martedì 20 settembre 2016

VENTO NELLA TESTA

Oggi ho il vento nella testa.. 
Questa è l’espressione più appropriata. Come se qualcuno ti stesse parlando da vicino ma tu non riuscissi a sentire tutto il discorso a causa di un  forte vento che porta via le parole.             

E così nella mia testolina si formano immagini, che prima di acquisire una forma definita, si disfano in migliaia di granelli di sabbia portati via dal vento. E rimango lì, con l’aspettativa della chiarezza tradita, in mezzo al vento che spinge via tutto e non permette a nulla di rimanere fermo.

Dovrei essere felice in questo momento e invece sono turbato, confuso, insicuro, indeciso. Ogni qual volta cerchi di dare un volto a questo malessere, di attribuirgli un nome, come fumo spinto da una corrente improvvisa, si sposta, cambia forma, si allontana.

Di vento sono i miei pensieri, brezze leggere le immagini fugaci e oscuri vortici istanti sconosciuti.

Che palle! Vorrei stare sereno per un po’, cosmo, do you hear me?

Forse è un trucco del mio essere che, avendo quasi  sempre vissuto  in Emergenza, in avaria, per qualche motivo, quando tutto è tranquillo cerca comunque ragioni di instabilità e di ansia. Anche perché poi, quando le ragioni ci sono per essere sbigottito, triste o disperato, di solito reagisco con prontezza di spirito e con decisione.

Adesso continuo a fare una diagnosi, una fotografia di questo momento qui, adesso, analizzando con la lente di ingrandimento tutte le cose che mi capitano, che scelgo che organizzo e le persone che mi orbitano attorno per cercare il colpevole del mio malessere. Pur sapendo che, se proprio un colpevole deve essere trovato, quello sono io.

Fuck.

Mi sento un po’ come durante la caccia alle streghe nel momento di auge dell’inquisizione: immagino un periodo nel quale bisognava trovare colpevoli e perché gli altri rimanessero nel timore reverenziale della divinità filtrata dalla chiesa e perché si potesse avere la coscienza a posto. Quindi una doppia forza che esercita controllo e che da una sorta di tranquillità.

E forse è quello che sto vivendo adesso: ho bisogno di creare in me questa forza che in qualche modo argini le mie idee al di fuori dell’orticello e che dall’altra mi faccia sentire al mio posto non uscendo dal coro. Ma mi rendo conto che quest’energia ne scatena un’altra di eguale forza: il senso di colpa, del rimorso di non poter  fare, di rimanere nel conosciuto perché l’ignoto non mi è dato a conoscerlo. Inutile, dannoso, nocivo bastardo senso di colpa che a quanto pare non mi molla mai. Anzi sono io che lo stringo a me con forza, più mi disgusta più affranco il mio abbraccio.

Ricapitolando: voglio creare nuove strade da percorrere, ho paura di farlo così cerco la crisi che giustifichi il cambio di opinione e confermi la tranquillità della stasi, ma ciò implica un’insoddisfazione.

Per cui direi che il momento non è per niente tranquillo: qualcosa dentro di me si smuove, allunga dita affusolate con le quali mi solletica il cervello, striscia tra le viscere creandosi spazio tra gli organi interni, ma ho paura di esplorare. Paura di perdere, paura di incontrare, paura di cambiare … Paura di saltare nel vuoto, paura di volare.

E nonostante i libri che abbia letto, le persone che me ne hanno parlato e non ultime le esperienze che ho vissuto spingano senza riserve ad andare avanti senza timori, io resto inchiodato qui facendo un passo incerto e poi facendone subito uno indietro, avanti indietro, avanti e indietro finchè non mi gira la testa e mi dico: ok, per oggi abbiamo fatto abbastanza. Pur rimanendo nello stesso maledetto identico punto.

Che poi se almeno ci stessi bene in punto no? Se in un momento di tranquillità (chiamatelo stasi, sosta, pausa) mi faccio tutto sto cinema per farmi capire che evidentemente sta tranquillità non la voglio allora non sarebbe più semplice muovermi e ciao? Vai, cammina, corri, salta e quando sei stanco siediti dove sei, sti lì, non tornare indietro!

I concetti più semplici sono quelli più potenti, più veri e quindi più difficili da capire e soprattutto da vivere . Concetti semplici, che come una stella cadente attraversano il mio cielo notturno, splendido movimento in mezzo ad un mare di luci immobili, trasformati dalla mia perversione  in macchinosi ragionamenti, ibridi tra pensiero e azione, aberrazioni della semplicità umana, impossibili da gestire.
E intanto il vento soffia, woosh, woosh …….


E purtroppo ancora, tengo lo sguardo rivolto al suolo, incapace di alzarlo e gridare meravigliato: “L’ho vista, l’ho proprio vista!”

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