Quanta gente arriverà? Riusciremo a
trasmettere la nostra idea? Piacerà? Torneranno?
Le attese per me, sono sempre
violente, soprattutto quando cariche di aspettative. So che, quello che Daniela
ed io immaginiamo, progettiamo e pianifichiamo è bello, significante e che non
può fare altro che bene, eppure c’è sempre la possibilità dell’errata
comunicazione. Il messaggio, nel suo viaggio attraverso la comunicazione, può
subire cambiamenti.
In realtà poi, mi fido del cosmo e sempre,
quando entro nella Corte Dalì, incomincio di nuovo ad ascoltarlo. Verranno le
persone che devono venire, come dice serafica e pacifica Daniela.
Non posso non sentire la sacralità di
un tempio all’interno della corte. Un tempio intessuto non di dogmi e rigore,
di venerazione verso divinità vendicative. La corte è un tempio che si regge su
colonne di condivisione e di uguaglianza. Varcata la soglia ci spogliamo dei
nostri ruoli, si sciolgono le maschere e siamo solo esseri umani pronti a
viaggiare insieme alla riscoperta di una spiritualità tanto intima quanto
comune a tutti. Qualsiasi sia l’attività svolta si entra in uno stato di
comunione che nutre lo spirito e placa
la mente.
Ma ritorniamo al laboratorio.
Prepariamo i tavoli, le sedie,
predisponiamo i materiali, un po’ di fiori e piante che fanno colore e
richiamano la circolarità dell’universo del quale il mandala è il
rappresentante; che non manchi l’aroma del palo santo. Compassi e matite,
pennarelli e pastelli.
Arrivate tutte le partecipanti, ahimè
sempre l’unico maschio (uomini venite, non abbiate paura dell’incontro!),
Daniela da una bella introduzione su cosa sia il mandala e su cosa vorremmo noi
focalizzare l’attenzione. Io rimango con queste poche righe.
Mandala in sanscrito significa sia
cerchio che centro. La forma sferica, circolare ,appartiene alla natura, all’universo,
all’uomo. Il mandala è un’attività contemplativa e meditativa che porta dal
micro al macro, dalla cellula alla galassia. Il nostro intento è quello di
avvicinarci alla meditazione (pratica tanto umana quanto difficile da
recuperare) attraverso il fare.
Ho conosciuto lo strumento del
mandala molti anni fa, con Daniela. Ho un quaderno pieno di coloratissimi
mandala fatti nell’arco di un anno molto intenso.
Abbiamo iniziato il laboratorio con 5
minuti di meditazione, anzi di contemplazione di un oggetto. L’idea era quella
di avvicinarci alla sensazione meditativa e di assaporarne la difficoltà. La
nostra mente è abituata a lavorare senza sosta, impilando e incastrando
pensieri, programmando il futuro, ricordando il passato.
Stare nel presente, immersi
completamente nel momento, sembra un movimento contro la nostra natura
frenetica e dispersiva. Ma in realtà è uno dei segreti per la felicità.
Uno dei fantastici poteri del mandala
è proprio questo: rimanere nel presente e fuori di sé, lavorando su di sé.
Potrebbe sembrare un pensiero contorto ma il concetto è molto semplice.
Possiamo lavorare su noi stessi solo quando noi non siamo soggetto ed oggetto
allo stesso tempo. La facilità con la quale diamo un consiglio ad un amico
sottende che solo vista dall’esterno, una situazione può essere compresa e se
problematica, risolta.
Il mandala muove qualcosa dentro,
mentre tracciamo le curve con il compasso, mentre disegnamo un fiore o mentre
scegliamo l’accostamento dei colori e la forma che vogliamo fare emergere.
Fare un mandala, prima di tutto è
terapeutico e curativo. Lo si può disegnare o cotruire, possiamo farne parte o
possiamo cantarlo. Ci sono molte forme per realizzarlo. Attraverso il processo
creativo (in generale qualsiasi, in particolare con il mandala) la nostalgia del passato e l’ansia per il
futuro allentano la presa sul nostro sentire fino a scomparire, come nuvole che
si allontano lasciando solo un cielo azzurro e sereno.
I primi mandala sono quelli un po’
più difficili forse perché, quando si disegna, noi abbiamo la cattiva abitudine
di dover fare qualcosa di bello e non qualcosa di vero (per noi stessi
ovviamente). In generale nell’arte, quando si vuole fare qualcosa che piaccia,
che rispetti dei canoni, non si crea ma si copia o si imita. Solo liberandoci
dei limiti estetici possiamo creare. La creazione vera e sincera coincide quasi
sempre (anzi sempre direi) con la bellezza.
Anche io, Martedi, pur avendo fatto
centinaia di mandala, ho iniziato con l’ansia da bel lavoro. “Sono quello che
ne ha fatti di più qui dentro, forse dovrei far vedere qualche tecnica
particolare, forme geometriche e disegno libero, come uscire fuori dal cerchio”
e altre paranoie; ma poi il mandala mi ha portato dentro di me. La mia voce
interiore si è zittita e ho incominciato a disegnare, seguendo un flusso
armonico, senza pensiero. Come una corrente dall’interno verso l’esterno ho
creato curve e triangoli, ho disegnato fiori e ho fatto ordine.
Antropologicamente, i simboli sono
molto potenti, direi uno strumento divino. Dall’albore dei tempi, il cerchio,
la spirale, la curva e poi le figure geometriche erano la rappresentazione di
fenomeni naturali e misteriosi. E per quanto non ce ne accorgiamo più, anche oggi,
questi “segni” agiscono in noi. Abbiamo bisogno di riappropriarci della magia
che ci circonda e che abbiamo dentro di noi.
Il mandala cura. Il mandala è magico.
Provare per credere. Disegnare un
mandala quando si è arrabbiati, confusi, tristi, disperati, porta ad un
cambiamento. Non sarà la polverina magica di Pollon, ma è un solido strumento
di auto-centratura e quando si è centrati è più difficile essere spostati dai
venti impetuosi delle nostre giornate.
Namastè.
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