giovedì 30 marzo 2017

VIBRAZIONI COSMICHE. Mandala meditativo: riscoprire la luce.


Portare la luce dall’oscurità, far emergere ciò che soggiace, perché, come ben sai, la luce non ha senso senza l’oscurità.

Questo il tema profondo del secondo incontro di mandala meditativo. Impegnativo, intimo, atavico e per me quasi impossibile.

Sono più abituato a coprire la luce con l’oscurità. Più bravo a negare che far emergere. E questo la dice lunga su chi sia io oggi. Molto interessante.

Iniziamo con una “meditazione ritmica”. Ognuno ha uno strumento percussivo, e, emulando il battito del cuore, viaggiamo ad occhi chiusi dentro di noi e indietro, fino a ricordare gli albori dei tempi. Terre vulcaniche e fuochi, caverne umide e belve feroci, primordiale vegetazione e misteri inspiegabili.  Tu-tum,  tu-tum , tu-tum. Daniela propone una frase da masticare durante la meditazione ma io non riesco a seguire le parole perché sono nel battito, nel ritmo, nella regressione antropologica. Non è la prima volta che mi ritrovo a sentire con forza e trasporto questa connessione potente ed intima  con l’origine dell’uomo.

Ritorniamo dal “viaggio” e siamo pronti per “mandalare”. Oggi utilizzeremo una tecnica particolare; il carboncino o fusaggine. Si tratta di gessetti neri, cenerosi, con i quali coloreremo un cerchio. Deve essere completamente nero, aiutandosi anche con le dita.

Noto una certa soddisfazione nel riempire il cerchio di un nero profondo e concentrato. il timido bianco rugoso del foglio sottostante sparisce ad una velocità pazzesca (che poi si contrappone alla lentezza del portare alla luce) e ritorno un po’ bambino nel sporcarmi prima di tutti il 90% della superficie delle mani. C’è chi usa un solo polpastrello, chi la punta delle dita e chi qualche dito insieme per spargere la grafite. Io, uso tutta la mano da palmo a falange. Sia la sinistra che la destra.  
E nel foglio bianco appare questa sfera nera, una luna in completa eclisse che suscita in me un certo fascino. Creata l’oscurità è nostro compito riportare la luce.  

A differenza di molte altre tecniche di disegno qui la dinamica è al contrario: per completare, per creare, non devo aggiungere ma togliere. Molto interessante il doppio rimando di quest’attività: per poter realizzare il mandala bisogna togliere, rinunciare alla pienezza del nero per arrivare all’apparente vuoto del foglio bianco.

Rinunciare per scoprire cosa emerge. E anche nella vita, per evolvere, per andare avanti e conoscere il nuovo bisogna sempre rinunciare a qualcosa.

Non posso non pensare ad un concetto filosofico  a me caro: per poter vivere pienamente  bisogna riguadagnare la luce dello spirito oscurato dalla compenetrazione con la materia.
E’ qui che meditazione, proprio-cezione e creatività s’ incontrano in un circolo “mandalico” potentissimo ed è proprio qui che io e Daniela vorremmo portare ad ogni incontro i partecipanti. Senza troppe spiegazioni, anticipazioni o cornici descrittive. Trovarsi a contatto con se stessi attraverso l’azione e semplicemente prendere nota di ciò che accade. O no. Potersi sentire nel momento e vivere la metafora del sentirsi attraverso una rappresentazione è il segreto dell’arte ed è il segreto dell’uomo. Intendo ora come si sia sviluppata questa capacità tutta umana; nata come un esigenza per dare forma a misteri tanto inspiegabili si è poi evoluta come possibilità di trasformare lo sconosciuto in conosciuto. Da qui i simboli e tutte le forme d’arte che ora per me assumono un nuovo significato: la rappresentazione dell’uomo nei suoi molteplici aspetti.

Nel mio caso, non sono riuscito a portare luce nella mia oscurità. Il nero ricopriva velocemente i pochi sprazzi di bianco che riuscivo a guadagnare con i miei polpastrelli luridi, che da una parte spostavano i piccoli granuli di carbone per poi farli tornare con un'altra ditata. Tutti gli altri partecipanti invece, in diverse forme, riuscirono senza difficoltà a far emergere la luce giocando con “l’ombra” nel creare alberi, fenici e motivi geometrici.

Io basito, insisto, tolgo e aggiungo, mi sporco, ci riprovo ma non emerge niente. Il nero ritorna in un grigio sporco che racconta quanto sia ancora imprigionato nella mia di oscurità, nei miei limiti e nelle mie credenze erronee. Il mio potenziale, la mia energia vitale, la mia luce ancora è nascosta dal nero delle mie paure e della mia insicurezza.

E alla fine emerge qualcosa: un mostro marino, un “polipone” forse. Una serie di linee curve che a qualcuno ricordano un simbolo tribale. A me non piace ciò che è emerso ma non importa. E’ significativo che mi ci riconosca perché è uno specchio nitido di chi e dove sia adesso.

E' confortante sapere che dietro l’oscurità, per quanto spessa e per quanto difficile da scansare, c’è sempre luce. A volte troppa.




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