venerdì 1 dicembre 2017

RI-FLESSIONE DEL SASSO CHE SI CREDEVA UN CALICE VUOTO

E mi ritrovo ancora al punto di partenza… Ma che è  il Monopoly? Continuo a girare mogio mogio in vicolo Corto e arzillo e spavaldo in Parco della Vittoria. E i 200 euro per passare dal via? Nooo? Grazie molte.

Autunno dedicato al ritorno e al ri-incontro, periodo in apparenza di rinnovo e cambiamento ma in realtà quello che ritrovo tra le mani sono sassi, pesanti sassi che ricordano la mia marmorea immobilità. Mi travesto da evoluto, da altruista, da anima predisposta all’incontro e alla condivisione ma in realtà mi ritrovo, all’improvviso e mio malgrado ancora il principe dell’ego. Io io io io io io e solo. La mia riflessione sul mondo , le mie esperienze hanno come minimo comun denominatore il mio sentire rivolto verso di me. Ancora.

Mi concedo che, a differenza di prima, per lo meno vedo  questo mio essere, anzi lo sento e da inerme spettatore, prendo appunti, scatto foto e mi dico  “ Oh signore sono davvero così?” “ Eh si, proprio così.”
Sono spesso un bambino che sbatte i piedi indignato perché la realtà non si piega al suo volere. Sono il mago amatoriale che non riesce a far sparire quel maledetto coniglio da quello stupido cappello. 

Sono il vecchio che guarda le ruspe deturpare il suo quartiere senza far nulla per impedirlo. Sono eccellente nel dire cosa non va negli altri, cosa non va in me soprattutto, ma rincoglionito quando c’è da proporre soluzioni.

Non oso, non sperimento, non rischio ( se non nelle cose più futili). Insomma non volo. Perché ancora le radici non ci sono. E’ inutile che me la racconti. Sono in mezzo ad un cantiere enorme. I progetti sono stati fatti ma nessun cazzo di operario ha ancora mosso un dito.

Cerco di guardare il lato positivo almeno, il lato della strada illuminato dal sole come cantava il buon Frank. Mi vedo, mi sgamo, mi riconosco come abile trasformista, make up artist, rollatore di sigarette e inventore di personaggi fumosi. Rimane la domanda, quella che si pose qualche pastore guardando le stelle: chi sono io?
Cosa mi definisce? Chi voglio essere? Chi voglio diventare? Cosa cazzo voglio fare da grande adesso che SONO grande?

Provo ad essere me, mi sforzo ma quel me è un enigma irrisolvibile al momento. Vivo a momenti, segmentato, frammentato, triturato, sminuzzato buttato in padella e soffritto a fuoco alto. Prendo impegni e poi non ho voglia di onorarli, un momento il mondo è pieno di possibilità e quello dopo cammino tra strade abbandonate senza speranza con gli attori di The Walking dead.

E sia nel buio o nella luce non sono mai (se non per brevissimi istanti soddisfatto). La ragione credo sia semplice: non vivo quasi mai il presente. Il mio pensiero è sempre rivolto al dopo. E anche quando mi sembra di aver trovato un pezzettino di verità su di me, evapora tra le dita come l’acqua nella legna umida che butti nel camino. Tanto rumore, poca fiamma ed un sacco di fumo. Continuo a dubitare delle mie scelte, mi lamento sempre. Tal volta, da solo, vivo un istante di pace, velocemente fagocitato da noia e insensatezza.

A volte ho delle epifanie, momenti di presa di coscienza e consapevolezza che fanno fare grandi feste ai miei neuroni, infiammano le sinapsi e al posto del sangue il cuore pompa Valdobbiadene gran riserva. Ma dopo la botta di vita, arriva il post overdose con i suoi acciacchi e la chiarezza lascia spazio all’opacità..

Mi piacerebbe essere un uomo in un percorso personale di miglioramento ma deambulo continuamente tra il Grinch e il signor Scrudge del canto di Natale di Dickens.
E allora, mi dico, accetta la tua segreta grettezza, il tuo amaro egoismo, l’incapacità di scendere veramente nel mondo e rimani nella tua tana. Ma goditela sta cazzo di tana! Sguazzaci dentro! Fai delle mega feste tra te e te, elogiati allo specchio, datti dei colpetti alla spalla mentre ridi per una battuta che ti sei fatto! Fatti dei regali e stupisciti commosso mentre li scarti.

“Ma, davvero? E’ per me?” “No, ma tu…. Ma tu sei .. fantastico! Quanto hai speso? Non dovevi!” “Ma figurati, è il minimo, tu meriti questo e altro! Dai, che aspetti? Aprilo! Voglio vedere la tua 
faccia quando lo vedi!”

Ingrassa il tuo ego fino a sentirti  un fegato d’oca pronto a diventare prelibato foie gras per Dio!
Abbraccia appieno il tuo lato oscuro. E invece no…. Ricerco l’ombra ma poi mi sento inutile e abbandonato. Allora mi trascino al sole come Gollum alla ricerca del suo tessoro e la luce mi da fastidio, incomincio a sudare e mi fanno male gli occhi.

Cosa vuoi Ivano? Almeno a questo puoi rispondere? No, cioè si, insomma cosa vuoi … Che domanda generica… Cosa intendi? Ti posso dire cosa voglio da mangiare oggi, credo, o farti un elenco di regali di Natale. Ma cosa voglio nella vita? Cosa voglio fare? Mah, Boh, sob, sgrunt, bha.
Voglio accettare ciò che ho? Voglio rendere più sereno questo animo bipolare e sempre in guerra con se stesso? Si, direi di si. Ma non so come farlo e anche se trovo una traccia, un sentiero, un immagina chiara e risolutiva, la perdo al primo ostacolo e ritorno preda di un ira divina contro la divinità mentre mi immergo nell’assenza di significato. Come passare in un secondo da Disneyland a Dogville con le case disegnate col gessetto.

Certo sono abile nel raccontarmela. Faccio, con una fatica erculea, delle cose piacevoli. Si, mi nutrono in qualche modo, mi danno qualcosa di bello e di vero. Ma alla fine, quando torno a casa, sono sempre io. La vecchia megera che borbotta.
E chi vorresti essere scusa, Patrizia Rossetti mentre vende un materasso? Non so, vuoi entrare in una stanza come Ivano e uscire due ore dopo come Jhon Snow su un drago mentre si limona la bionda ignifuga? Ovvio che sei sempre tu.

Quello che voglio dire è che tutte queste belle esperienze sembra non attecchiscano in me. E’ come se mangiassi cibi gustosissimi ma privi di nutrienti. Mi godo il momento del pranzo ma dopo un’ ora sono già sul cesso con sizza e Facebook.

Ieri sera è come se fosse sceso un velo dietro al quale mi nascondevo (uno dei tanti credo). Al laboratorio di scrittura creativa mi sono visto incapace di essere creativo. Banale, senza risorse immaginative.  Ho urlato contro un muro e mi è rimbalzato contro un suono che pensavo fosse di qualcun altro. E noto con rammarico che posso scrivere solo di me. Credevo di avere una fervida immaginazione ed  invece sono sterile come un fiore di plastica.  

Cosa sai fare Ivano? E quello che sai fare ti piace farlo? Quanto te la racconti? Ecco queste le domande che mi sono portato a casa ieri.

Se l’autunno è la stagione della frammentazione del sé, allora ho vinto il primo premio. Sono scomposto, disconnesso e intermittente come luci di natale difettose  e lontanissimo da un integrità individuale che piaccia o no, sento l’esigenza di riconoscermi.

Pur essendo ormai saturo di questo Ivano Park con attrazioni vecchie e pericolanti, continuo a farmele  tutte pagando biglietti sempre più cari e divertendomi sempre un po’ meno.



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