Al lavoro, ho appena perso la battaglia contro il carattere
14. Anzi, decido di arrendermi, issare bandiera bianca e terminare questa
guerra con alcuni aspetti della tecnologia. Non so voi, ma è una costante della
mia vita, avere a che fare con la tecnologia, utilizzarla ed esserne
affascinato, ed avere la sensazione di non possedere mai completamente gli
strumenti per gestirla. Dovrebbe essere lei al mio servizio ma in realtà sono
io che mi piego ai sui capricci. E mi arrendo.
Carattere 14 hai vinto.
E’ da qualche giorno che sulla mail, quando ne devo redigere
una nuova, di default mi compare il carattere 14. Io non l’ho impostato, mi
sembra troppo grande (quasi volessi mandare un messaggio ad un bambino che ha
appena imparato a leggere) e non mi piace. Sono entrato in opzioni, ho settato
di nuovo il carattere 11, l’ho salvato ma niente. Ho provato e riprovato, ho riavviato il pc ma
il carattere 14 imperterrito si ripropone con arroganza.
E così, per qualche giorno, mi sono piegato al suo volere ma
con uno sguardo di rivolta andando a cambiare manualmente la grandezza del
carattere ad ogni mail. Ma oggi, ho riconosciuto la supremazia strategica nella
tattica di guerra e mi inginocchio ammettendo la mia inferiorità.
Mi capita a volte anche con Word: il cursore acquisisce peso
sotto i miei occhi, si raddoppia e si rifiuta di cancellare le parole dietro di
lui; tutto quello che voglio aggiungere in una parte già scritta si sostituisce
a quanto esposto precedentemente e io taccio inorridito davanti a quel
genocidio di lettere, quella slavina di caratteri che ricopre distruggendo interi paesaggi di frasi e boschi
di punteggiature. Molto spesso ho dovuto chiudere tutto, perdere quanto scritto
e ricominciare da capo. Sconfitto. Sob.
Qui la riflessione: chi è al servizio di chi? Più andiamo
avanti con il progresso tecnologico più incomincio a intravedere verosimile la
rivolta di Skynet in Terminator: costruiamo macchine per renderci la vita più
semplice (che poi il termine semplicità direi che è soggettivo).
Automatizziamo, touchscreeniamo , usiamo comandi vocali, ma, pur essendo un
grande fruitore della tecnologia, me ne sento sempre un po’ succube, un po’ meno
libero, un po’ più limitato. Come la dipendenza da smartphone. Potremmo vivere
senza organi interni, ma non senza un telefonino (che poi non sono più
telefonini) ni mano.
Mi viene in mente una scena di Zoolander 2: lui ritorna tra
la civiltà dopo anni di isolamento, lontano dalla moda e dalla nuova
tecnologia. E così, in una scena sfoggia il suo super mini telefono, grande
come un mattoncino lego (nei primi anni duemila più erano piccoli e più erano
fighi) mentre un altro attore lo guarda con sdegno e tira fuori un mega Iphone
maxi iper ultra grande come una scatola di scarpe!
Qualche settimana fa si parlava con degli amici e uno di
essi fece vedere la nuova “cover” del telefono: una roba glitterata che mi ha
fatto gelare il sangue: ma, anche volendo personificare un oggetto ( c’è di
peggio nel mondo) perché ricoprire una cosa semplice nelle linee, pensata per
essere leggera e maneggevole con kg di glitter rosa? Perché? Perché dargli un
carattere, una personalità in qualche modo? Se sei strumento, ti tengo con cura
perché costi, ti maneggio con attenzione perché più costi e più facilmente ti
distruggi, ma non ti do vita.
Sul tema del chi controlla cosa c’è una serie inglese che ha del geniale ed è
spaventosamente precursore dei tempi secondo me: Black Mirror.
Credo sempre che ogni periodo buio ( come questo di
schiavitù e assoluta dipendenza dalla teconologia) dia sempre l’occasione di
trovare la luce del giusto equilibrio. Come bambini che prima di dire no al
cioccolato fanno un indigestione anche l’umanità è annebbiata dall’ingordigia e
solo un sano mal di pancia farà capire che ogni cosa deve, per essere gustata,
deve avere un momento e un limite.
Io intanto continuo a perdere le mie battaglie con un
sorriso, sereno sul fatto di aver raggiunto un buon compromesso: io non faccio
tanti problemi e tu mi imponi il 14. D’altronde
la vita senza misteri risulta un po’ noiosa.
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