martedì 6 settembre 2016

SAN MARTINO

Stavo scrivendo una lettera e subito mi si è accesa la lampadina: Blog, blog! In realtà anche ieri ho iniziato a scrivere un nuovo post ma poi ho cancellato tutto pensando che fossero riflessioni troppo intime, che non volevo condividerle. E ritengo sia corretto tenere delle cose solo per me, ma  credo anche che scrivere con la consapevolezza (senza aspettative) di essere letto da qualcuno è un buon esercizio, sta a me decidere cosa divulgare e cosa mantenere.

Voglio scrivere di questo sabato passato al mio paesello natale. Un villaggio, direi, di 5000 anime, circondato da boschi, con una collina sulla quale c’è una chiesetta dedicata alla Madonna che permette una bella  vista del Lago di Lugano (o Porto Ceresio dipende sempre dal punto di vista). E li ho cantato per circa due ore, durante un evento organizzato dalla mia migliore amica.
E’ stata un’esperienza forte, piena di significato e soprattutto piacevole. Sono tornato al paesello dal quale ero scappato perché per un gay la comunità era troppo piccola e ristretta (anche per un etero volendo dire)e sono tornato  con “la mia arte” e oltretutto è stato un successo.

E la cosa mi ha fatto un piacere immenso. Si, perché se prima del concerto mi dicevo che Besano era un posto come un altro, anzi che lo facevo solo per fare un favore ad un’amica che in poco tempo aveva dovuto organizzare una festa di paese, in realtà ho scoperto che ci tenevo ad essere lì, sul quella collina dove ho passato buona parte della mia infanzia. Ci si andava da piccoli con le slitte quando nevicava salendo la via crucis a piedi per poi sfrecciare ad una velocità folle (ricordo di una volta che mi schiantai contro una cappella, che dolore!!). E da più grande andavo a fare campionati di golf con mio cugino Angelo e un amico: ci si costruiva il set completo di legni e bastoni, rigorosamente tutti in legno, si prendevano le palline da ping-pong, si faceva un taglietto, le si riempiva di sabbia e poi le si ricopriva di strati di nastro isolante per dare un peso simile a quelle vere. E credo di essermi fumato anche qualche canna su alla Madonnina con una splendida vista della valle…. Alla fine della serata mi sono sentito di nuovo un besanese….. che strano, io che rifiuto anche l’etichetta di lombardo o italiano….

Insomma, ritrovandomi lì, con la solita ansia da prestazione, vendendo volti conosciuti e dimenticati da anni, mi sono ricordato che quello è il simbolo del luogo dove sono nato e cresciuto. E tornarci, dopo così tanti anni, proponendomi come cantante, la passione che nessuno della mia famiglia ha mai spinto o incoraggiato, ha davvero significato tanto per me. E come sempre è stato un viaggio bellissimo da vivere: i primi minuti dove trema anche l’anima… le prime canzoni che escono a stento, il cuore a mille, il desiderio di trovarsi da tutt’altra parte o di avere un muro tra me e il pubblico (questo mi capita soprattutto quando non ho un vero palco che separi).
Dopo il terrore arriva la rabbia, dove mi dico “cazzo te ne frega Ivano se fai schifo, canta per te, canta per i tuoi colleghi, canta il posto dove sei”; poi la rabbia scema e lascia spazio alla vibra, la connessione con qualcuno che ti guarda e apprezza: uno sguardo, un battere di piedi a tempo, delle labbra che canticchiano un pezzo conosciuto. E all’improvviso giunge l’estasi: non riesco a trovare una parola adatta ma è una sensazione strana dove sei completamente in quel posto ma sei anche da tutt’altra parte. Senti la presenza del corpo ma stai anche volando accompagnato dalla musica. E vorresti che non finisse mai, continueresti a cantare fino al crollo fisico, fino a quando le corde vocali non diventino dure come pietra.

Poi arriva la fine. E dall’alto del cielo plani sempre più velocemente verso terra. E devo fumare e devo bere, devo riappropriarmi di quella corporeità, che ho sospeso per quelle due infinite ore. E galleggio, balzello, chiacchero, dico grazie a chi mi fa i complimenti, mi giro e ci vuole un po’ per ritornare in me. Veramente capisco le grandi star che dopo un concerto davanti ad uno stadio pieno, osannati e adorati si perdano in dipendenze varie e si suicidino. Come si può riproporre nella vita quotidiana questo tripudio di emozioni e sensazioni, questo momento di sintonia universale? Dopo un evento del genere qualsiasi cosa della vita sembra incolore, insapore e vuoto. Io dopo aver cantato davanti a 100 persone in una festa di paese cado in uno stato depresso-vegetativo per un paio di giorni. Incomincio a ringraziare il cosmo di non essere diventato famoso. Sarei già morto molto probabilmente.

Comunque che bella giornata, che bella serata, che bel posto, che bella gente e che …. FATICA!!! Ma ne vale sempre la pena. E spero tanto di poter rivivere presto queste situazioni.
Mi sento in diritto di considerarmi artista, anzi consideriamoci tutti artisti e spero tanto che nelle vostre vite possiate provare ogni tanto la magica euforia di un momento di connessione cosmica. Abbandoniamoci.  Ogni tanto.


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