Ho quasi paura a scriverlo, a dichiarare per iscritto che
scelgo di tentare, come posso, quanto posso, di seguire la strada tortuosa e
ovviamente in salita, della realizzazione personale (quella vera).Scelgo di prendere
il viaggio dopo una bella e corposa sosta.
Questa volta il passaggio dall’immobilità al movimento è
armonioso, spontaneo elegante. Spesso mi è capitato di sentire il DOVERE di
mettermi in moto e allora mi prendevo con violenza e mi sbattevo fuori di casa
da solo tipo il gatto Tom quando veniva sorpreso dal cane Spike.
Ora mi sento come se mi fossi finalmente alzato dalla
panchina e avessi preso un treno. Prima un po’ agitato camminando avanti
indietro e poi sempre più rilassato in attesa di arrivare alla prima fermata.
Si, perché è di piccole fermate che voglio si componga questa nuova avventura.
Lascio da parte le inutili paure per il futuro, per gli obiettivi da
raggiungere e mi butto nel presente, cercando di viverlo appieno. Poco, piano e
bene. E bello.
Non che mi sia trasformato da Gargamella a puffo felicissimo
ovvio. Sono già stanco prima di iniziare! Non vedo fiori e arcobaleni dove
prima c’erano grotte buie e paludi. Intravedo però la possibilità e sento
scorrere la volontà. E dici poco. E? fiorito dentro me un sorriso di gioia e
curiosità per vedere cosa succede. Non sono più fermo ad aspettare, mi sto
muovendo e che sia per un giorno o per il resto della mia vita davvero non mi
importa. Adesso ci sono.
Sento sotto i piedi le vibrazioni della locomotiva sulle
rotaie, vedo gli altri viaggiatori indaffarati a sistemare le valige o persi
nella contemplazione del paesaggio. C’è fervore, c’è attesa, c’è energia. Ed io
ne faccio parte. Ieri mi sono ritrovato
a parlare con una cara amica, di me, di noi, ma soprattutto di me. E attraverso
le sue analisi e le sue intuizioni mi sono riappropriato di quell’essere
insoddisfatto che ha bisogno di continue novità per sentirsi vivo. Ci sono
persone, che attraverso la contemplazione e lo stare, riescono ad essere
appagate e a vivere pienamente. Non che siano fermi come un sasso (anche perché
gli uomini-pietra di solito non sono sereni) ma felici ed in equilibrio con il
loro essere, completamente immerso nel presente e in armonia con l’ambiente che
li circonda. Io invece sono un insofferente, ho bisogno di movimento, di
rumore, di stimoli, altrimenti mi trasformo in un adesivo della Panini attacca e stacca: attacca in macchina,
stacca al lavoro e riattacca sul divano. E mi dimentico in fretta di essere un
uomo.
Oggi mi sento come se fossi su un trampolino pronto per
tuffarmi: passata l’indecisione se farlo o no, dopo aver impiegato anni per salire
gli scalini che portano in alto, finalmente sono pronto; ancora qualche passo e
mi butto. Probabilmente non farò un triplo carpiato con avvitamento, non
entrerò in acqua leggero come una piuma, ma mi butto. E’ anche possibile che mi
spiaccichi con una dolorosa spanciata ed esca subito dalla piscina, ma chi
cazzo se ne frega. Per me, l’importante adesso è tuffarmi.
Nel momento in cui ho deciso di mettermi alla prova, di
vivere, di giocare con le occasioni che ancora una volta (grazie al cosmo) mi
si propongono, è come se avessi perso 20kg con una cura dimagrante miracolosa.
Rimangono le incertezze, i dubbi ma non c’è più l’angoscia, il rimorso, quel
bolo fangoso in fondo allo stomaco che ricordava tutti i giorni quello che
avrei potuto e non ho fatto. Ora ci provo signorie se non ci riesco comunque
avrò fatto un viaggio, conosciuto luoghi e gente nuovi e solo per questo ne
sarà valsa la pena. Si può sempre tornare, quello che non è sempre garantito è
la possibilità di andare da qualche parte.
Dopo tutto questo positivismo che mi fa prudere la pelle,
non posso che ammettere che ogni viaggio comporta e rischi e momenti di
difficoltà. Non c’è sentiero che non abbia una radice che ti faccia inciampare.
Io ne ho già incontrata una.
Ieri, nell’organizzare un progetto, carico di buoni
propositi e di idee, mi sono ritrovato inebetito ed interdetto: mentre il mio
interlocutore parlava io pensavo “cosa mai mi è passato per la testa di
accettare sta roba! Non ne so niente, non so fare niente, ma dove vado!” . Ma
stavolta, il subdolo sconforto e la viscida rabbia non hanno fatto in tempo a
raggiungermi perché la voce della mia volontà si è fatta sentire chiara e
cristallina: “ Non sai, vuol dire che imparerai. Non vedi un sentiero ben
delineato e allora brancola nel buio per Dio! Allunga le mani e cammina! Al massimo
di fai qualche bernoccolo” Ed è proprio
quello che voglio fare. Fanculo alla paura del buio! Fanculo alla mia esigenza
di controllo e di pianificazione, fanculo al conosciuto e a quello che so
gestire.
Ritorna la maledettissima aspettativa, quella benda sugli
occhi che non permette di vedere quello
che c’è, ma solo di immaginare quello non c’è e che sarebbe potuto essere. Per quanto io cerchi razionalmente di
annullarla sbuca fuori lo stesso come la bolletta di Genniao del metano. Sempre mi immagino un’evoluzione di una
situazione o di un percorso; nel momento in cui l’immagine mentale è disattesa
nella realtà, entro crisi o mi rompo le palle, spacco qualcosa e me ne vado. E
ringhio.
E’ giusto e sano, credo, investire sui progetti e sulle
persone ma forse è più una questione di sentimento che di proiezione mentale.
Non riesco a spiegarmelo bene, però con
la musica ad esempio, se cantassi per diventare famoso (proiezione) avrei già
mollato da tempo . Investo il canto di passione e amore ed il tempo e le
energie che dedico a questa attività sono già ripagate dal mio sentire mentre
lo faccio.
Noto un certo "continuum" in questi ultimi post, mi sto ripetendo un po’,
ma veramente vorrei rileggerli fra qualche mese ricordando il momento nel quale
finalmente ho limato le corna e visto spuntare timide "alucce" piumate tra le
scapole. Per uscire dagli inferi e tendere verso il paradiso.
Mi sento pronto per godere di tutti quei piccoli momenti,
quelle piccole scelte, che fanno parte di ampi e più complessi progetti. Tante “notine”
suonate una dopo l’altra che creano una splendida armonia. Non voglio più
correre solo per raggiungere il prima possibile un traguardo , voglio
passeggiare in un sentiero guardando i colori cambiare, sentendo i profumi del
bosco e la terra umida sotto i miei piedi.
Forse il mio non poter più correre fisicamente, per il mio
problema alla gamba, voleva significare anche questo. Quando mi sono operato ho
riflettuto e mi sono detto: ok, non posso più correre. Cammino. Che problema c’è.
Ma da un punto di vista karmico o cosmico o come vogliate chiamarlo che
significato ha? Mi sono comprato un libro di metamedicina (i sintomi del corpo
sono segnali e messaggi che rimandano ad altre sfere dell’essere) e i problemi
alle gambe sono segnali fisici di un nostro disequilibrio nel porci al mondo (spiegazione mooooolto semplificata).
Con le gambe decidiamo una direzione, ci muoviamo verso o ci allontaniamo da,
insomma ci spostiamo esercitando la nostra volontà sul movimento.
Io
probabilmente mi spostavo così velocemente tra i diversi ambiti della mia vita
che l’universo mi ha voluto dire “aspetta bello (non so perché ma l’universo me
lo immagino un po’ hippy e un po’ fattone) calma, correre troppo velocemente è come non muoversi”. Interessante.
E infatti io nella
vita o corro o sto fermo. Oggi mi sembra di cogliere questa occasione, una
possiblità a pagamento (una settimana tra macellai e moribondi) per poter
muovermi trovando un ritmo. Non più a rotta di collo.
Intorno a me ci sono volti, proposte, possibilità; dentro di
me ci sono idee, volontà e voglia di fare. Non ho bisogno di scegliere tutto o
rifiutare tutto come faccio di solito. Ho voglia di assaggiare, provare,
decidere ciò che mi aggrada o gentilmente declinare verso qualcos’altro. Con
impegno ma con leggerezza, deciso ma delicato.
E passo dopo passo, con qualche saltello e una giravolta,
trovare il mio cammino di mattoncini dorati verso Esmeralda, la magica città del regno di Oz.
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