lunedì 10 ottobre 2016

LE OCCASIONI DEL CONTATTO

Fine settimana interessante.

Grazie a situazioni extra-ordinarie ho potuto specchiarmi e capirmi un po’ di più.
Sono una persona molto casalinga; la casa è il mio regno, il mio rifugio, il mio guscio, scheletro metafisico che protegge fragili organi interni. Sono il re del mio focolare, lord dei fornelli e marchese del divano.

Ma, come in ogni racconto epico che si rispetti, arriva sempre il momento della crisi. La mia è incominciata Venerdi, quando questo idilliaco reame di pochi abitanti, questa oasi di pace e serenità nel mezzo di boschi fatati, è stato invaso dagli stranieri!!!!!
Panico! Allarme! Chiudete tutti i cancelli, riempite il fossato, liberate gli alligatori, fiato alle trombe, fuoco ai cannoni, rifugiamoci nella cittadella fortificata, aiuto aiuto AIUTOOOOOOOOOOOOOOOO!

Questa è stata la prima reazione quando il mio ragazzo spia, doppiogiochista e traditore (nel racconto epico sarebbe il personaggio più vicino al protagonista ma anche il fautore della sua rovina), mi ha detto che avrebbe abbassato il ponte levatoio per far entrare questo gruppo di stranieri provenienti dall’altra parte dell’oceano. Oltretutto sarebbero arrivati il fine settimana, momento sacro per propiziare i miei riti arcani all’interno del mio tempio. E in 4! Quindi seconda camera e divano letto occupati! Insomma dovunque mi fossi girato avrei trovato invasori in casa mia!

In realtà, al ritorno dai miei viaggi cavallereschi, nessuno ha invaso niente: il mio cinema è la mia normale reazione ad eventi che io non scelgo e che alterano la mia quotidianità.
Ma, mi chiedo, dov’è finito quello spirito di avventura che mi permise di lasciare tutto anni fa e trasferirmi in un paese dove conoscevo solo una persona e non parlavo la lingua? Perché si è spento quel fuoco che bruciando ardentemente mi permise di condividere una casa con tedeschi intransigenti e spagnole con disturbi multipli della personalità? Probabilmente tutto ha un tempo, un momento che poi non è detto che ritorni in maniera leggermente differente. Mi piace pensare che l’evolversi della vita sia una spirale che va verso l’alto, dove le situazioni possono ripetersi ma con delle leggere differenze.

Intanto, il pensiero di avere della gente in casa che non mi avrebbe permesso di cantare le mie canzoni a squarciagola, sdivanarmi con tuta macchiata di candeggina e felpone con cappuccio, mi ha davvero messo in crisi.

Il venerdi sera mi sono rifugiato a casa di amici per non dover fare i soliti convenevoli, parlare di cose che non mi interessano ed entrare in contatto con persone che non conosco e non voglio conoscere. Poi il sabato ho dovuto affrontarli, ed ho scoperto che alla fine, pur costretto dalla situazione, sono contento che siano venuti e mi sono comportato da buon (sufficiente?) padrone di casa.

A parte che si tratta di gente educatissima, che voleva “disturbare” il meno possibile, ho respirato una ventata di Uruguay, terra del mio compagno. Parlare con loro in spagnolo, anzi uruguaiano (che si differenzia dal castellano per alcune espressioni e la pronuncia della doppia L), ricordare luoghi che ho visitato e persone che ho conosciuto, è stato come un ponte tra l’Italia e quel posto tanto incasinato dove vive la maggior parte della mia famiglia acquisita. Ed ho ritrovato in queste 4 persone quel disarmante affetto, quella semplicità nello stare insieme e quella mistica capacità di coinvolgermi emotivamente che non può non toccare e scaldare anche il più gelido dei cuori. Mi sentivo il Grinch commosso dalla tenerezza dei Nonsochi. Non so cosa sia che mi tocca tanto, che mi fa venire una voglia struggente di prendere il primo aereo e riabbracciare gente che praticamente conosco da 2 giorni o che ho visto una volta.

La loro presenza mi ha ricordato i sorrisi genuini, la leggerezza con la quale ho visto affrontare giornate pesantissime, il dolore condiviso non da due ma da 20 persone tutte unite che non può che tirare su il morale e la grande voglia di rendere una vita a tratti difficile e nemica, in tanti momenti  di piccole gioie.
Ho sentito amore per la famiglia, una famiglia che va oltre le parentele strette, che include i vicini e gli amici di amici. Mi sono ricordato della voglia costante e inebriante di condividere, sempre e comunque, soprattutto quando buoni motivi per farlo non ce ne fossero.
Forse in un'altra vita ero un sud americano, un italiano che ha affrontato il grande viaggio oltreoceano o magari un indigeno del posto prima della colonizzazione occidentale. Non so, ma a parte il fascino che in generale il sud America ha sempre suscitato in me, mi sento profondamente attratto da questa gente, da questi parenti lontani che con dignità e amore affrontano ogni giorno sorridendo.

E così ieri pomeriggio, nel salutarli, avevo un po’ un nodo in gola, pur essendo felicissimo di essermi riappropriato del mio castello, che però  improvvisamente  sembrava un po’ troppo grande, un po’ troppo vuoto.

E questo essere toccati dagli altri, con questa regola bizzarra del meno li conosci e più entrano dentro di te, si riallaccia all’altra cosa interessante che mi è capitata.
Venerdi sera appunto mi sono rifugiato da amici come ogni buon sovrano il cui regno sia stato invaso senza nessuna possibilità di resistenza e mi è stato proposto di partecipare ad un progetto che riguarda la connessione tra sconosciuti in relazione alla scrittura. La cosa più interessante è che, se le cose andranno in porto, non sarò un partecipante ma il conduttore insieme alla cugi, esperta nel gestire e far lavorare insieme gruppi di persone.

A parte l’analogia delle situazioni dove da una parte mi si propone di gestire delle persone che attraverso l’arte entrano in contatto con sè stessi e con gli altri e quella di ritrovarmi nel mezzo di una famiglia di sconosciuti da intrattenere in casa mia, sono terrorizzato dall’idea di mettermi in gioco.
Un po’ è la stessa paura nell’affrontare situazioni fuori dalla routine. Con routine non intendo necessariamente sempre le stesse cose ma situazioni conosciute e con una cadenza precisa. Lo spavento è direttamente proporzionale al mio non scegliere la situazione. Tipo se io decido di andare ad un corso di teatro, sono io che scelgo una situazione nuova quindi tutto bene. Ma se mi ritrovo in una situazione che io non ho né scelto né programmato, allora vado in corto circuito, in avaria.

E mi sembra che in quest’autunno schizofrenico ci sia una vocina nell’aria, un sussurro leggero che mi solletica le orecchie. Mi dice di andare avanti, di muovermi, di camminare e di abbracciare tutto ciò che mi capita (a prescindere dal fatto che io lo scelga o meno) e viverlo.  Senza aspettative, ma soprattutto  senza pre- concetti e pre-giudizi. Senza paura di non essere in grado o non poter realizzare completamente le mie intenzioni, perché non c’è nulla di male nel provare qualcosa e dire non mi piace o non ce la faccio. Comunque rimane un vissuto che accresce la consapevolezza di sé. 

E’ nel rifiuto, nell’evitare situazioni nuove che si crea una stasi, un momento di non-vita, un’occasione persa che probabilmente non tornerà come tale.
Con questo non voglio dire che se domani mi propongono di provare a fare il macellaio mi metta a sgozzare maiali come se non ci fosse un domani (nulla contro i macellai) ma ognuno di noi sa quando evita di fare un’esperienza perché è completamente al di fuori del proprio modo di essere o perché si ha paura. Paura maledetta che non permette ai polli di trasformarsi in aquile e volare alto nel cielo.

Questa settimana ho accettato la sfida karmica e forse ho pagato qualche debito (o almeno uno spero): avrei potuto evitare queste persone in maniera molto semplice, avrei potuto vivere davvero questi due giorni come un’invasione con un senso d’ingiustizia nei confronti del mondo intero. Avrei potuto trattarli con sufficienza, fare finta che non ci fossero, far capire loro che il mio tempo è più importante della loro presenza ed invece ho scelto di cavalcare l’onda e di arrivare a riva nel modo più piacevole e divertente possibile. E così è stato. Pur convivendo in me una parte che guardava nostalgico l’orizzonte della propria solitudine. E poi ho detto si ad un progetto che spero possa aprire ed oliare quel portone che mi sono costruito tra me e gli altri.

So chi sono e so da dove vengo (ogni anno sempre di più per lo meno) e in me sempre rimarrà un po’ di quel verde e peloso Grinch che disprezza tutti e sguazza nella propria immondizia, ma mi dico “bravo” quando riesco a trasformare una situazione apparentemente fastidiosa in un’ esperienza che, per lo meno, vale la pena essere vissuta con tutto me stesso.

Che si aprano i cancelli, che si spalanchino le porte e che si buttino via le chiavi. 


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