare manualmente la grandezza del carattere ad ogni mail. Ma oggi, ho riconosciuto la supremazia strategica nella tattica di guerra e mi inginocchio ammettendo la mia inferiorità.
Mi capita a volte anche con Word: il cursore acquisisce peso sotto i miei occhi, si raddoppia e si rifiuta di cancellare le parole dietro di lui; tutto quello che voglio aggiungere in una parte già scritta si sostituisce a quanto esposto precedentemente e io taccio inorridito davanti a quel genocidio di lettere, quella slavina di caratteri che ricopre  distruggendo interi paesaggi di frasi e boschi di punteggiature. Molto spesso ho dovuto chiudere tutto, perdere quanto scritto e ricominciare da capo. Sconfitto. Sob.
Qui la riflessione: chi è al servizio di chi? Più andiamo avanti con il progresso tecnologico più incomincio a intravedere verosimile la rivolta di Skynet in Terminator: costruiamo macchine per renderci la vita più semplice (che poi il termine semplicità direi che è soggettivo). Automatizziamo, touchscreeniamo , usiamo comandi vocali, ma, pur essendo un grande fruitore della tecnologia, me ne sento sempre un po’ succube, un po’ meno libero, un po’ più limitato. Come la dipendenza da smartphone. Potremmo vivere senza organi interni, ma non senza un telefonino (che poi non sono più telefonini) ni mano.

Mi viene in mente una scena di Zoolander 2: lui ritorna tra la civiltà dopo anni di isolamento, lontano dalla moda e dalla nuova tecnologia. E così, in una scena sfoggia il suo super mini telefono, grande come un mattoncino lego (nei primi anni duemila più erano piccoli e più erano fighi) mentre un altro attore lo guarda con sdegno e tira fuori un mega Iphone maxi iper ultra grande come una scatola di scarpe!

Qualche settimana fa si parlava con degli amici e uno di essi fece vedere la nuova “cover” del telefono: una roba glitterata che mi ha fatto gelare il sangue: ma, anche volendo personificare un oggetto ( c’è di peggio nel mondo) perché ricoprire una cosa semplice nelle linee, pensata per essere leggera e maneggevole con kg di glitter rosa? Perché? Perché dargli un carattere, una personalità in qualche modo? Se sei strumento, ti tengo con cura perché costi, ti maneggio con attenzione perché più costi e più facilmente ti distruggi, ma non ti do vita.

Sul tema del chi controlla cosa  c’è una serie inglese che ha del geniale ed è spaventosamente precursore dei tempi secondo me: Black Mirror.

Credo sempre che ogni periodo buio ( come questo di schiavitù e assoluta dipendenza dalla teconologia) dia sempre l’occasione di trovare la luce del giusto equilibrio. Come bambini che prima di dire no al cioccolato fanno un indigestione anche l’umanità è annebbiata dall’ingordigia e solo un sano mal di pancia farà capire che ogni cosa deve, per essere gustata, deve avere un momento e un limite.


Io intanto continuo a perdere le mie battaglie con un sorriso, sereno sul fatto di aver  raggiunto un buon compromesso: io non faccio tanti problemi  e tu mi imponi il 14. D’altronde la vita senza misteri risulta un po’ noiosa.

mercoledì 7 settembre 2016

IO CANTO. TU?

Musica musica musica… rapporto difficile il mio con la musica, più nello specifico con il canto. Il primo ricordo che ho con “la voglia di cantare” è di me che, usando il manico di una corda per saltare come microfono mentre facevo finta di essere un cantante famoso in una terrazzina di una casa in Sardegna. Avevo circa 5 o 6 anni. E mi ricordo che mia madre non vedeva la cosa di buon occhio… Immaginavo di avere dei lunghi capelli biondi e di essere un cantante … forse prevedevo già l’inesorabile perdita di quei folti capelli ….
Ho sempre giocato a cantare… Con mia cugina Luisa e mio cugino Riccardo organizzavamo dei minifestival dove io ero autore, presentatore, direttore artistico, interprete e vincitore. Mi ricordo ancora (pur essendo famoso per la mia orribile memoria) del testo e melodia di un paio di canzoni: la sorpresa e la pioggia… che ridere!

La mia passione per il canto e per il jazz si è sviluppata poi grazie alle pubblicità… ho scoperto Ella e Luis con il Mulino bianco mi sembra, anche Ray Charles… Non sapevo fosse jazz, per me era solo musica “antica”. E così incominciai a comprare i cd di Top fo the spot….. Ovviamente ho fatto in tempo a godermi ancora le cassette  di Michael Jackson in primis, dove, sempre con la mia cugi, scrivevamo i testi delle canzoni in inglese “ a orecchio”: insomma scrivevamo i suoni onomatopeici di parole in inglese delle quali noi non conoscevamo assolutamente né l’ortografia né il significato e ce la cantavamo a squarciagola. Avevamo più o meno 10 anni.

E la mia passione è andata avanti così per anni, in sordina, di nascosto, probabilmente perché nessun “grande” mi ha mai chiesto: “ ma ti piace cantare?” o “ però canti bene perché non fai qualcosa?” “Ti piacerebbe studiare musica?”. E su questo per un bel po’ di tempo ho provato rancore nei confronti dei miei genitori perché credo che una delle cose più belle sia spingere un bambino verso un’attività artistica per la quale si intraveda una predisposizione. Ma ognuno fa quello che può non quello che vorremmo facesse….

Cantavo sotto la doccia, passavo interi pomeriggi in casa studiando canzoni di Freddy Mercury, Bob Marley, Ella, Ray e poi Michael, i Simply Red, Jamiroquai e ogni volta compravo un disco, la prima cosa che cercavo era il librettino con tutti i testi. Poi ho scoperto gli Skunk Anansie, gli Smashing Pumpkins e altri ancora. Ed è proprio con gli Smashing che ho fatto il mio primo “live”. Credo fosse il 1998 ed ero a Londra per un corso estivo di inglese. Come saggio finale ognuno doveva fare qualcosa di “artistico “ in inglese. Era uscito l’ambum ADORE in quell’anno ed era la mia colonna sonora di quell’estate. Ogni mattina prendevamo il bus per recarci al college ed io con il mio walkman a cd canticchiavo sempre alcune canzoni del disco. Quando la nostra insegnante ci propose il saggio finale io non sapevo cosa fare e alcuni compagni di corso subito mi suggerirono di cantare visto che mi ascoltavano tutti i giorni. Io che praticamente canto (per me) da quando ho memoria, non avevo assolutamente pensato a questa attività !!!! E così mi preparai come se avessi dovuto aprire il Superball negli Usa. Provando e riprovando fino a trovarmi in quell’anfiteatro con la maggior parte dei genitori che un po’ da tutta Europa si erano trovati in quel di RIckmansworth (a parte i miei ovviamente) e per la prima volta cantai in pubblico. Non mi ricordo se fossero stati 50 o 500 ma per me erano 5.000.000. Ricordo che ad un certo punto, durante l’esecuzione sbagliai una parola, mi girai verso una compagna che stava facendo una coreografia della canzone e, per le orecchie di tutti mi partì un sonoro PORCO……. Fortuna che di italiani ce n’erano pochi. Insomma battesimo con bestemmia, in linea con la mia gioventù direi.

Ritornato alla solita vita non ho comunque pensato di studiare canto, di formare un gruppo. Era così radicata l’idea che non valessi nulla come cantante (e non solo) che relegavo la gioia del cantare a momenti intimi, segreti , nascosti. La mia cultura musicale e la mia passone per le grandi voci è poi aumentata grazie a mio zio Carmelo e ai miei cugini Cristian e Matteo. E’ la prima casa che frequentavo da piccolo che aveva un pianoforte a parete, e delle chitarre. Ho sempre ammirato mio zio, all’apparenza taciturno e sulle sue ma con un animo artistico e una passione non verbale che è riuscito a trasmettere ai suoi figli e di riflesso anche a me. Li ho scoperto l’hard rock (che detesto ma ci sono dei cantanti formidabili), il trip-hop, la musica elettronica di Bjork , Groove Armada, Massive Attack etc.

Poi è arrivato un giorno nel quale mio cugino Cristian, che cantava in un gruppo, mi disse: ma perché non vieni a fare il corista nel mio gruppo? Hai una bella voce! Avevo credo 23 anni e quello è stato il momento nel quale ho realizzato che allora si , forse avrei potuto cantare e fanculo il coro, io volevo essere un solista. Così cercai sull’Occasione, settimanale locale di annunci di ogni tipo, un annuncio gruppo cerca cantante, chiamai e incominciò la mia “carriera “con gli Shank Vibe, gruppo cover Bob Marley. Direi che l’incontro con loro sia stato karmiko e a parte la bellissima esperienza lavorativi, facendo un sacco di concerti fino al 2008 ho incontrato persone straordinarie che stimo e frequento tutt’ora. All’inizio ero spaventatissimo, infatti alle prove mi portai un caro amico e poi piano piano ci presi gusto. Era il 2003 credo e dopo qualche mese di prove ed un concerto alla festa del paese dove ci trovavamo a suonare, decisi che era arrivato il momento di iniziare a studiare canto .E qui ho avuto la fortuna, la sorte, il ritrovamento di un’anima affine forse, un altro regalo del karma, una grande insegnante sia nella vita che nella musica. Jasmine.

L’approccio alla tecnica vocale è stato doloroso, frustrante, lento perché mi era difficilissimo, attraverso delle immagini, gestire dei muscoli e delle zone interne come diaframma, addominali, palato, ma grazie alla tenacia di questa formidabile donna, sono riuscito ad entrare nel fantastico mondo dei vocalizzi. E’ un esercizio che faccio quasi tutti i giorni e lo adoro. Controllare il proprio corpo per emettere dei suoni precisi, misurati sia nell’emissione che nell’intensità  è fantastico! Inoltre Jasmine mi ha fatto innamorare degli standard jazz che un po’ (grazie alle pubblicità) già conoscevo. Tra tutti i grandi maestri del genere il mio idolo vocal, il mito, Kurt Elling insieme ad Ella Fitzgerald la regina per sempre.

E da allora canto, cerco di formare dei gruppi, si sciolgono, mi incazzo, non voglio più cantare, poi mi torna la voglia, l’esigenza e ci riprovo. Spesso mi chiedo perché ad un certo punto non abbia mollato tutto per dedicarmi completamente al canto. A parte una buona dose di paura da fallimento, credo di non essere disposto a molti compromessi. Certo che se domani mi proponessero di incidere un album lo farei ad occhi chiusi, ma barcollare tra matrimoni, feste private, feste di paese etc. non è per me. Tutta quella gavetta che forse qualche decada fa poi poteva portare a qualcosa di solido, adesso mi sembra spazzata via da talents , you tube e altro che non giudico anzi, a volte cerco di sfruttare. In realtà non ambisco necessariamente alla notorietà , mi piacerebbe avere un’occasione significativa per dare una svolta,  ma dovendo rimanere sulla terra e osservando il mio percorso e le mie possibilità, preferisco farlo per passione solo e quando lo ritengo vantaggioso, soprattutto per il mio godimento personale. Si perché considero il canto qualcosa che mi avvicina ad una dimensione spirituale  e perciò non voglio più banalizzarla facendo concerti i posti orribili davanti a gente orribile che non si accorge neanche che sei li e hai lavorato sodo per esserci.

Quello che faccio lo faccio con il cuore e con l’anima e poi se ci guadagno qualcosa tanto meglio. Ora sono in un momento nel quale sto cercando, insieme ad altri musicisti di creare un progetto originale, di avere il mio disco di inediti, che probabilmente rimarrà nel cassetto del mio comodino ma che potrò guardare ogni tanto ed ascoltare con ammirazione.

Il fatto di non cedere ad alcuni compromessi (come suonare in centri commerciali senza togliere NULLA  a chi lo fa, sono scelte) non esclude che mi piacerebbe dedicarmi completamente alla musica anche in maniera trasversale, anchese le scelte di vita mi hanno sempre portato a scegliere un “lavoro vero”,e ora tra routine,  imprevisti e situazioni varie, è difficile essere sempre dentro la musica. Quello che sto cercando di fare, a 36 anni , cosciente che il canto è e rimarrà una passione, un hobby , nobilissimo ma comunque tale è pensarci sempre. Quando sono al lavoro, quando sono a casa a cazzeggiare, quando esco mi piace avere questo filo conduttore con quella porta magica che ogni volta mi fa stare bene e mi trasmette un forte senso di identità. Ci sono poche cose nella vita con le quali mi identifico e il canto è una di esse. Ovviamente non è tutto fantastico. Creare una canzone è a volte deludente e frustrante, trovare i collaboratori giusti quasi un’ utopia, cantare a volte mi stanca più di 24 ore di lavoro e non sempre la voce collabora con la voglia di fare o viceversa

Ma questo so fare, questo amo fare e a modo mio, sempre con attrito e romanticismo, e continuerò a farlo perché mentre canto mi racconto chi sono.   

martedì 6 settembre 2016

SAN MARTINO

Stavo scrivendo una lettera e subito mi si è accesa la lampadina: Blog, blog! In realtà anche ieri ho iniziato a scrivere un nuovo post ma poi ho cancellato tutto pensando che fossero riflessioni troppo intime, che non volevo condividerle. E ritengo sia corretto tenere delle cose solo per me, ma  credo anche che scrivere con la consapevolezza (senza aspettative) di essere letto da qualcuno è un buon esercizio, sta a me decidere cosa divulgare e cosa mantenere.

Voglio scrivere di questo sabato passato al mio paesello natale. Un villaggio, direi, di 5000 anime, circondato da boschi, con una collina sulla quale c’è una chiesetta dedicata alla Madonna che permette una bella  vista del Lago di Lugano (o Porto Ceresio dipende sempre dal punto di vista). E li ho cantato per circa due ore, durante un evento organizzato dalla mia migliore amica.
E’ stata un’esperienza forte, piena di significato e soprattutto piacevole. Sono tornato al paesello dal quale ero scappato perché per un gay la comunità era troppo piccola e ristretta (anche per un etero volendo dire)e sono tornato  con “la mia arte” e oltretutto è stato un successo.

E la cosa mi ha fatto un piacere immenso. Si, perché se prima del concerto mi dicevo che Besano era un posto come un altro, anzi che lo facevo solo per fare un favore ad un’amica che in poco tempo aveva dovuto organizzare una festa di paese, in realtà ho scoperto che ci tenevo ad essere lì, sul quella collina dove ho passato buona parte della mia infanzia. Ci si andava da piccoli con le slitte quando nevicava salendo la via crucis a piedi per poi sfrecciare ad una velocità folle (ricordo di una volta che mi schiantai contro una cappella, che dolore!!). E da più grande andavo a fare campionati di golf con mio cugino Angelo e un amico: ci si costruiva il set completo di legni e bastoni, rigorosamente tutti in legno, si prendevano le palline da ping-pong, si faceva un taglietto, le si riempiva di sabbia e poi le si ricopriva di strati di nastro isolante per dare un peso simile a quelle vere. E credo di essermi fumato anche qualche canna su alla Madonnina con una splendida vista della valle…. Alla fine della serata mi sono sentito di nuovo un besanese….. che strano, io che rifiuto anche l’etichetta di lombardo o italiano….

Insomma, ritrovandomi lì, con la solita ansia da prestazione, vendendo volti conosciuti e dimenticati da anni, mi sono ricordato che quello è il simbolo del luogo dove sono nato e cresciuto. E tornarci, dopo così tanti anni, proponendomi come cantante, la passione che nessuno della mia famiglia ha mai spinto o incoraggiato, ha davvero significato tanto per me. E come sempre è stato un viaggio bellissimo da vivere: i primi minuti dove trema anche l’anima… le prime canzoni che escono a stento, il cuore a mille, il desiderio di trovarsi da tutt’altra parte o di avere un muro tra me e il pubblico (questo mi capita soprattutto quando non ho un vero palco che separi).
Dopo il terrore arriva la rabbia, dove mi dico “cazzo te ne frega Ivano se fai schifo, canta per te, canta per i tuoi colleghi, canta il posto dove sei”; poi la rabbia scema e lascia spazio alla vibra, la connessione con qualcuno che ti guarda e apprezza: uno sguardo, un battere di piedi a tempo, delle labbra che canticchiano un pezzo conosciuto. E all’improvviso giunge l’estasi: non riesco a trovare una parola adatta ma è una sensazione strana dove sei completamente in quel posto ma sei anche da tutt’altra parte. Senti la presenza del corpo ma stai anche volando accompagnato dalla musica. E vorresti che non finisse mai, continueresti a cantare fino al crollo fisico, fino a quando le corde vocali non diventino dure come pietra.

Poi arriva la fine. E dall’alto del cielo plani sempre più velocemente verso terra. E devo fumare e devo bere, devo riappropriarmi di quella corporeità, che ho sospeso per quelle due infinite ore. E galleggio, balzello, chiacchero, dico grazie a chi mi fa i complimenti, mi giro e ci vuole un po’ per ritornare in me. Veramente capisco le grandi star che dopo un concerto davanti ad uno stadio pieno, osannati e adorati si perdano in dipendenze varie e si suicidino. Come si può riproporre nella vita quotidiana questo tripudio di emozioni e sensazioni, questo momento di sintonia universale? Dopo un evento del genere qualsiasi cosa della vita sembra incolore, insapore e vuoto. Io dopo aver cantato davanti a 100 persone in una festa di paese cado in uno stato depresso-vegetativo per un paio di giorni. Incomincio a ringraziare il cosmo di non essere diventato famoso. Sarei già morto molto probabilmente.

Comunque che bella giornata, che bella serata, che bel posto, che bella gente e che …. FATICA!!! Ma ne vale sempre la pena. E spero tanto di poter rivivere presto queste situazioni.
Mi sento in diritto di considerarmi artista, anzi consideriamoci tutti artisti e spero tanto che nelle vostre vite possiate provare ogni tanto la magica euforia di un momento di connessione cosmica. Abbandoniamoci.  Ogni tanto.