Sono un po’ incazzato, un po’ nervoso (questo sempre), un po’
triste, un po’ avvilito, un po’ emozionato, un po’ spaventato. Dentro e fuori
di me stanno accadendo tante cose per le quali mi è difficile rimanere sereno.
Nuove proposte, occasioni, cambiamenti, novità; opportunità
per uscire di casa e sfidare i venti delle mie possibilità e i misteri delle
mie capacità. Ma ciò che più attira la mia attenzione e accresce la mia vorace
ansia, è la paura della perdita. Sono immobilizzato dall’enorme e soverchiante terrore
di pagare pegno: perdere ciò che ho in cambio di qualcos’altro che non conosco
ancora, perché ciò che ho mi dice chi sono. Adesso però, quando mi guardo allo
specchio, vedo solo un’immagine rarefatta, una bozza dell’Ivano che spinge
dentro me per uscire fuori.
Ho la sindrome da abbandono, quella sensazione di sentirsi
alla deriva senza quei punti cardinali che danno una direzione conosciuta anche
se non ci si sta muovendo. Ho paura di perdermi, di brancolare nel buio, di
trasformarmi in un vecchio solo e meschino se lascio andare ora ciò che ho. Ho
paura di inaridire il mio già piccolo e striminzito giardino di sentimento ed
affetto, di trasformare in deserto, quel praticello fiorito che, con tanta difficoltà, riesco a
mantenere vivo. Ho una maledetta paura di togliere senza aggiungere nulla. Paura
di perdere senza guadagnare.
Delle volte mi sento prontissimo al cambiamento, per poi
sprofondare in una depressione straziante perché farei qualsiasi cosa per
rimanere saldamente afferrato a ciò che ho e nel luogo in cui mi trovo. Certo che essere sia cozza attaccata ad
uno scoglio sia leggero polline che vola portato dal vento, non
aiuta molto.
Credo che siamo parte di un immenso fiume e che l’acqua continui a
scorrere sempre. Certo ci sono periodi di secca, altri in cui la corrente è docile e avvolgente
e quasi non ci si accorge del movimento, ed altri ancora in cui il fiume è in piena, piove e siamo in
mezzo alle rapide. E pur abbracciando forte a qualche roccia perché non voglio
spostarmi, prima o poi sarò trascinato via. Ed è sempre meglio scegliere che
subire una scelta cosmica. Facile aspettare che sia la corrente a decidere la direzione e la destinazione.Anche se ogni tanto lasciarsi andare è piacevole e positivo. Ma l’esperienza mi insegna che spesso bisogna nuotare scegliendo noi dove andare, a volte anche controcorrente.
Ma che dolore, che tristezza, che bruciore di stomaco,
abbandonare quel paesaggio tanto caro e conosciuto per avventurarsi chissà
dove.
Sarebbe fantastico avere sempre le idee chiare; certezze come pesanti ancore che ci tengano esattamente dove vogliamo stare nonostante la corrente. Per
un bel periodo ho vissuto così, ancorato e sereno. Tutte
le altre barche che vedevo passare intorno a me, che mi superavano, erano solo
piccoli scafi alla deriva, mentre io avevo trovato il mio porto, la mia isola
del tesoro. Ma adesso l’isola mi sembra
solo una manciata di sabbia sul mare, e mi sono rotto le palle di camminare per
il suo perimetro senza sosta perché ne conosco ogni millimetro quadrato. Ed il
tesoro ora mi sembra solo un banale oggetto decorativo.
Più che volerlo, (perché rimpiango tanto la mia placida
soddisfazione e di fatto io il cambiamento non lo voglio cazzo) sento proprio l’esigenza
di ripartire, con dolore ma con urgenza, con terrore ma con adrenalina. E come
tutte le partenze saranno piene di lacrime e abbracci; rimarrà quel vuoto,
quella solitudine tipica di tutti i viaggiatori. Perché per quanto si dica il
contrario, io credo fortemente che ogni viaggio sia un viaggio intimo, personale
e solitario. Si viaggia sempre da soli gente, nonostante le persone che ci
possano accompagnare. Ognuno nella sua esplorazione è solo. Questo l’ho
scoperto anni fa quando intrapresi il cammino di Santiago. Ho percorso 300 km
in due settimane, a piedi, ed ho conosciuto un sacco di persone fantastiche. Ma
la condivisione era la mattina prima di partire, durante la sosta per mangiare
e la sera quando si arrivava alla tappa successiva. Il viaggio vero e proprio
era solo mio, in compagnia del mio passo, del mio ritmo, del mio respiro e dei
miei pensieri.
Un processo di osmosi con l’universo, intimo e incondivisibile.
Non sono pronto al cambiamento, alla rivoluzione, non sono
deciso, non ho le idee chiare. Solo al pensiero mi si bagnano gli occhi e
ripercorro nostalgico gli anni che mi hanno portato fino a qui. E’ come
crescere e non poter più mettere quelle scarpe tanto amate, compagne di
avventure e giochi perché il piede è diventato più grande. Le si può utilizzare
ancora per un po’, facendoci venire le fiacche e tenendo le dita rattrappite,
ma arriva il momento, doloroso ahimè, dove bisogna buttarle e comprarne un paio di una taglia più grande. E in quel momento di decisione che vivono
due sentimenti apparentemente contrastanti: il dolore della perdita e la gioia per esserci liberati di qualcosa di scomodo.
Poi si sa, il primo tuffo in mare è sempre freddo ma poi com’è
piacevole nuotare.....
Riflettevo appunto su questa sensazione da brivido freddo,
quella paura senza nome e senza volto che mi ricorda quel folle terrore
infantile per il buio (io ho ancora paura del buio a 36 anni guarda un po’),
acquistando un biglietto aereo per andare una settimana a Valencia. Dico, una
settimana a 1000 km di distanza da qui, in un posto dove ho vissuto per 5 anni.
Mentre cliccavo su acquista sudavo freddo ed avevo il batticuore. Ma ti pare???
E da qui ho incominciato a ragionare che forse non mi ha spaventato tanto spendere
30 euro,dover organizzarmi per sistemare il cane e trovare un parcheggio in aeroporto, ma il rimando al cambiamento, al
movimento interiore, che attraverso il viaggio fisico da uno paese all’altro, riproponeva
questa battaglia tra il
restare dove si è o esplorare qualcosa di nuovo. Oppure ritornare in luoghi dell’anima
conosciuti ma abbandonati.
Cess, suggunnumammaruabagassa (locuzione interiettiva in
dialetto sardo) !!!!!
E uno potrebbe pensare: ma quante storie, che “menoso”; non
è che se fai qualcosa di nuovo ti si rivoluziona per forza la vita. Il
cambiamento non porta con sè necessariamente rivoluzione. In linea di massima
sono d’accordo con questo pensiero, però per quanto mi riguarda, funzionando
in modo anomalo, i miei cambiamenti sono sempre “macro” e mai “micro”. Pur non
avendo fatto molti viaggi, quando decisi che era il momento di cambiare aria,
sono andato a vivere per 5 anni in Spagna.
Quando ho deciso che non volevo più
vivere con i miei genitori me ne sono andato in un giorno. Insomma per me un
cambiamento porta con sé sempre l’abbandono di qualcosa. E solitamente è un’esperienza
traumatica. Non riesco a concepire un lento e graduale movimento da un punto A
ad un punto B. Io mi sfracello cadendo
da A a Z senza paracadute. Forse, in questo periodo, è la prima volta che sto
sperimentando un cambio meno repentino perché sono aggrappato con denti e
unghie alla mia ancora mentre nave e ciurma stanno per essere inesorabilmente
trascinate via. E forse non è detto che debba per forza abbandonare qualcosa
alla quale sia profondamente legato, forse la mia energia è tale da poter
viaggiare con uno zaino un po’ più pesante. Forse.
Non riesco a pensare un viaggio portandomi tutto quello che
ho stando fermo. E’ come voler andare in vacanza con la propria casa. O come
quelli che si portano tutto il guardaroba perché non si sa mai. Se si parte è
meglio farlo leggeri per poter acccogliere
ciò che di nuovo un viaggio ha da dare e regalare. E’ altresì auspicabile essere
pronto agli imprevisti, alle sorprese. Non si può viaggiare con certezze. La
certezza risiede nella sedentarietà non nel movimento. Il movimento è mistero,
è sconosciuto è novità.
E per quanto stia comodo nel mio lettone di certezze,
coperto da un soffice piumone di comprensione e abitudine, incomincio a sentire
la presenza scomoda di quel pisello sotto il materasso che tanto aveva
infastidito una principessa.
Capisco ora che la saggezza di quella favola mi è molto utile:
per quanto io possa coprire o riempire la mia vita con morbidi materassi,
mettendone anche uno sull’altro per non SENTIRE un elemento disturbante (o un
messaggio di cambiamento se vogliamo), rimarrà la sensazione di fastidio, di
inadeguatezza. Sempre. E finchè non toglierò tutti gli strati e RICONOSCERO’
quel minuscolo pisello (scegliendo di rimuoverlo o tenendolo ma comunque
riconoscendolo), non potrò dormire sonni tranquilli.
Ansia, ansia ansia.
Nessun commento:
Posta un commento