E mi ritrovo ancora al punto di partenza… Ma che è il Monopoly? Continuo a girare mogio mogio in
vicolo Corto e arzillo e spavaldo in Parco della Vittoria. E i 200 euro per
passare dal via? Nooo? Grazie molte.
Autunno dedicato al ritorno e al ri-incontro, periodo in
apparenza di rinnovo e cambiamento ma in realtà quello che ritrovo tra le mani
sono sassi, pesanti sassi che ricordano la mia marmorea immobilità. Mi travesto
da evoluto, da altruista, da anima predisposta all’incontro e alla condivisione
ma in realtà mi ritrovo, all’improvviso e mio malgrado ancora il principe dell’ego.
Io io io io io io e solo. La mia riflessione sul mondo , le mie esperienze
hanno come minimo comun denominatore il mio sentire rivolto verso di me.
Ancora.
Mi concedo che, a differenza di prima, per lo meno vedo questo mio essere, anzi lo sento e da inerme
spettatore, prendo appunti, scatto foto e mi dico “ Oh signore sono davvero così?” “ Eh si,
proprio così.”
Sono spesso un bambino che sbatte i piedi indignato perché la
realtà non si piega al suo volere. Sono il mago amatoriale che non riesce a far
sparire quel maledetto coniglio da quello stupido cappello.
Sono il vecchio che
guarda le ruspe deturpare il suo quartiere senza far nulla per impedirlo. Sono
eccellente nel dire cosa non va negli altri, cosa non va in me soprattutto, ma
rincoglionito quando c’è da proporre soluzioni.
Non oso, non sperimento, non rischio ( se non nelle cose più
futili). Insomma non volo. Perché ancora le radici non ci sono. E’ inutile che
me la racconti. Sono in mezzo ad un cantiere enorme. I progetti sono stati
fatti ma nessun cazzo di operario ha ancora mosso un dito.
Cerco di guardare il lato positivo almeno, il lato della
strada illuminato dal sole come cantava il buon Frank. Mi vedo, mi sgamo, mi
riconosco come abile trasformista, make up artist, rollatore di sigarette e
inventore di personaggi fumosi. Rimane la domanda, quella che si pose qualche
pastore guardando le stelle: chi sono io?
Cosa mi definisce? Chi voglio essere? Chi voglio diventare?
Cosa cazzo voglio fare da grande adesso che SONO grande?
Provo ad essere me, mi sforzo ma quel me è un enigma
irrisolvibile al momento. Vivo a momenti, segmentato, frammentato, triturato,
sminuzzato buttato in padella e soffritto a fuoco alto. Prendo impegni e poi
non ho voglia di onorarli, un momento il mondo è pieno di possibilità e quello
dopo cammino tra strade abbandonate senza speranza con gli attori di The Walking
dead.
E sia nel buio o nella luce non sono mai (se non per
brevissimi istanti soddisfatto). La ragione credo sia semplice: non vivo quasi
mai il presente. Il mio pensiero è sempre rivolto al dopo. E anche quando mi
sembra di aver trovato un pezzettino di verità su di me, evapora tra le dita
come l’acqua nella legna umida che butti nel camino. Tanto rumore, poca fiamma
ed un sacco di fumo. Continuo a dubitare delle mie scelte, mi lamento sempre.
Tal volta, da solo, vivo un istante di pace, velocemente fagocitato da noia e
insensatezza.
A volte ho delle epifanie, momenti di presa di coscienza e
consapevolezza che fanno fare grandi feste ai miei neuroni, infiammano le
sinapsi e al posto del sangue il cuore pompa Valdobbiadene gran riserva. Ma dopo
la botta di vita, arriva il post overdose con i suoi acciacchi e la chiarezza
lascia spazio all’opacità..
Mi piacerebbe essere un uomo in un percorso personale di
miglioramento ma deambulo continuamente tra il Grinch e il signor Scrudge del canto
di Natale di Dickens.
E allora, mi dico, accetta la tua segreta grettezza, il tuo
amaro egoismo, l’incapacità di scendere veramente nel mondo e rimani nella tua
tana. Ma goditela sta cazzo di tana! Sguazzaci dentro! Fai delle mega feste tra
te e te, elogiati allo specchio, datti dei colpetti alla spalla mentre ridi per
una battuta che ti sei fatto! Fatti dei regali e stupisciti commosso mentre li
scarti.
“Ma, davvero? E’ per me?” “No, ma tu…. Ma tu sei ..
fantastico! Quanto hai speso? Non dovevi!” “Ma figurati, è il minimo, tu meriti
questo e altro! Dai, che aspetti? Aprilo! Voglio vedere la tua
faccia quando lo
vedi!”
Ingrassa il tuo ego fino a sentirti un fegato d’oca pronto a diventare prelibato
foie gras per Dio!
Abbraccia appieno il tuo lato oscuro. E invece no…. Ricerco
l’ombra ma poi mi sento inutile e abbandonato. Allora mi trascino al sole come
Gollum alla ricerca del suo tessoro e la luce mi da fastidio, incomincio a
sudare e mi fanno male gli occhi.
Cosa vuoi Ivano? Almeno a questo puoi rispondere? No, cioè
si, insomma cosa vuoi … Che domanda generica… Cosa intendi? Ti posso dire cosa
voglio da mangiare oggi, credo, o farti un elenco di regali di Natale. Ma cosa
voglio nella vita? Cosa voglio fare? Mah, Boh, sob, sgrunt, bha.
Voglio accettare ciò che ho? Voglio rendere più sereno
questo animo bipolare e sempre in guerra con se stesso? Si, direi di si. Ma non
so come farlo e anche se trovo una traccia, un sentiero, un immagina chiara e
risolutiva, la perdo al primo ostacolo e ritorno preda di un ira divina contro
la divinità mentre mi immergo nell’assenza di significato. Come passare in un
secondo da Disneyland a Dogville con le case disegnate col gessetto.
Certo sono abile nel raccontarmela. Faccio, con una fatica
erculea, delle cose piacevoli. Si, mi nutrono in qualche modo, mi danno
qualcosa di bello e di vero. Ma alla fine, quando torno a casa, sono sempre io.
La vecchia megera che borbotta.
E chi vorresti essere scusa, Patrizia Rossetti mentre vende un
materasso? Non so, vuoi entrare in una stanza come Ivano e uscire due ore dopo
come Jhon Snow su un drago mentre si limona la bionda ignifuga? Ovvio che sei
sempre tu.
Quello che voglio dire è che tutte queste belle esperienze sembra
non attecchiscano in me. E’ come se mangiassi cibi gustosissimi ma privi di
nutrienti. Mi godo il momento del pranzo ma dopo un’ ora sono già sul cesso con
sizza e Facebook.
Ieri sera è come se fosse sceso un velo dietro al quale mi
nascondevo (uno dei tanti credo). Al laboratorio di scrittura creativa mi sono
visto incapace di essere creativo. Banale, senza risorse immaginative. Ho urlato contro un muro e mi è rimbalzato
contro un suono che pensavo fosse di qualcun altro. E noto con rammarico che posso
scrivere solo di me. Credevo di avere una fervida immaginazione ed invece sono sterile come un fiore di plastica.
Cosa sai fare Ivano? E quello che sai fare ti piace farlo?
Quanto te la racconti? Ecco queste le domande che mi sono portato a casa ieri.
Se l’autunno è la stagione della frammentazione del sé,
allora ho vinto il primo premio. Sono scomposto, disconnesso e intermittente
come luci di natale difettose e
lontanissimo da un integrità individuale che piaccia o no, sento l’esigenza di
riconoscermi.
Pur essendo ormai saturo di questo Ivano Park con attrazioni
vecchie e pericolanti, continuo a farmele
tutte pagando biglietti sempre più cari e divertendomi sempre un po’ meno.