Oggi sono infastidito perché ho un inizio di sinusite e
sento un forte senso di ingiustizia. E rabbia.
Mi sento antipatico, pesante.
Dentro di me c’è un bambino che sbatte i piedi, pugni chiusi che grida “ Non è
giusto, non è giusto, non è giusto!”.
Me lo immagino in divisa scolastica con
pantaloncini blu al ginocchio, calze coordinate a metà polpaccio, mocassino
orribile (quelli con le frangette), camicia bianca immacolata e giacca tipo
blazer con lo stemma del collegio per ricchi che frequenta sul taschino
(qualcosa dorato ). Ha i capelli lisci, scuri, lunghi fino all'orecchio con la
riga da parte, tutti impomatati, tranne che per un ciuffettino in alto, in cima
alla nuca, che non ne vuole sapere di piegarsi alla forza incollante della
brillantina. Tipo AlfaAlfa.
Quello il suo tratto peculiare, quel ciuffo diverso
dal resto dei capelli che esegue obbediente come una placida mandria di pecore
il volere del potere incollante. E lui, personificazione di quei rivoluzionari
ed instancabili capelli, con il suo viso raggrinzito pieno di lentiggini,
sbuffa e digrigna i denti perché oggi ha voglia di rompere il cazzo. E ce la fa
benissimo. “NO NO e NO!” “ Non è giusto,
io NON CI STO! NOOOOOOOOOOOOOOOOO”.
“AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAARRRRRRRRGGGGG!”
“GRUUUUUUUUUUUUUUUNNNNNNNNNTTTTTT”.
Potrei trovare mille ragioni per giustificare queste
grida fastidiose, ma so che l’origine è solo una.
Questa piccola canaglia che prende forma dentro me è il
regalo della mia costellazione famigliare: Giuseppe, il costellatore che non si fa commuovere, ci
aveva avvisato che nelle settimane successive alla giornata passata insieme
avremmo potuto vivere una sorta di crisi, di instabilità emotiva. Avremmo forse
vissuto repentini cambi di umore. Io ero
abbastanza tranquillo perché già di mio sono lunatico, iracondo, bipolare e
schizofrenico.
Ma non mi aspettavo l’arrivo dello stronzetto. Adesso sono
nella fase “ti prego basta so che ci sei ma mollami un attimo” e cerco di
coprire le sue grida con tanta musica jazz, lo studio, e la play station. So
che ho bisogno di accoglierlo nella mia affollata famiglia interiore, calmarlo,
ascoltarlo soprattutto e abbracciarlo forte nonostante le sue proteste. Ma al
momento non posso. Qualcosa però ho imparato e non lo rifiuto, non lo nego. Gli dedico l’attenzione che si merita.Lo
osservo, vorrei prenderlo a schiaffi perché la sua ira è la mia ira che esplode
dal nulla quando meno me lo aspetto. E quando me ne accorgo, per il povero
malcapitato che passeggiava tranquillo davanti a me, ormai è troppo tardi.
Ho
già fatto uno scempio.
Altre volte mi ritrovo al limite: come il lupo della
favola dei 3 porcellini che si è riempito il petto di aria per buttare giù
quella patetica casetta di paglia che si è fatto quel grassone di un maiale
lurido. E mi fermo. Chiudo gli occhi. Espiro lentamente. Peccato.
Ho voglia di fumare, di bere a canna una bottiglia di
prosecco tutta d’un fiato, ho voglia di rubare uno shuttle alla Nasa e andare
sulla Luna per osservare la terra da lontano e prendere un respiro, calmo, da
solo. Ma per quanto possa allontanarmi
in realtà non andrei da nessuna parte. Già tentato.
Per lo meno non lo
alimento questo scolaretto mostruoso, ma quanto è difficile correre con l’estintore
per cercare di spegnere gli incendi che appicca in ogni angolo della mia casa
interiore. Sembra che la musica lo calmi: quando canto o ascolto o faccio i
miei esercizi, il burbero moccioso si placa e osserva attento quello che faccio. Quasi me lo
immagino canticchiare insieme a me qualche vecchio standard jazz mentre siede, finalmente rilassato, su una
vecchia poltrona marrone di fianco ad un grammofono con il cono in ottone.
Ma quando la musica finisce, il suo volto si deforma di
nuovo da bambino piccolo mostro di insoddisfazione e ira implacabile: i suoi
dentoni davanti separati dove ci finisce sempre la punta della lingua,
diventano zanne pronte squarciare e dilaniare, le sue manine fredde artigli infallibili.
E grida, urla, ulula e scalpita perché non ne vuole più sapere di niente e di
nessuno. E’ solo un bambino ed è stanco di quella divisa scomoda e di quella
pettinatura da sfigato.
Ed io tento di non farmi possedere da questo mio sentire che
è emerso con tanta energia dopo chissà quanto tempo. E la capisco questa povera
peste: rimasto per anni imprigionato in una cantina umida e polverosa, senza essere considerato da nessuno
mentre al piano di sopra sentiva i passi della gente, le risa e le chiacchere.
Lui solo al buio, mentre dalle assi di legno del soffitto trapelavano miseri
raggi di luce che facevano solo desiderare di essere in pieno sole.
Chissà quanti sentimenti reprimiamo senza accorgercene…. O
forse sono sempre gli stessi che ogni volta mascheriamo in maniera diversa? Io
ho riconosciuto un orgoglio che pensavo di non avere, anzi ne ero certo. Mi
sono sempre accusato per altri aspetti del mio carattere che ritenevo poco
socievoli o utili per il mio benessere, quando invece in una settimana, almeno
3 volte ho visto il mio orgoglio prendere il sopravvento e reagire per me. E’
chiaro che c’è sempre stato ma lo chiamavo con un altro nome.
In questi giorni invece, sono stato schiaffeggiato dalla
chiarezza con la quale ho visto delle dinamiche che mi rendono la vita meno
piacevole sicuramente, e spesso, più ruvida, più difficile da gestire e meno
vera.
Oltre all’orgoglio e al bambino furente, che al momento
posso solo osservare e non cambiare, sto veramente sentendo che sono sempre io,
ripeto, SEMPRE IO, che decido e plasmo il mondo in cui vivo. Sono io che scelgo
i colori con i quali dipingere la giornata. Scelgo io se sentire freddo o caldo
quando sto vicino a qualcuno. Io, io, io che creo drammi e falsi pretesti per
giudicare e demandare agli altri le mie scelte.
Wow.
Ho letto libri su
questi concetti, ne ho parlato a lungo con amici, ma vederlo tanto chiaramente
è un altro paio di maniche. Riconoscere, attraverso la sensazione ed il
sentimento che quando mi sento vittima in realtà sono mio carnefice è
disarmante e stupendo allo stesso tempo.
Si, perché per quanto ora possa solo osservare, girarmi,
sbattere la testa contro il muro per ore nella speranza che tutta la carta da
parati ritorni a coprire le pareti, ora so che ho la reale, concreta, unica
possibilità di creare il mio presente, di scegliere (anche se con dolore) e
diventare chi voglio essere veramente. Non ci sono più scuse, non c’è l’adolescenza
difficile (trovatemi un adolescente che non creda di vivere uno dei momenti più
difficili) o cattive influenze, persone malvage che limitano la mia libertà,
SFORTUNA (per favore la sfortuna no ti prego).
Ci sono io come unico giudice e artefice della mia condanna o del mio
successo.
Lo sapevo già tutto questo, però non mi si era mai rivelato
in maniera così palese. Si sono aperte le tende e sono uscito dal circo. Sapevo
che sulla parete stavo guardando le ombre riflesse della gente reale fuori
dalla caverna, ma non ero mai uscito. Non volevo! Adesso, per lo meno, ho volto
lo sguardo all'esterno e spero presto di fare qualche timido passo verso l’aria
aperta.
Per il momento rimango basito al fianco del mio bambino
interiore riconoscendo la sua insofferenza.O mi ci abituo o imparo a calmarlo perché
stavolta non me ne vado.
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