Oggi mi sono annoiato un sacco.... Giornata al lavoro con un sentimento di ingiustizia ed inadeguatezza fasulli. Un sentire creato per giustificare uno stato di non-realizzazione che mi fa sentire a casa. Una casa vuota e stupida, però casa.
Ho ripreso gli allenamenti, ho diminuito e selezionato il cibo e oggi mi sentivo stanchissimo.
Spossatezza, disillusione, voglia di avere qualcosa di più, essere qualcosa di più senza sforzo. E so benissimo che se non fai niente non ottieni niente.
Ma da qualche tempo, vuoi per i miei rimedi omeopatici e l'accattivante medico che me li prescrive, vuoi per la formazione sulle costellazioni familiari che macinano e lavorano in sordina come un vecchio disco di jazz suonato mentre fumi una sigaretta sul balcone, sto imparando ad accettare questi momenti come parte di un processo.
Come la sosta dopo il movimento, necessaria per realizzare il cambio di stato. Ancora oggi mi osservo e mi scopro un conservatore assolutista. O corri sempre o ingrassi sul divano sempre. Il mio modo d'essere mi permette di godere di diversi stati di sentire, di gustare diversi approcci alla vita eppure la mia attenzione ricade ancora e ancora sulla mancanza.
Gli opposti necessari per rendere tangibile e vivo un momento. Pausa e movimento. Come in una canzone, come dipingere un quadro ed ogni tanto fare un passo indietro per capire cosa stia emergendo dalla tela.
Come scrivere di getto e poi rileggere per dare forma alla sostanza.
Ed è un pò il mio tema, uno dei miei temi, forse il più ostico da masticare e digerire.
Camminare nel mondo e lasciare che il mondo mi passi attraverso.
Mi sono commosso vedendo una stupida serie dove con semplici immagini si dipanava il dilemma di una generazione o forse di tutte: la dicotomia tra dove vorresti essere e dove sei. E so per esperienza e per logica che dove sei è dove devi essere. Dove sei è l'unico luogo dal quale ti puoi muovere. Non c'è nient'altro oltre il qui e ora.
Se guardo indietro, tenendo come metro di paragone i vari me si che dipanano negli anni, vedo un Ivano sempre più consapevole di se stesso, ma adesso, bhè , questa giornata è passata come la pasta cotta male. Troppo tempo ad aspettare e finisci con mangiarti una lattina di tonno. E tra una serie e qualche riflessione sul cesso, si è fatto buio.
Dentro di me ci sono due voci. Una che mi dice "bravo continua a perdere tempo, fuma sizze e guarda merda, tanto più invecchi e più le ore sono minuti ed i minuti sono secondi". L'altra mi rassicura che nessun momento è davvero buttato via, "non c'è bisogno di rincorrersi, stai tranquillo. L'apparente futilità di questa giornata ti serve perchè domani sia diverso. O no. L'importante è che abbia sentito questo tempo largo e inconsistente.
Così decido di lasciare una traccia con un esercizio di presenza. Un atto di volontà. Riapro il blog, con timore, perchè nel mio codice deontologico o una cosa la fai sempre o non la fai mai e sono mesi che non scrivo nulla. Immagino la scena di un film comico dove un ragazzo eccitato e sprovveduto si appresta a togliere le mutandine della mamma di un suo amico e, appena abbassa lo slip, esce un cespuglio enorme di pelo con pipistrelli e ragni che scappano da ogni parte. "Scusa caro, è solo da un pò che non la uso. Passami il decespugliatore vuoi?".
E così eccomi smanettando su questa tastiera per fissare un giorno inutile.
Sta di fatto che quando scrivo o quando disegno, quando canto soprattutto, mi sembra di prendere il tempo e inginocchiarlo davanti alla mia marmorea volontà. Divento padrone della mia realtà e da adesivo di una figurina Panini divento solido e tridimensionale.
Sono istanti, pochi minuti di centratura e presenza per poi tornare succube di un tempo che sembra non voler accettare il mio ritmo.
A volte mi sento come se galleggiassi in un oceano di Ciobar. Galleggio senza sprofondare ma sono immobile. Non ci sono stelle o sole ad indicarmi una direzione ma immagino che non serva un riferimento. Basta muoversi e poi, la vita, da pietra millenaria ricoperta di muschio, incomincia a rotolare come una biglia lanciata da un bambino.
IVORYLAND
Benvenuti nello stravagante mondo di Ivoryland,ossia della mia perturbata mente.Per condividere pensieri,passioni avvenimenti e soprattutto per canalizzare disordinatamente le creazioni della fantasia. Qui c'è spazio per tutto e per tutti i personaggi che affollano il mio cervello ed il tuo! E come nel migliore degli inizi, non ho la più pallida idea di dove questo viaggio appena iniziato mi porterà. Entrino signori entrino e non spaventavi di ciò che possiate incontrare perchè è reale....
martedì 22 maggio 2018
venerdì 1 dicembre 2017
RI-FLESSIONE DEL SASSO CHE SI CREDEVA UN CALICE VUOTO
E mi ritrovo ancora al punto di partenza… Ma che è il Monopoly? Continuo a girare mogio mogio in
vicolo Corto e arzillo e spavaldo in Parco della Vittoria. E i 200 euro per
passare dal via? Nooo? Grazie molte.
Autunno dedicato al ritorno e al ri-incontro, periodo in
apparenza di rinnovo e cambiamento ma in realtà quello che ritrovo tra le mani
sono sassi, pesanti sassi che ricordano la mia marmorea immobilità. Mi travesto
da evoluto, da altruista, da anima predisposta all’incontro e alla condivisione
ma in realtà mi ritrovo, all’improvviso e mio malgrado ancora il principe dell’ego.
Io io io io io io e solo. La mia riflessione sul mondo , le mie esperienze
hanno come minimo comun denominatore il mio sentire rivolto verso di me.
Ancora.
Mi concedo che, a differenza di prima, per lo meno vedo questo mio essere, anzi lo sento e da inerme
spettatore, prendo appunti, scatto foto e mi dico “ Oh signore sono davvero così?” “ Eh si,
proprio così.”
Sono spesso un bambino che sbatte i piedi indignato perché la
realtà non si piega al suo volere. Sono il mago amatoriale che non riesce a far
sparire quel maledetto coniglio da quello stupido cappello.
Sono il vecchio che
guarda le ruspe deturpare il suo quartiere senza far nulla per impedirlo. Sono
eccellente nel dire cosa non va negli altri, cosa non va in me soprattutto, ma
rincoglionito quando c’è da proporre soluzioni.
Non oso, non sperimento, non rischio ( se non nelle cose più
futili). Insomma non volo. Perché ancora le radici non ci sono. E’ inutile che
me la racconti. Sono in mezzo ad un cantiere enorme. I progetti sono stati
fatti ma nessun cazzo di operario ha ancora mosso un dito.
Cerco di guardare il lato positivo almeno, il lato della
strada illuminato dal sole come cantava il buon Frank. Mi vedo, mi sgamo, mi
riconosco come abile trasformista, make up artist, rollatore di sigarette e
inventore di personaggi fumosi. Rimane la domanda, quella che si pose qualche
pastore guardando le stelle: chi sono io?
Cosa mi definisce? Chi voglio essere? Chi voglio diventare?
Cosa cazzo voglio fare da grande adesso che SONO grande?
Provo ad essere me, mi sforzo ma quel me è un enigma
irrisolvibile al momento. Vivo a momenti, segmentato, frammentato, triturato,
sminuzzato buttato in padella e soffritto a fuoco alto. Prendo impegni e poi
non ho voglia di onorarli, un momento il mondo è pieno di possibilità e quello
dopo cammino tra strade abbandonate senza speranza con gli attori di The Walking
dead.
E sia nel buio o nella luce non sono mai (se non per
brevissimi istanti soddisfatto). La ragione credo sia semplice: non vivo quasi
mai il presente. Il mio pensiero è sempre rivolto al dopo. E anche quando mi
sembra di aver trovato un pezzettino di verità su di me, evapora tra le dita
come l’acqua nella legna umida che butti nel camino. Tanto rumore, poca fiamma
ed un sacco di fumo. Continuo a dubitare delle mie scelte, mi lamento sempre.
Tal volta, da solo, vivo un istante di pace, velocemente fagocitato da noia e
insensatezza.
A volte ho delle epifanie, momenti di presa di coscienza e
consapevolezza che fanno fare grandi feste ai miei neuroni, infiammano le
sinapsi e al posto del sangue il cuore pompa Valdobbiadene gran riserva. Ma dopo
la botta di vita, arriva il post overdose con i suoi acciacchi e la chiarezza
lascia spazio all’opacità..
Mi piacerebbe essere un uomo in un percorso personale di
miglioramento ma deambulo continuamente tra il Grinch e il signor Scrudge del canto
di Natale di Dickens.
E allora, mi dico, accetta la tua segreta grettezza, il tuo
amaro egoismo, l’incapacità di scendere veramente nel mondo e rimani nella tua
tana. Ma goditela sta cazzo di tana! Sguazzaci dentro! Fai delle mega feste tra
te e te, elogiati allo specchio, datti dei colpetti alla spalla mentre ridi per
una battuta che ti sei fatto! Fatti dei regali e stupisciti commosso mentre li
scarti.
“Ma, davvero? E’ per me?” “No, ma tu…. Ma tu sei ..
fantastico! Quanto hai speso? Non dovevi!” “Ma figurati, è il minimo, tu meriti
questo e altro! Dai, che aspetti? Aprilo! Voglio vedere la tua
faccia quando lo
vedi!”
Ingrassa il tuo ego fino a sentirti un fegato d’oca pronto a diventare prelibato
foie gras per Dio!
Abbraccia appieno il tuo lato oscuro. E invece no…. Ricerco
l’ombra ma poi mi sento inutile e abbandonato. Allora mi trascino al sole come
Gollum alla ricerca del suo tessoro e la luce mi da fastidio, incomincio a
sudare e mi fanno male gli occhi.
Cosa vuoi Ivano? Almeno a questo puoi rispondere? No, cioè
si, insomma cosa vuoi … Che domanda generica… Cosa intendi? Ti posso dire cosa
voglio da mangiare oggi, credo, o farti un elenco di regali di Natale. Ma cosa
voglio nella vita? Cosa voglio fare? Mah, Boh, sob, sgrunt, bha.
Voglio accettare ciò che ho? Voglio rendere più sereno
questo animo bipolare e sempre in guerra con se stesso? Si, direi di si. Ma non
so come farlo e anche se trovo una traccia, un sentiero, un immagina chiara e
risolutiva, la perdo al primo ostacolo e ritorno preda di un ira divina contro
la divinità mentre mi immergo nell’assenza di significato. Come passare in un
secondo da Disneyland a Dogville con le case disegnate col gessetto.
Certo sono abile nel raccontarmela. Faccio, con una fatica
erculea, delle cose piacevoli. Si, mi nutrono in qualche modo, mi danno
qualcosa di bello e di vero. Ma alla fine, quando torno a casa, sono sempre io.
La vecchia megera che borbotta.
E chi vorresti essere scusa, Patrizia Rossetti mentre vende un
materasso? Non so, vuoi entrare in una stanza come Ivano e uscire due ore dopo
come Jhon Snow su un drago mentre si limona la bionda ignifuga? Ovvio che sei
sempre tu.
Quello che voglio dire è che tutte queste belle esperienze sembra
non attecchiscano in me. E’ come se mangiassi cibi gustosissimi ma privi di
nutrienti. Mi godo il momento del pranzo ma dopo un’ ora sono già sul cesso con
sizza e Facebook.
Ieri sera è come se fosse sceso un velo dietro al quale mi
nascondevo (uno dei tanti credo). Al laboratorio di scrittura creativa mi sono
visto incapace di essere creativo. Banale, senza risorse immaginative. Ho urlato contro un muro e mi è rimbalzato
contro un suono che pensavo fosse di qualcun altro. E noto con rammarico che posso
scrivere solo di me. Credevo di avere una fervida immaginazione ed invece sono sterile come un fiore di plastica.
Cosa sai fare Ivano? E quello che sai fare ti piace farlo?
Quanto te la racconti? Ecco queste le domande che mi sono portato a casa ieri.
Se l’autunno è la stagione della frammentazione del sé,
allora ho vinto il primo premio. Sono scomposto, disconnesso e intermittente
come luci di natale difettose e
lontanissimo da un integrità individuale che piaccia o no, sento l’esigenza di
riconoscermi.
Pur essendo ormai saturo di questo Ivano Park con attrazioni
vecchie e pericolanti, continuo a farmele
tutte pagando biglietti sempre più cari e divertendomi sempre un po’ meno.
giovedì 23 novembre 2017
RADICI E STELLE (ciò che conta è ciò che hai)
Concentrati su quello che hai e non su
quello che vuoi.
![](https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhmgFQ2ryXayRuK97yIvE7xmGpPONfQuXfuC62JhEG_L36J822_rpV5Km0YPwG-TlboKGGOr9vpvs1VL_GTeBN40x-b1OtIgwICZpEJGq_MTZAviPVYeMG5TlTw3YSVLeQq79BEqZW_Hz4/s1600/images+%25282%2529.jpg)
Come un sasso lanciato nell'acqua, il
primo incontro riverbera con cerchi sempre più ampi che dall’intimità più
profonda e intoccata arrivano fino agli aspetti apparentemente più superficiali
della mia vita.
Un susseguirsi di alti e bassi, vuoti
e pieni, tane e colline, ma sempre in movimento e sempre nella volontà di
accettare con il cuore e poi capire con la mente. E osservare senza giudicare.
In più di un’occasione mi è capitato
di lamentarmi, di non sentirmi a mio agio, di voler andar via e stare solo. E
lì la prima domanda da farsi: in quei momenti, quando mi sento solo contro un
mondo incomprensibile, quando vorrei scomparire con uno scoppio e una nuvola di
fumo, sono un adulto o sono un bambino? E allora capivo, sentivo che c’era
qualcosa che non andava perché quelle sensazioni non appartenevano ad un Ivano
37enne ma ad un piccolo Ivano perso e fuori posto.
l profondo senso di vuoto affonda le sue radici nella NON –APPARTENENZA. La mia biografia famigliare mi
ha portato a non sentirmi mai parte di un nucleo ma frammentato prima tra mamma e
papa e poi lontano dal trio formato da mamma, papà e fratello. La regola che si
è formata in me e poi impressa a fuoco nella mia anima è famiglia=non appartenenza.
Quindi,ogni volta che, in qualsiasi tipo di sistema sociale, mi si riconosce
appartenenza (o la ottengo), fuggo come se fossi un pennuto inseguito da Willy
il Coyote. E trovo anche un sacco di argomentazioni plausibili per andarmene e mantenermi
fedele alla “mia famiglia”. L’appartenenza (falsa) mantenuta con la non
appartenenza (vera). Chiaro no? Per me ora si.
Domenica finalmente mi sono visto,
come l’immagine nello specchio del bagno che piano piano emerge dopo una doccia
caldissima e il mio cuore ha perso 10 kg e il mio umore è migliorato
esponenzialmente. Tutto è arrivato con leggerezza e semplicità perché la verità
non è mai complicata.
Il bisogno di onorare la mia
famiglia di origine, fino ad oggi non mi ha permesso di appartenere a qualsiasi
altro sistema, sia questo il lavoro, un laboratorio, la mia famiglia attuale.
Niente e nessuno soddisfa mai “i
giusti requisiti” perché semplicemente non esistono. Concedermi di appartenere
a qualcosa (dal quale successivamente posso anche decidere di prenderne le
distanze ovviamente) vuol dire fare attenzione, dedicare cura a ciò che ho
lasciando andare ciò che voglio (che per me spesso è qualcosa di completamente
irreale).
Questa epifania è stata ed è uno dei momenti
più significanti nel mio percorso di crescita personale e lo voglio fissare in
queste pagine virtuali laddove dovessi ricadere nel copione del “ nessun posto
va bene per me”.
Nel lavoro, ad esempio, ho sempre
posto l’accento su ciò che non va bene, sulle persone negative o sulle
situazioni che non funzionano (benvenuto sulla terra Ivano) e solo ora mi rendo
conto che in realtà ci sono colleghi competenti, belle persone che ho potuto
incontrare grazie a questa attività e che sono parte di un’azienda che va verso
qualche cosa al quale io posso scegliere di contribuire sentendomi realizzato
professionalmente. Solo concedendomi di esserne parte posso godere il piacere
del condividere e crescere insieme. Ciò non toglie che possa accettare una nuova occasione
di lavoro migliorativa , ma ha senso vivere appieno il momento perché
comunque porta con sè un insegnamento per la mia biografia.
In realtà, l’emergere di questo
sentire è nato perché la mia famiglia (zii e cugini) , inizialmente su mia
iniziativa oltretutto, organizzano una grande cena “reunion”. In nessuna delle
due occasioni ho potuto partecipare. L’ultima è stata sabato scorso e ho
passato tutto il giorno preso male, nervoso, infuriato con il mondo ma in
realtà solo con me stesso. Domenica mattina una cugina ha mandato le foto della
serata e guardando quelle immagini mi si è aperto il cuore, inondato da ricordi
ed affetti trasmessi da quei volti sorridenti trasformati dal tempo. Gli unici assenti io e mia mamma. Allora mi sono
chiesto: perché non hai fatto di tutto per partecipare? Perché? E la risposta ha
cambiato la percezione del mio mondo. La mia assenza (non appartenenza),
conferma la mia appartenenza alla mia famiglia di origine che, durante la mia
pre-adolescenza scelse di isolarsi dal resto della tribù familiare.
Nella stessa settimana mi è capitato
qualcosa di simile con il gruppo del laboratorio di scrittura creativa che
organizzo con la mia cug. Dopo aver focalizzato la mia attenzione su quello che
non mi piaceva, cercando in tutti modi motivazioni per sentirmi al di fuori
della situazione, ho incontrato il vero, il reale, ciò che c'è e che ho a prescindere da
ciò che voglio. Ho visto, non solo con gli occhi, un bel gruppo di persone che
si mettono in gioco ogni volta, che condividono, che si raccontano e affrontano
i propri limiti. Ho uno spazio dove concedermi e sperimentare, sentire e essere
ascoltato.
Per cui grazie a tutti quelli che sono
nella mia vita, che siano amici, insegnanti, ostacoli, amanti. Forse uno dei “trucchi”
per essere felici è proprio concentrarsi sul presente e abbracciare ciò che ho
che è tanto, molto, forse troppo, e vivere senza filtri, senza maschere. Certo
non è facile e dico grazie a questa grande opportunità di cammino verso la mia
libertà che mi sta dando il percorso sulle costellazioni familiari.
Un sacco di sabbia finalmente si è
staccato dalla mia mongolfiera e mi alzo verso il cielo di qualche metro.
Lavorerò per dar fuoco al combustibile, mollare le cime e prendere il volo.
I Piedi radicati nel terreno e lo sguardo
perso tra le stelle.
mercoledì 4 ottobre 2017
A CADUTA LIBERA
Continua il mio inesorabile viaggio “nel buco”, che sta
diventando un tunnel oscuro verso il centro della mia terra, ossia di me stesso,
qualunque cosa possa incontrare. Come insegna il buon Verne, tra mostri e misteri,
ci sono anche tesori inaspettati.
Essere nel buco, per quanto mi riguarda, è sentirsi in fondo
ad un pozzo, scomodo ma in qualche modo conosciuto. Avevo deciso di uscirne, dopo giorni di immobilità e riflessione, attraverso
il movimento e tanta volontà. Pensavo di esserci riuscito, ma ieri sera, all’improvviso,
ho realizzato che stavo solo sognando una
lenta risalita verso la luce.
Come un sogno all’inverso mi risveglio ancora nel buco. E ora
il fondo che tanto conosco si sgretola e incomincio una caduta negli abissi del
mio mal essere e del mio sentire.
E vado giù, sempre più giù.
Mi viene subito in mente l’immagine di Alice durante la sua
caduta verso il paese delle meraviglie tra
radici, terra e oggetti bizzarri. Che anche io possa trovare la meraviglia solo
scendendo il più possibile?
Allora vado giù, sempre più giù.
Probabilmente è proprio di questo che ho bisogno, perché nulla
accade per caso. Forse oggi devo sentire la forza di gravità che mi spinge, e l’aria
pungente che sferza il mio viso mentre aumentano la velocità e il battito
cardiaco.
Mi lascio cadere giù,
senza resistere, sempre più giù.
Nel buio e nel calore della mia intimità, nelle mie paure,
nella mia indolenza e nella mia disaffezione.
Perché solo nell’oscurità più totale posso finalmente ritrovare
la mia luce.
E continuo ad andare
giù, sempre più giù.
Pur essendo spaventato accetto questo momento, sento che è
necessario, che ne ho bisogno; provo dispiacere per perdermi delle cose, perché la mia attenzione è rivolta verso il basso, verso l’interno, nel pieno
del mio autunno.
Giù, sempre più giù.
Ed è comunque un viaggio, dove regnano incertezza e
confusione, trepidazione e volontà, curiosità e distacco. L’unico punto di riferimento
e di stabilità sono io.
Mentre scendo, mentre cado, mentre mi immergo sempre più
giù.
Riconosco la responsabilità di questo mio continuo cadere e me ne assumo le conseguenze, perchè stavolta ne sono cosciente e presente in ogni istante di questa a quanto pare interminabile caduta libera.
E se devo andare giù, ancora più giù, lo farò con fiducia e
tenacia.
sabato 23 settembre 2017
INSPIEGABILMENTE TU
In questo giorno del tuo anniversario di nascita ti penso fratello ...
Non mi sento in diritto di definirti fratello, ma questo sei per me, nonostante tutto.
Per anni ho avuto vergogna di te, a volte dicevo di essere figlio unico perchè era più semplice che spiegare ad uno sconosciuto il complicato mistero della tua esistenza.
Ma oggi voglio ricordare quei momenti in cui abbiamo condiviso il nostro legame; quando ti facevo ballare come un matto con la musica a tutto volume, sbattendo le mani sul tavolo e mentre ti cambiavo il pannolino. Ricordo da bambino di notte, in preda ai miei incubi terribili, che la tua vicinanza , la tua presenza mi calmava e mi permetteva di riprendere sonno.
Oggi sono triste fratello, perchè mi sarebbe piaciuto avere più coraggio o più amore per starti vicino, nonostante tutto e tutti. Ma non ce la faccio e non posso che prenderne atto e parlarti nel mio cuore. So di essere un fallimento come fratello maggiore e per questo non ci sono scuse. Sono meschino ma davvero ho fatto quello che ho potuto per mantenere un minimo di equilibrio in quella corda da funambolo poco tirata che è la nostra dinamica famigliare.
In realtà la tua immagine sfiora i miei pensieri spesso ma oggi più che mai ritorni a me mentre bevo il caffè salutando il giorno e mentre pulisco casa sulle note di una triste canzone di Billie Holliday...
Hai trent'anni, età che avvicinata alla tua immagine, suona in maniera strana e riverbera in me in altrettante strane emozioni.
Solo adesso fratello incomincio a capire e sentire gli accadimenti e le dinamiche che mi hanno portato ad esserti sconosciuto, straniero. So che ti ho odiato fratello perchè, pur senza colpe, il tuo diritto alla vita ha sovrastato il mio diritto ad essere amato. E anche se me ne vergogno non posso che accettare i miei sentimenti.
Ma rimangono i ricordi intensi e veri di quei lunghi pomeriggi in quella casa tanto sgarrupata quanto la nostra famiglia.
Famiglia dalla quale ho scelto, non con dolore, di prendere le distanze... Ho scelto di prendere le distanze anche da te forse perchè sono troppo vigliacco o troppo egoista, sicuramente troppo debole per accompagnarti nel tuo viaggio unico e inspiegabile.
Che sia una vita forzata, alimentata dai bisogni di qualcun altro o semplicemente destino al di fuori della comprensione razionale, rimane comunque la tua esperienza che io non voglio, ahimè, e non riesco a condividere.
Spero possa perdonare la mia assenza e la mia incapacità di amare che tanto impedisce la mia completa realizzazione come essere umano.
Ti posso solo augurare nel mio cuore di andare dove devi andare e di vivere ciò in qualche tempo e in qualche modo hai scelto di esperire.
Non posso non sentirmi che meschino per non onorare un legame di sangue ma così è, almeno per il momento.
Ti posso però dire che sto lavorando su di me per far la pace con una famiglia dalla quale mi sento lontano anni luce.
Non so definire bene i sentimenti che provo nei tuoi confronti, ma posso sicuramente ammettere al mio cuore e al tuo che sei fonte di coraggio per sopportare il fardello che porti dal giorno della tua nascita. Fardello che non è solo tuo e che io scelgo di non alimentare o condividere.
Per fortuna intorno a te c'è qualcuno che ti ama per chi sei ....
Non so se le scelte che ti hanno portato oggi a compiere 30 anni siano state scelte egoistiche o dettate da un profondo amore. Posso solo indagare sul mio sentire, sospendo il giudizio sugli altri, pur con qualche difficoltà.
Non ti nascondo però che penso a te a volte come uno strano amuleto magico il cui pulsare luminoso permette ad altri di vivere una sorta di illusione che chiamano vita, ma probabilmente mi sbaglio.
E ogni tanto mi perdo nei mondi possibili nei quali ti ho accompagnato il primo giorno di scuola, ti ho scorrazzato in macchina subito dopo aver preso la patente o ti ho dato qualche consiglio su come comportati con la compagna di classe per la quale hai preso la prima cotta.
Sogno ad occhi aperti un legame di amore tra due adulti che condividono momenti ed esperienze.
Ma pensare a ciò che "sarebbe potuto succedere se" lascia il tempo che trova.
Il mio regalo per te è tenerti oggi nel cuore e nella mente più degli altri giorni e prometto che prima o poi io e te faremo la pace e ci abbracceremo ancora.
Questo posso fare oggi fratello.
Auguri Federico.
giovedì 21 settembre 2017
LUNA ASCOLTAMI
Che sia il nodo lunare, che sia il repentino cambio di
stagione, che sia il nuovo orario di lavoro… Bhè, non so bene quale sia la
ragione, ma sono in un momento di difficoltà. Nel corpo, nella mente e nel
cuore.
Questi due giorni, in particolare ieri, ma in realtà dallo
scorso fine settimana, mi sento molto liquido, appesantito. Ieri ho pianto un
lago di lacrime dense e salate e oggi mi sento comunque un gavettone pronto ad
esplodere.
E’ difficile spiegare e raccontare la continua e costante
eruzione di sentimenti, spesso antitetici tra loro, che percorrono il mio
sentire. A volte ustionanti ed altre dannatamente ghiacciati. Momenti incontenibili ed altri così vuoti da fare un
eco terribile e infinito.
Scelgo con fatica dei percorsi, riconosco con immenso sforzo
chi mi ama e mi sostiene. Mi dedico anima e corpo ad attività sterili per poi
non avere energia per ciò che in teoria mi nutre e mi interessa.
Ma mi interessa veramente? Cosa mi interessa? Cosa fa
vibrare le mie corde?
In realtà non lo so. Vorrei tanto avere qualche idea chiara
ma ho solo dubbi. Su tutto. Ed è logorante. Nell’indecisione scelgo sempre l’azione
rispetto alla stasi. Perché sono bravissimo a stare immobile e quindi ho già
dato. Il movimento, per me, è sempre e comunque positivo, anche quando non
incontro significato.
Sono anche in un momento di sfiducia, cosmica, universale. Pur
raccontandomi favole e toccanti metafore, la verità è grezza e spigolosa. Non
so affidarmi a nessuno. Scelgo di non fidarmi, ancora, ancora e ancora. Nonostante
credevo di aver coltivato un piccolo
giardino di buoni sentimenti e intenzioni sono un cazzo di asfaltatore di
terreni.
Mi rendo conto che non avendo fiducia nel prossimo, nelle
occasioni, nella vita in generale, non si può amare davvero. Senza fiducia non si può amare nessuno. Mi
posso ingannare con delle belle frasi, con immagini romantiche, ma nella realtà
sono molto simile al signor Burns dei Simpsons senza il cash.
Mi ritrovo a contemplare, davanti allo
specchio, un essere Ivano che pensavo aver abbracciato e accolto, ma in realtà
solo rinchiuso e dimenticato. C’è in me un animaletto risentito, ferito e abbandonato.
Un essere oscuro che rimugina su una vendetta contro tutti (in primis i poveri
genitori poveri loro davvero) rosicchiando con i denti marci le sbarre
arrugginite della sua prigione.
Mi piacerebbe essere finalmente adulto, pronto a dare
veramente e capace di ricevere senza sentirmi in colpa, ma purtroppo sono
ancora un mostriciattolo pieno di risentimento. Mi viene in mente il mio
referente per eccezione, il mio alter ego, il Grinch. Però questa volta mi
sento il piccolo Grinch, quello pieno di
tagli perché ha cercato di tagliare il pelo verde del suo volto per
assomigliare ai suoi coetanei, ma deriso
perché diverso.
Il piccolo Grinch, che digrigna i denti furioso e con lo
sguardo pieno di odio e disperazione.
Ho imparato che per poter migliorare bisogna sapere dove si
è nel presente, e in questi giorni, con immenso dolore e dispiacere, io l’ho
scoperto. Ho spento il mega proiettore (anzi è andata via la luce) con immagini
bucoliche e colori vivaci. Ho visto con orrore che sono ancora in una stanza
grigia, da solo per scelta.
Che forse un ramo spezzato non si possa mai raddrizzare? Che
marcire sia l’unico destino possibile? E’ il momento di riconoscere la mia
grettezza e non cercare di essere qualcuno migliore? Oppure lottare, lottare,
insistere e perdere ma continuare a cercare la luce che illumini l’oscurità che
scelgo ogni giorno?
Mi rivolgo a te Luna, che tanto identifichi il mio essere non-luminoso
ma riflettente… A te, che con i suoi nodi, crateri e misteri, mi rendi vivo
anche se quello che sento non mi piace.
Luna che muovi le mie maree interiori, aiutami ad andare avanti
a testa alta, nonostante il mio non sapere riconoscere e onorare chi mi vuole
bene, nonostante sia più facile cedere ai miei impulsi autodistruttivi, nonostante
la mia immaturità.
Nonostante il mio dolore a volte immenso.
Luna ascoltami mentre ti osservo in queste notti d’autunno.
lunedì 28 agosto 2017
IL MANTRA DEL DISTACCO.
Sono tornato dalle ferie già da una settimana, ma oggi mi
sento veramente in lutto.
Oggi che hanno ripreso a lavorare i colleghi meno sfigati di
me che si sono sparati 3 settimante, freschi e abbronzati; pieni di energia e pronti a ricominciare. Io
sono pronto per finire, per spezzare le catene come Dayneris Targarien e
liberarmi dal giogo degli schiavisti di Meren.
Come si fa a tornare dalle vacanze con quel sorrisone
stampato? Come si può ritornare in gabbia dopo aver volato libero? O non si
riconosce la gabbia, o non si vola. Le cose sono due. Comunque io mi ritrovo
qui, nella rassegnazione che ormai è mio scudo contro questa assurda perdita di
tempo ed energie.
In lutto.
Dispiaciuto per aver perso quei magici momenti nei quali
sono io a decidere a cosa dedicarmi. Sgrano un rosario di rimorsi ed uno di
rimpianti mentre veglio sulla bara che contiene i resti di alternative
possibili.
Sono vedovo della mia libertà, massacrata e uccisa dal
sistema economico e dalla mia incapacità di creare e perseguire.
Ma anche io sono colpevole di rapimento e omicidio: ho
sequestrato la mia capacità di sognare e dopo averla tenuta per mesi senza cibo
e senza luce, l’ho lasciata morire miseramente.
Sono in lutto anche per quel senso del dovere e di
ineluttabilità che mi faceva affrontare questa schiavitù con un sorriso. Tutti
devono lavorare, bisogna guadagnare denaro, non puoi farci niente. Il mondo va
avanti pistolero.
O lo segui o rimani indietro.
Pur sapendo che si può sempre tentare (se fossi più deciso,
se avessi un progetto concreto, se avessi abbastanza coraggio) continuo a
camminare sullo stesso percorso incidendo un solco sempre più profondo che fra
poco diventerà un tunnel, un loop temporale da ripercorrere senza via di
scampo. Una ruota per criceti dove costruttore e roditore sono la stessa entità.
Sia chiaro che non sono disperato proprio perché so che una
speranza c’è. La possibilità di cambiare esiste anche se non so assolutamente
dove cercare. E anche se trovassi il posto giusto, la X sulla mappa, mi
immagino come una scimmia che trova uno smart-phone nella giungla. Bello, ma
come cazzo si usa? A cosa serve?
In questi giorni continuo a ripetere nella mia testa una
frase di una canzone di Nina Zilli: la vita è una breve vacanza dall’eternità.
E subito abbino questa grande verità (per me il mantra del distacco) ad un
immagine di me gigante che cammina per città piccole piccole con la testa che
supera le nuvole. E così riesco a ridimensionare situazioni e condizioni che
altrimenti mi sembrerebbero quanto meno soffocanti e probabilmente troppo
grandi da gestire.
Se siamo in una vacanza allora va tutto bene in fondo in
fondo. E’ sulla superficie che si creano i problemi,perché per quanto possa
convincermi di vivere nella Maya, nella grande illusione, mi perdo nelle
piccole vicende che di significato non ne hanno. O forse si e io non so
coglierlo.
E riprendo il “dopo ferie” un po’ disilluso, stanco e
dispiaciuto ma mi sento anche un pò gigante, così,anche se schiaccio una merda
con i piedi, non sento l’odore.
Che poi diciamocelo chiaramente. Ma come si fa a sembrare
così soddisfatti e rinvigoriti dopo due settimane (se va benissimo tre) di
contentino? Solo a me sembra un’immensa presa per il culo avere 2 settimane di
ferie ogni 6 mesi di lavoro (a chi va bene oltretutto)?
Gente che l’ultimo giorno prima “della partenza” saluta i
colleghi con abbracci e baci come se dovesse partire per sempre. E quando torna
porta presenti e racconta esperienze vicine all’estasi della beata vergine
quando la visitò l’arcangelo Gabriele. Ma un po’ di senso del reale no? Vi fate
proprio vendere il sale benedetto da Vanna Marchi! E per favore! In realtà la
mia è una critica invidiosa.
Anche a me piacerebbe un sacco vivere l’emozione
della vacanza pre-confezionata dove la sorpresa più grande che ti può capitare
è fare un rutto improvviso per aver bevuto acqua frizzante troppo in fretta.
Anche io vorrei aspettare le ferie come un bambino aspetta il Natale e
dimostrare che più sono abbronzato più la mia vita ha senso.
Invece penso che il soggiorno nel villaggio turistico dove si
torna ogni anno non sia un “VIAGGIO. Credo sia più uno spostamento di culo: dal
divano alla sdraio. E non riesco a pensare che le due settimane siano solo
briciole che ritrornano dopo aver passato un anno a sfornare km di baguettes.
Sono in lutto perché a volte mi sento l’ultimo uomo sulla
faccia della terra che vede il mondo per ciò che è e non per quello che è
meglio che sembri per non impazzire o far spruzzare il sangue delle mie vene
tipo fontana di capodanno.
In realtà so che non sono da solo in questo mondo ricco di
possibilità ma ricoperto da un sottile strato di cacate di uccello, ma oggi è
il Lunedi del rientro e mi sento Calimero nel mondo dei cigni bianchi e un
fottuto sopravvissuto ad un lavaggio del cervello di massa.
E così recito il mantra del distacco e ritorno con la testa
tra le nuvole perchè va sempre bene, va tutto bene soprattutto quando non
riesci a far nulla per cambiare qualcosa.
Dracaris.
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