Concentrati su quello che hai e non su
quello che vuoi.
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Come un sasso lanciato nell'acqua, il
primo incontro riverbera con cerchi sempre più ampi che dall’intimità più
profonda e intoccata arrivano fino agli aspetti apparentemente più superficiali
della mia vita.
Un susseguirsi di alti e bassi, vuoti
e pieni, tane e colline, ma sempre in movimento e sempre nella volontà di
accettare con il cuore e poi capire con la mente. E osservare senza giudicare.
In più di un’occasione mi è capitato
di lamentarmi, di non sentirmi a mio agio, di voler andar via e stare solo. E
lì la prima domanda da farsi: in quei momenti, quando mi sento solo contro un
mondo incomprensibile, quando vorrei scomparire con uno scoppio e una nuvola di
fumo, sono un adulto o sono un bambino? E allora capivo, sentivo che c’era
qualcosa che non andava perché quelle sensazioni non appartenevano ad un Ivano
37enne ma ad un piccolo Ivano perso e fuori posto.
l profondo senso di vuoto affonda le sue radici nella NON –APPARTENENZA. La mia biografia famigliare mi
ha portato a non sentirmi mai parte di un nucleo ma frammentato prima tra mamma e
papa e poi lontano dal trio formato da mamma, papà e fratello. La regola che si
è formata in me e poi impressa a fuoco nella mia anima è famiglia=non appartenenza.
Quindi,ogni volta che, in qualsiasi tipo di sistema sociale, mi si riconosce
appartenenza (o la ottengo), fuggo come se fossi un pennuto inseguito da Willy
il Coyote. E trovo anche un sacco di argomentazioni plausibili per andarmene e mantenermi
fedele alla “mia famiglia”. L’appartenenza (falsa) mantenuta con la non
appartenenza (vera). Chiaro no? Per me ora si.
Domenica finalmente mi sono visto,
come l’immagine nello specchio del bagno che piano piano emerge dopo una doccia
caldissima e il mio cuore ha perso 10 kg e il mio umore è migliorato
esponenzialmente. Tutto è arrivato con leggerezza e semplicità perché la verità
non è mai complicata.
Il bisogno di onorare la mia
famiglia di origine, fino ad oggi non mi ha permesso di appartenere a qualsiasi
altro sistema, sia questo il lavoro, un laboratorio, la mia famiglia attuale.
Niente e nessuno soddisfa mai “i
giusti requisiti” perché semplicemente non esistono. Concedermi di appartenere
a qualcosa (dal quale successivamente posso anche decidere di prenderne le
distanze ovviamente) vuol dire fare attenzione, dedicare cura a ciò che ho
lasciando andare ciò che voglio (che per me spesso è qualcosa di completamente
irreale).
Questa epifania è stata ed è uno dei momenti
più significanti nel mio percorso di crescita personale e lo voglio fissare in
queste pagine virtuali laddove dovessi ricadere nel copione del “ nessun posto
va bene per me”.
Nel lavoro, ad esempio, ho sempre
posto l’accento su ciò che non va bene, sulle persone negative o sulle
situazioni che non funzionano (benvenuto sulla terra Ivano) e solo ora mi rendo
conto che in realtà ci sono colleghi competenti, belle persone che ho potuto
incontrare grazie a questa attività e che sono parte di un’azienda che va verso
qualche cosa al quale io posso scegliere di contribuire sentendomi realizzato
professionalmente. Solo concedendomi di esserne parte posso godere il piacere
del condividere e crescere insieme. Ciò non toglie che possa accettare una nuova occasione
di lavoro migliorativa , ma ha senso vivere appieno il momento perché
comunque porta con sè un insegnamento per la mia biografia.
In realtà, l’emergere di questo
sentire è nato perché la mia famiglia (zii e cugini) , inizialmente su mia
iniziativa oltretutto, organizzano una grande cena “reunion”. In nessuna delle
due occasioni ho potuto partecipare. L’ultima è stata sabato scorso e ho
passato tutto il giorno preso male, nervoso, infuriato con il mondo ma in
realtà solo con me stesso. Domenica mattina una cugina ha mandato le foto della
serata e guardando quelle immagini mi si è aperto il cuore, inondato da ricordi
ed affetti trasmessi da quei volti sorridenti trasformati dal tempo. Gli unici assenti io e mia mamma. Allora mi sono
chiesto: perché non hai fatto di tutto per partecipare? Perché? E la risposta ha
cambiato la percezione del mio mondo. La mia assenza (non appartenenza),
conferma la mia appartenenza alla mia famiglia di origine che, durante la mia
pre-adolescenza scelse di isolarsi dal resto della tribù familiare.
Nella stessa settimana mi è capitato
qualcosa di simile con il gruppo del laboratorio di scrittura creativa che
organizzo con la mia cug. Dopo aver focalizzato la mia attenzione su quello che
non mi piaceva, cercando in tutti modi motivazioni per sentirmi al di fuori
della situazione, ho incontrato il vero, il reale, ciò che c'è e che ho a prescindere da
ciò che voglio. Ho visto, non solo con gli occhi, un bel gruppo di persone che
si mettono in gioco ogni volta, che condividono, che si raccontano e affrontano
i propri limiti. Ho uno spazio dove concedermi e sperimentare, sentire e essere
ascoltato.
Per cui grazie a tutti quelli che sono
nella mia vita, che siano amici, insegnanti, ostacoli, amanti. Forse uno dei “trucchi”
per essere felici è proprio concentrarsi sul presente e abbracciare ciò che ho
che è tanto, molto, forse troppo, e vivere senza filtri, senza maschere. Certo
non è facile e dico grazie a questa grande opportunità di cammino verso la mia
libertà che mi sta dando il percorso sulle costellazioni familiari.
Un sacco di sabbia finalmente si è
staccato dalla mia mongolfiera e mi alzo verso il cielo di qualche metro.
Lavorerò per dar fuoco al combustibile, mollare le cime e prendere il volo.
I Piedi radicati nel terreno e lo sguardo
perso tra le stelle.
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