Fine settimana interessante.
Grazie a situazioni extra-ordinarie ho potuto specchiarmi e
capirmi un po’ di più.
Sono una persona molto casalinga; la casa è il mio regno, il
mio rifugio, il mio guscio, scheletro metafisico che protegge fragili organi
interni. Sono il re del mio focolare, lord dei fornelli e marchese del divano.
Ma, come in ogni racconto epico che si rispetti, arriva
sempre il momento della crisi. La mia è incominciata Venerdi, quando questo
idilliaco reame di pochi abitanti, questa oasi di pace e serenità nel mezzo di
boschi fatati, è stato invaso dagli stranieri!!!!!
Panico! Allarme! Chiudete tutti i cancelli, riempite il
fossato, liberate gli alligatori, fiato alle trombe, fuoco ai cannoni,
rifugiamoci nella cittadella fortificata, aiuto aiuto AIUTOOOOOOOOOOOOOOOO!
Questa è stata la prima reazione quando il mio ragazzo spia,
doppiogiochista e traditore (nel racconto epico sarebbe il personaggio più
vicino al protagonista ma anche il fautore della sua rovina), mi ha detto che avrebbe
abbassato il ponte levatoio per far entrare questo gruppo di stranieri provenienti
dall’altra parte dell’oceano. Oltretutto sarebbero arrivati il fine settimana,
momento sacro per propiziare i miei riti arcani all’interno del mio tempio. E
in 4! Quindi seconda camera e divano letto occupati! Insomma dovunque mi fossi
girato avrei trovato invasori in casa mia!
In realtà, al ritorno dai miei viaggi cavallereschi, nessuno
ha invaso niente: il mio cinema è la mia normale reazione ad eventi che io non
scelgo e che alterano la mia quotidianità.
Ma, mi chiedo, dov’è finito quello spirito di avventura che
mi permise di lasciare tutto anni fa e trasferirmi in un paese dove conoscevo
solo una persona e non parlavo la lingua? Perché si è spento quel fuoco che bruciando
ardentemente mi permise di condividere una casa con tedeschi intransigenti e
spagnole con disturbi multipli della personalità? Probabilmente tutto ha un
tempo, un momento che poi non è detto che ritorni in maniera leggermente
differente. Mi piace pensare che l’evolversi della vita sia una spirale che va
verso l’alto, dove le situazioni possono ripetersi ma con delle leggere
differenze.
Intanto, il pensiero di avere della gente in casa che non mi
avrebbe permesso di cantare le mie canzoni a squarciagola, sdivanarmi con tuta
macchiata di candeggina e felpone con cappuccio, mi ha davvero messo in crisi.
Il venerdi sera mi sono rifugiato a casa di amici per non
dover fare i soliti convenevoli, parlare di cose che non mi interessano ed
entrare in contatto con persone che non conosco e non voglio conoscere. Poi il
sabato ho dovuto affrontarli, ed ho scoperto che alla fine, pur costretto dalla situazione, sono contento che siano venuti e mi sono comportato da buon
(sufficiente?) padrone di casa.
A parte che si tratta di gente educatissima, che voleva
“disturbare” il meno possibile, ho respirato una ventata di Uruguay, terra del
mio compagno. Parlare con loro in spagnolo, anzi uruguaiano (che si differenzia
dal castellano per alcune espressioni e la pronuncia della doppia L), ricordare
luoghi che ho visitato e persone che ho conosciuto, è stato come un ponte tra
l’Italia e quel posto tanto incasinato dove vive la maggior parte della mia
famiglia acquisita. Ed ho ritrovato in queste 4 persone quel disarmante
affetto, quella semplicità nello stare insieme e quella mistica capacità di
coinvolgermi emotivamente che non può non toccare e scaldare anche il più
gelido dei cuori. Mi sentivo il Grinch commosso dalla tenerezza dei Nonsochi.
Non so cosa sia che mi tocca tanto, che mi fa venire una voglia struggente di
prendere il primo aereo e riabbracciare gente che praticamente conosco da 2
giorni o che ho visto una volta.
La loro presenza mi ha ricordato i sorrisi genuini, la
leggerezza con la quale ho visto affrontare giornate pesantissime, il dolore
condiviso non da due ma da 20 persone tutte unite che non può che tirare su il
morale e la grande voglia di rendere una vita a tratti difficile e nemica, in
tanti momenti di piccole gioie.
Ho sentito amore per la famiglia, una famiglia che va oltre
le parentele strette, che include i vicini e gli amici di amici. Mi sono
ricordato della voglia costante e inebriante di condividere, sempre e comunque,
soprattutto quando buoni motivi per farlo non ce ne fossero.
Forse in un'altra vita ero un sud americano, un italiano che
ha affrontato il grande viaggio oltreoceano o magari un indigeno del posto
prima della colonizzazione occidentale. Non so, ma a parte il fascino che in
generale il sud America ha sempre suscitato in me, mi sento profondamente
attratto da questa gente, da questi parenti lontani che con dignità e amore
affrontano ogni giorno sorridendo.
E così ieri pomeriggio, nel salutarli, avevo un po’ un nodo
in gola, pur essendo felicissimo di essermi riappropriato del mio castello, che
però improvvisamente sembrava un po’ troppo grande, un po’ troppo
vuoto.
E questo essere toccati dagli altri, con questa regola
bizzarra del meno li conosci e più entrano dentro di te, si riallaccia
all’altra cosa interessante che mi è capitata.
Venerdi sera appunto mi sono rifugiato da amici come ogni
buon sovrano il cui regno sia stato invaso senza nessuna possibilità di
resistenza e mi è stato proposto di partecipare ad un progetto che riguarda la
connessione tra sconosciuti in relazione alla scrittura. La cosa più
interessante è che, se le cose andranno in porto, non sarò un partecipante ma
il conduttore insieme alla cugi, esperta nel gestire e far lavorare insieme
gruppi di persone.
A parte l’analogia delle situazioni dove da una parte mi si
propone di gestire delle persone che attraverso l’arte entrano in contatto con
sè stessi e con gli altri e quella di ritrovarmi nel mezzo di una famiglia di
sconosciuti da intrattenere in casa mia, sono terrorizzato dall’idea di
mettermi in gioco.
Un po’ è la stessa paura nell’affrontare situazioni fuori
dalla routine. Con routine non intendo necessariamente sempre le stesse cose ma
situazioni conosciute e con una cadenza precisa. Lo spavento è direttamente
proporzionale al mio non scegliere la situazione. Tipo se io decido di andare
ad un corso di teatro, sono io che scelgo una situazione nuova quindi tutto
bene. Ma se mi ritrovo in una situazione che io non ho né scelto né programmato,
allora vado in corto circuito, in avaria.
E mi sembra che in quest’autunno schizofrenico ci sia una
vocina nell’aria, un sussurro leggero che mi solletica le orecchie. Mi dice di
andare avanti, di muovermi, di camminare e di abbracciare tutto ciò che mi
capita (a prescindere dal fatto che io lo scelga o meno) e viverlo. Senza aspettative, ma soprattutto senza pre- concetti e pre-giudizi. Senza paura
di non essere in grado o non poter realizzare completamente le mie intenzioni,
perché non c’è nulla di male nel provare qualcosa e dire non mi piace o non ce
la faccio. Comunque rimane un vissuto che accresce la consapevolezza di sé.
E’
nel rifiuto, nell’evitare situazioni nuove che si crea una stasi, un momento di
non-vita, un’occasione persa che probabilmente non tornerà come tale.
Con questo non voglio dire che se domani mi propongono di
provare a fare il macellaio mi metta a sgozzare maiali come se non ci fosse un
domani (nulla contro i macellai) ma ognuno di noi sa quando evita di fare
un’esperienza perché è completamente al di fuori del proprio modo di essere o
perché si ha paura. Paura maledetta che non permette ai polli di trasformarsi
in aquile e volare alto nel cielo.
Questa settimana ho accettato la sfida karmica e forse ho
pagato qualche debito (o almeno uno spero): avrei potuto evitare queste persone
in maniera molto semplice, avrei potuto vivere davvero questi due giorni come
un’invasione con un senso d’ingiustizia nei confronti del mondo intero. Avrei
potuto trattarli con sufficienza, fare finta che non ci fossero, far capire
loro che il mio tempo è più importante della loro presenza ed invece ho scelto
di cavalcare l’onda e di arrivare a riva nel modo più piacevole e divertente
possibile. E così è stato. Pur convivendo in me una parte che guardava
nostalgico l’orizzonte della propria solitudine. E poi ho detto si ad un
progetto che spero possa aprire ed oliare quel portone che mi sono costruito tra me e gli altri.
So chi sono e so da dove vengo (ogni anno sempre di più per
lo meno) e in me sempre rimarrà un po’ di quel verde e peloso Grinch che
disprezza tutti e sguazza nella propria immondizia, ma mi dico “bravo” quando
riesco a trasformare una situazione apparentemente fastidiosa in un’ esperienza
che, per lo meno, vale la pena essere vissuta con tutto me stesso.
Che si aprano i cancelli, che si spalanchino le porte e che si buttino via le chiavi.
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